lunedì 19 dicembre 2011

Giocando con i numeri..

Per tirare le somme.
Di quest'anno. Personalmente, di questi ultimi quattro mesi.
Se giro la testa all'indietro, chiudo gli occhi un istante, e mi rivedo solo sei mesi fa, mi accarezzo debolmente i capelli e sorrido alla me che ero.
Quest'anno per me è stato USA.
E' stato coronare il sogno che avevo fin da quando ho appeso la cartina degli States di fianco al letto, puntando il dito ogni sera in uno stato diverso.
Ho messo piede nella sfavillante New York, così perfetta come l'ho sempre sognata, e soprattutto con CHI ho sempre sognato di andarci. Per la prima volta, in punta di piedi. Trattenendo il fiato.
Credo non dimenticherò mai il momento in cui stavamo atterrando a Newark (si, anche perchè non credevo che quel minuscolo aereo traballante riuscisse ad atterrare senza spalmarsi sulle case) e da lontano ho visto l'Empire State Building e piccolissima laggiù Lady Liberty.
Il mio sogno americano è diventato realtà e purtroppo ancora prima di rendermi conto di tutto quello che mi stava accadendo ero già ranicchiata su un sedile in economica sul volo Tap che mi riportava in Europa.
L'America è così come la vedi, così come la immagini.
Sfavillante, telefilmica.
Irrazionale, povera.
Ricca, luminosa.
Illimitata, sconosciuta.
Disabitata ma anche sovraffollata.
Una contraddizione e un paradosso.
Libertà e regole.
Siamo sicuri che Hollywood sia limitata a Los Angeles?
Mi sembra tutto un grande set cinematografico, dove nulla è lasciato al caso.
Ho amato ogni centimetro di US che ho calpestato e sorvolato.
Le distese illimitate del Minnesota, senza una collina a vista d'occhio, i suoi milioni di laghi, le sue villette.
I grandi laghi visti dall'aereo, la desolazione di Minneapolis e la vitalità dei suoi dintorni.
Tanti piccoli colpi di fulmine, che hanno solamente solidificato la grande storia d'amore che c'è tra me e il Nuovo Mondo. Che non vedo l'ora di esplorare di nuovo.

E' stato l'anno del mio lancio a Milano tutta sola.
Tutta sola senza di Lui, che è rimasto nel Nuovo Mondo.
Piccoli grandi passi per la piccola Alessandra.
Che ha imparato a camminare da sola.
Ed è troppo bello quando inizi, che non smetti più.
E' stato l'anno del mio viaggio a Londra solitaria.
Io, la mia valigia e le cuffie nelle orecchie.
Io che viaggio da sola su un aereo.
Mi riguardo indietro e sorrido di nuovo a quella che ero.
Così piccola, così impaurita.
Ora sono ancora piccola, ma meno impaurita.

E' stato l'anno dei tre anni insieme.
Festeggiati davanti allo schermo di un pc, mangiando io cena e Lui pranzo.
Un appuntamento insolito.
E' stato l'anno in cui ci siamo riscoperti più forti.
In cui tutto quello in cui abbiamo creduto è stato messo a dura prova.
Mi guardo.
Si, anche da me.
Messo a dura prova dalle mie scenate da bambina, dalle mie paure.
Dalle mie incertezze.
E si, devo ammettere anche da lui.
E alla fine, siamo sempre qui.
Cresciuti.
Faccio una carezza a me e a Lui di tre anni fa.
Le cose cambiano, le persone cambiano, anche i sentimenti lo fanno.
Si cresce, si cambia idea, si vogliono altre cose.
Ma ogni tanto, si cambia insieme.

Venerdì torna.
A Linate.
Io sento già il cuore che mi rimbomba nel petto al pensiero.
Mi vedo sulla metro e sull'autobus a sudare freddo con le mani attorcigliate in tasca.
Mi vedo esplodere al suo arrivo.
Mi vedo sommersa, affogata da mille sensazioni, amplificate.
Mi abbraccio, mentalmente.
Mi preparo, perchè già mi tremano le gambe.
Mentre sono qui, a tirare le somme di questo nuovo capitolo di quella che sono,
che sa un pò di nuovo, un pò di antico.
Un pò di stampante, un pò di libro impolverato di biblioteca.
Che buon profumo.

giovedì 15 dicembre 2011

In questo viaggio chiamato TRENO..

Quante ore passa un essere umano con il fondoschiena appoggiato ad una lurida poltroncina di un intercity nell'arco di una vita?
Mah, non lo calcolerò mai per pigrizia e soprattutto per evitarmi un colpo al cuore. O uno scatto d'ira.
Comunque oggi, nel mio intercity delle 15.05, con cuffie nelle orecchie, ragazza bionda dell'est con profondi occhi azzurri di fronte e gli altri sei sedili occupati da una famiglia abbronzata e lampadata, pensavo a quante vite incrociamo in treno.
Livello di banalità del pensiero: 10.
Fatto sta, che tanti incontri in treno non dico che cambiano la vita, ma magari cambiano la giornata, toh.
O almeno l'ora successiva.
In meglio oppure in peggio, è vero. Tanto, tanto tanto peggio, a volte.
Ma devo dire che - fortunatamente - tante volte alcuni incontri mi hanno migliorato l'umore.
Anche per poco, sì.
Ma quel sorrisetto mentale mentre guardo fuori dal finestrino che tante cose mi hanno procurato ancora me lo ricordo.
Oggi per esempio avevo questa famiglia che occupava quattro posti di scompartimento.
Mi guardo intorno.
Scruto.
Curiosa.
Curiosa di entrare in un microscopico pezzo di vita altrui.
Molesta come sono, ogni tanto ascolto i discorsi.
Non capisco dove devono andare, scendono a Genova e poi proseguono in macchina.
Sono una famiglia alquanto anomala.
Genitori (?) decisamente lampadati, bimbo di una decina d'anni e fratello che ne avrà avuti  al massimo 18.
Chiacchierano, mangiano.
Parlano di imparare il portoghese, il figlio piccolo mi offre una caramella.
Io trasalisco dalle cuffie ma sorrido, un sorriso vero, di gratitudine.
Faccio di no con la testa, rigraziando.
Lui mi dice "Ma è buona, eh!"
Io annuisco e dico che lo so.
Primo sorriso della giornata andato.
Il fratello più grande mi mette la valigia sulla grata, il padre mi chiede di che modello è il mio telefono, se è uguale al suo.
Frammenti sconnessi di conversazioni, che mi fanno sentire più umana.
Non solo un'ombra muta che osserva il sole che tramonta fuori dal finestrino.
A Genova scendono. Mi salutano.
Io auguro buon viaggio e il fratello grande mi dice: "Anche a lei."
Sorrido di nuovo, non posso farne a meno.
Ma induco così timore da darmi del lei?
Perchè fisicamente potrei anche dimostrare 16 anni scarsi.
Ho giusto il tempo di sgranchirmi la schiena che un'altra marea di gente risale.
Di fronte a me si siede un uomo di mezza età che in mezzo francese e in mezzo inglese mi chiede se il treno va a Ventimiglia.
Deve andare a Nizza, da sua moglie.
Io azzardo un "Vous etez français?" e lui sorride.
Mi dice che non è francese, ma vive in Francia.
Un gruppo di quattro ragazzi che parla una lingua che non riesco a riconoscere occupa il posto della famiglia.
Quando arriva il momento di scendere, mi tirano giù la valigia, si alzano per farmi passare.
E allora lì capisco.
Capisco che tante cose possono cambiarti la giornata.
Un gesto gentile da uno sconosciuto è decisamente uno di questi.
Gesti che vanno oltre le lingue, le parole, il gesticolare.
Che vanno oltre l'età e la destinazione del viaggio.
E' qualcosa che ti scalda dentro, qualcosa di umano che si insinua.
E' fare parte di qualcosa.
Anche se è la vita di uno sconosciuto e che probabilmente non vedrai mai più.
Ma con cui hai condiviso, anche se in silenzio, anche con un gesto, una parte del tuo enorme viaggio.

mercoledì 7 dicembre 2011

L'estate fredda..

..no, non dei morti. Quelli li abbiamo passati da un pò.
Eppure qui si staziona sui 15 gradi, sole e tempo terso.
Pure a Milano ieri c'era un sole che faceva ben sperare e addirittura un bel venticello.
Gentile concessione dell'apocalisse? Maaaah.
Mio padre parla di lune in ritardo.
Io parlo di surriscaldamento globale.
Comunque, dal mio monoloculo di Milano questa settimana ho potuto aggiornarmi sulla manovra, le manovre, i tagli i cuciti le aggiunte e tutto quel che ne consegue.
Più volte, essendo da sola mi sono giostrata tra tutti i tg possibili.
No, il tg4 no, se ve lo state chiedendo.
Comunque, da brava linguista che ha fatto lo scientifico e non ha mai capito una parola di economia, vagavo con gli occhi davanti alla televisione come quando qualcuno ti parla di qualcosa convinto che lo stai seguendo e invece brancoli nel buio.
Qualcosa però l'ho capita: ci stanno, come al solito, inchiappettando.
L'ICI sulla prima casa ritorna, come un regalo di Natale.
Bentornato, ecco.
Però Monti rinuncia al suo stipendio. Uno dei tre.
Almeno è un bel gesto simbolico.
Leggo anche che il ristorante del Senato non fa più pagare il filetto 2,76 euro.
Tante buone cose.
Aumentano le tasse, aumenta la benzina.
Aumenta anche la velocità a cui girano le palle, immagino.
Quello che non aumenta sono i posti di lavoro, i soldi per la ricerca, le borse di studio.
Però continuiamo ad andare in pensione sempre più tardi: infondo, il ragionamento non fa una piega.
Contando che inizierò a lavorare a 40 anni, è giusto che almeno vada in pensione a 70!
Come sono polemica.
Non ho ancora capito se ho una posizione o i miei pensieri confusi vagano da una parte all'altra.
Beata ignoranza mia.

Altra polemica, che mi piace tanto.
Abbiamo appreso, alle soglie del 2012, i Maya e la fine, che il cappuccetto, il palloncino, quel cosetto viscido e trasparente, è una parola tabù. Censurata, eliminata.
Ma gondone posso dirlo?
Condom?
Non sono stati specifici.
Comunque vedo che ci concentriamo sempre sui problemi fondamentali.
Centriamo sempre il punto.
Insieme all'esplosione di collera e ira funesta per i cartelloni della nuova campagna di Benetton.
Che io trovo adorabile, peraltro.
Preti che baciano suore, il Papa che bacia l'Imam, Obama che bacia il presidente cinese.
Ed è subito inferno. No, non solo in senso figurato.
Blasfemia, indignazione, esorcismi (?).
Ed io che l'ho vista e ho pensato: ragazzi, sembra di fare un passo avanti.
Un bacio simbolico a tout le monde.Non si stanno mica infilando sei metri di lingua.
Non è un porno, ve lo giuro.
Una campagna che abbatte le barriere politiche, etniche e religiose.
SBAM. Che potenza in solamente una manciata di foto.
Eppure, i fedeli si sentono feriti nei loro sentimenti.
Da cosa, mi vien da dire.
Dalla scritta in grassetto che campeggia sotto ogni foto, UNHATE ?
Dal simbolo di pace in ogni contesto sociale, politico e religioso?

.....

Va bene, sento già il pizzichio delle fiamme che raggiunge il mio fondoschiena...

domenica 13 novembre 2011

Banlieue 13 Ultimatum. Ovvero: a cosa porta lo zapping.

Oggi stavo aspettando che il pranzo fosse pronto (leggi: scaldare le lasagne di ieri), e tra lo sfogliare un giornale e fare zapping distratta sono capitata su Rai4, e ho mantenuto il canale per almeno un minutino.
Ottima scelta, dato che stava passando Banlieue 13 - Ultimatum.

Cosa sarà mai - mi chiederete?
Ebbene, non ne avevo la più pallida idea.
Poi ho cercato sull'Iphone (la pigrizia di non alzarmi dal divano per arrivare al pc), e ho trovato la trama.



E' un film di un regista francese, Patrick Alessandrin, del 2009.
E' la storia di una Parigi neofuturista, circondata da banlieues, appunto, distinte in gruppi etnici, che ovviamente vivono in condizioni di vita molto sotto la decenza.
I due eroi di turno, un poliziotto e un abitante della banlieu, cercheranno di salvare questi enormi quartieri popolari dalla distruzione e i loro abitanti da una vita da schiavi, facendo in modo che il presidente della Repubblica francese non prema il maledetto bottone per far saltare in aria quartieri che contengono vari milioni di abitanti (precedentemente svuotati, almeno questo).

Il finale ve lo lascio scoprire.

Comunque, apprezzo particolarmente i film francesi. Prima di tutto perchè sono riconoscibili: la musica è qualcosa di distintivo e cullante.
In questo caso un misto tra rap-house ritmata che ricorda molto le gang di periferia e qualche scena clou di Fast and Furious.
In secondo luogo, amo il largo uso di scene in cui gli eroi combattono (e vincono), fuggono e lottano praticando il parcour.
Sapete cos'è?

Ve lo spiego io: il parcour è uno sport, molto diffuso tra i giovani, che consiste nel fare del paesaggio urbano la propria palestra, allenando il corpo a saltare, arrampicarsi e servirsi di ogni anfratto metropolitano per aumentare la velocità o raggiungere posti angusti.
Altamente spettacolare e di grande intrattenimento, questo sport ricorda un misto di Lara Croft in fuga e guerrieri asiatici.



Infine, la grande morale.
E' un film fresco, giovane, ad alto livello di suspance, che riesce a trattare un argomento di estrema attualità come il degrado delle periferie, e soprattutto di quelle francesi, senza cadere nel documentario ma anzi appassionando il consumatore.
Le diverse etnie, qui dipinte come diversi Clan con un capo per ognuno (la bella asiatica che ricorda si una Lara Croft, insieme all'arabo e al nero tutto muscoli e sudore), si uniscono, si mettono d'accordo, per il bene comune: ovvero, la pace e la prosperità.
Divisi dal colore della pelle e dalle tradizioni, uniti dall'interesse. La vita.
Una sorta di Robin Hood del nuovo millennio: picchiano i ricchi per dare una vita migliore ai poveri.



Mi ricorda sapori di lotta per il bene contro il male, popoli che oltrepassano ogni confine per l'unione, contro i governi e contro le ingiustizie sociali, senza sfociare in nulla di troppo violento o fuori luogo.


Un film scoperto per caso, che non posso fare altro che consigliare.

lunedì 7 novembre 2011

Ma se ghe penso..

..la mia povera Liguria. E poi il piemonte, il Po, e Napoli.
E tutti si stanno battendo per trovare qualcosa, qualcuno a cui dare la colpa. Chi se l'è presa con il sindaco, le scuole aperte, l'allarme troppo basso nonostante il largo anticipo.
Perchè è così, bisogna scatenarla la rabbia, l'indignazione, il dolore. Il dolore di chi ha perso una famiglia, una sorella, una moglie.
Bisogna trovare qualcuno verso cui puntare il dito, da cui pretendere delle scuse, una magia, che riporti indietro quello che adesso non è più.
Eppure.
Io sono dell'idea che il Sindaco possa aver fatto, magari, scelte sbagliate.
Ma che in certi casi la natura va assecondata, coccolata e protetta.
Per non farla scagliare contro di noi.

Genova si inerpica su per colline, i suoi budelli sono tortuosi così come i mille torrenti, canali che la attraversano, per arrivare al mare. E alla prima pioggia, non hanno più spazio per scorrere.
E quindi, di chi è la colpa?
Solo di una cosa, mi commuovo.
E mi stringo nelle spalle, con un brivido.
Nel vedere le foto, le testimonianze di chi, in questi giorni, armato di stivali di gomma, acqua e buona volontà, sta lavorando per ripulire Genova, per coccolarla e farla risplendere.
Chi, anche non essendo di Genova, prende un treno per andare ad affondare le mani nel fango, con il sudore sulla fronte per spostare un divano squarciato in mezzo ad una strada.
E la vera forza, sono loro.
Che si offrono, a centinaia, per andare a medicare una Genova ferita, umiliata, in lutto.
Tutto questo è la più grande sorpresa che la natura, in questi giorni, poteva darci.

Sperando di avere imparato, e di imparare sempre di più, a prenderci cura di lei. 

domenica 30 ottobre 2011

Un giorno in più..e tutto cambia.

I tecnici Fastweb che latitano mi impediscono di dare voce alle baggianate che mi passano per la testa durante la settimana. Ma sì, è nel weekend che riesco a liberare il mio esercito di pensieri e a stiparlo bene qui sopra.
Comunque.
Stavo riflettendo, alcuni giorni fa, nel dormiveglia, sprofondando in uno di quei momenti di follia acuta, sulla morte.

Ma no, non in modo così macabro, giuro.
Però ho vissuto una settimana circondata da immagini di un ragazzo riccioluto e sorridente, con un accento simpatico, che aveva appena tre e dico TRE anni più di me, che da un momento all'altro ha perso la vita.
Allegro, un accento tutto da strapazzare, dei ricci da prendere in giro.
Un  minuto scherza, e l'altro via, chissà dove. 

Di sicuro non qui, perchè tutti ne sentono la mancanza. 
Eppure io, deficiente (nel senso di deficere) di sport, avevo forse ma dico forse sentito il suo nome citato da qualche parte.
Ma ciò non mi ha impedito di andare a vedere il video dell'incidente, con una curiosità morbosa di cui ovviamente mi vergogno, i servizi al telegiornale e addirittura uno spezzone del funerale in diretta (ma quello solo per la morbosità della mia coinquilina), con annesse lacrime spazzate via con la mano e riflessioni su come sia sbagliato e tutto ciò che ne viene.

Fatto sta, la morte in diretta fa sempre la sua porca figura.
Scusate i termini, ma non c'è niente di più vero.
Forse perchè è un modo di sfatarla, o per allontanare la nostra paura, per lo stesso motivo per cui rischiamo un incidente fermandoci per vedere il vero incidente.

Ma volevo arrivare ad un punto.
Io sono tremendamente dispiaciuta per Marco, Sic, la sua passione e la sua vita spezzata.
Non riesco a immaginare il dolore di nessuno, io probabilmente non lo supererei.
E queste tre parole in croce dimostrano quanto banale sia quello che ho da dire.
Ma quello che mi incrina il sorriso triste, quello che stona in tutto questo dolore e in questo affetto nel ricordarlo, è la polemica.
La polemica di chi parla di ipocrisia, di chi parla di ossessione, di chi parla di ingiustizie.
Perchè l'opinione pubblica si è ovviamente spaccata in due, senza spazio alle sfumature.
Da una parte chi ancora piange pensando a Marco, chi ama ricordarlo, chi pubblica foto ogni giorno sui social networks, e dall'altra chi ritiene tutto una farsa, un'ipocrisia, un'esagerazione e si batte per dare voce alle vittime del terremoto in Turchia, alla scomparsa dell'inventore del pacemaker
   e di una simpatica signora che ha salvato migliaia di bambini ai tempi della seconda guerra mondiale, Irena Sendler.

Il risultato?
La gente SI BATTE per dare voce ai morti.

Ora, seguendo un mio percorso logico, tutto questo mi sembra assurdo.
Perchè tutto cade nel personale.
Invece che commemorare, o al massimo lasciare spazio alle notizie, farle circolare, ci battiamo in una gara senza fine per trovare un personaggio importante da citare, per sfatare il mito del funerale con moto di Simoncelli, o degli Apple stores ridotti ad altari per Steve Jobs.

E tutto questo smette di riguardare loro, che ci hanno lasciato (e probabilmente sbuffano e ridono ovunque siano adesso), e inizia a riguardare noi.
Noi, che vogliamo avere ragione.
Noi che piuttosto vorremmo pubblicare la fotografia di Juhnil, l'orso polare morto l'anno scorso dopo aver salvato almeno trenta cuccioli, per avere una decina di retweet e qualche "i like it" su Facebook.
Perchè non basta più avere la possibilità di vedere le notizie in televisione, in radio, sui giornali, e commentarle a voce, insieme.
Per sentirsi completi bisogna avere ragione.

E trasformare le morti in armi di battaglia in questa retorica senza fine.
E, come in ogni battaglia, ci si schiera. O nelle foto ricciolute, o in chi ritiene sia tutta un'ipocrisia.
Non c'è una via di mezzo.
Un "si forse bisognerebbe lasciare in pace i genitori di Marco, e mediatizzare meno un evento così triste, e dare spazio anche alle vittime "civili", silenziose, che non hanno concerti con la musica di Vasco alla fine".
Un'opinione, un "sì è vero ma..", un commento.
Non c'è spazio per questo, ma solo per una grande polemica.
E questo sì, che mi mette tristezza.



Ma poi un pò sorrido. 
Perchè nel mio strambo modo di vedere le cose, magari Steve Jobs sta facendo girogirotondo per mano a Simoncelli, facendo ridere i bambini Turchi con le Apps dell'Ipad, Irena e tutti i suoi bambini salvati che giocano ad Angry Birds e Greatbatch che si fa crescere i ricci come Sic.
E tutti si fanno grasse risate di noi che qui sprechiamo il nostro tempo a polemizzare. 


sabato 22 ottobre 2011

Che sapore ha la serenità?

Eh. Che sapore ha?
Perchè a me pare qualcosa di dolce, di avvolgente. Ma allo stesso tempo qualcosa di speziato, di pungente, di inebriante. Qualcosa che avvolge e inebria, ecco.
Qualcosa che senti con la punta della lingua, che si sparge per tutto il tuo corpo.
E non sono nemmeno sicura di averla gustata abbastanza.
A volte è solo un pizzico sulla punta della lingua, raramente è una boccata piena.
Uno di quei gusti che sai di apprezzare, ma che non riesci bene a focalizzare, se ci ripensi.

E io riesco a focalizzarlo più intensamente a volte, molto meno altre.
Ci siamo mai chiesti, cosa vuol dire essere sereni?

Ci siamo mai fermati qualche minuto a realizzare quali sono gli ingredienti, per la serenità?
O forse la serenità arriva solo quando non si è ossessionati dalla sua ricerca?

Può darsi.
Eppure non posso fare a meno di chiedermelo. 
Soprattutto nei momenti in cui riesco ad assaporarla con la punta della lingua.
Perchè si, ne voglio di più.

Ne voglio ancora, voglio che non finisca mai.
Voglio ubriacarmi di serenità.

Eppure, silenziosa com'è arrivata, se ne va. 
E tu rimani così, con ancora quel sapore in bocca, ma che dopo qualche attimo è già svanito.
Perchè infondo, cosa conta più della serenità?

I soldi, l'amore, la salute, i viaggi..tutto è una somma, tutto è un mezzo per arrivare all'obiettivo finale: vivere serenamente.
E lottiamo ogni giorno per questo.
E fatichiamo, per questo.
Arriviamo anche a strapparci i capelli, per quell'attimo di serenità che ci spetta.

Ecco, io oggi il mio attimo di serenità l'ho assaporato con tutte le cellule del mio corpo: una giornata di sole, fredda, tersa, ventosa. Ho tirato le tende, la spiaggia deserta e il mare calmo e piatto a darmi il buongiorno. La casa silenziosa. Il profumo del caffè appena fatto, una spremuta e una fetta di torta fatta in casa.
Colazione davanti alla lettura delle notizie del giorno, un sorriso davanti alla Playlist dei miei ultimi dieci anni di Vanity Fair.
Una commissione in centro, in macchina con qualche canzone canticchiata sottovoce.
Ed eccola qui, la mia mattinata di serenità.

Eppure, schiocco la lingua sul palato, e ora sta già svanendo.. 

venerdì 14 ottobre 2011

Qualche ora alla Fnac..

Ore 18. In una Milano tipicamente autunnale, che si appresta a finire la propria giornata.
Io e Elena siamo lì. In quella stanzetta della Fnac, sedute a terra, e la presentazione inizia. Silvio entra, e si prepara per l'intervista, senza la sue altre due "mani", quelle di Carla, che non è presente.
E via, si parla. Si parla di adolescenza, di ribellioni, di rivoluzione e di pazzia.
Quante belle parole tutte insieme.
Adolescenza, un corpo che sboccia, ma soprattutto una mente che sboccia. Nessuna certezza, se non la consapevolezza di avere tutto il mondo davanti a sè.
Ribellioni, cose che esplodono, che ricordano l'energia, la voglia di fare, di lottare. Rivoluzione, quella che ti scoppia dentro, che spazza via il vecchio e lascia posto al nuovo. Che porta una ventata di aria fresca, e da la forza per ricominciare.
Pazzia, nessuno bene sa ancora come definirla, nessuno ancora sa di possederla oppure no, così temuta eppure così desiderata.
Parole belle, che suonano bene, piene di significato, belle per tutti.
Sia per chi è adolescente, sia per chi lo è quasi, sia per chi dall'adolescenza ne è appena uscito (con un sospiro di sollievo o una lacrima, dipende), sia per chi l'adolescenza l'ha vissuta anni fa e la ricorda con un miscuglio di malinconia e tenerezza.
Tra battute, risate, e ricordi, Silvio ricorda la sua, di adolescenza, che si intreccia con quella di Matteo e di Sofia.
E tutti, in quella stanza, ci siamo sentiti un pò Matteo, un pò Sofia.
La brillantezza di Rivoluzionen9 sta nell'aver portato a galla, in un libro semplice, scorrevole e piacevole, uno dei temi più difficili, scostanti e incomprensibili della vita: il momento in cui capisci di fare parte del mondo, di essere un'entità autonoma, in cui i tuoi pensieri si delineano e tutto appare nuovo, come se nei quindici anni precedenti avessi vissuto nell'universo delle favole.

Matteo e Sofia sono tutti noi. Noi spogliati di tutte le maschere che abbiamo usato nella nostra adolescenza, noi spogliati delle nostre arroganze e dei nostri gusci che ci hanno protetti, dietro i quali ci nascondevamo mentre prendevamo tempo, per riuscire a capire che diavolo fossimo, cosa volessimo e soprattutto cosa
 diamine il mondo volesse da noi. 
E anche se fa un pò paura leggersi, vedersi lì, stampati su quelle pagine senza alcuna protezione, ci si sente parte di qualcosa. Di un processo che nessuno si scampa.
Di alcune paure, di un terrore che tutti hanno avuto, che tutti abbiamo avuto o che addirittura tutti abbiamo ancora, sotto sotto.

Perchè è così, io ogni tanto avrei solo voglia di chiudermi la porta forte alle spalle come fa Matteo con la musica a tutto volume, e ho paura di impazzire, e si, vorrei essere pazza e libera. E ogni tanto vorrei rifugiarmi dalla nonna, mettermi il pigiama rosa e farmi fare le carte. E vorrei avere avuto un Daniele tutto per me, un idolo.

E ci si sente meno soli, ci si culla dentro la convinzione che non si è gli unici ad aver vissuto tutto questo. Rivoluzinen9 ha colto tutto, tutti gli aspetti più sfuggenti di quando si passa dall'essere bambini all'essere adulti, così, da un giorno all'altro, senza nemmeno sapere perchè. Senza un avviso, senza nulla.
A sedici anni ti senti solo, ti senti stretto nel tuo corpo e vorresti cambiare, ma appena cambi vorresti tornare indietro, nella tua tana calda e sicura. Eppure non puoi.
E hai bisogno di una spinta, per andare avanti.
E Rivoluzionen9 dà questa spinta, anche a chi ormai l'adolescenza l'ha superata da un pò.


Mentre scorro le pagine, sorrido. Sorrido di malinconia e di tenerezza.
E sorrido in unico pensiero: "sì, sono proprio io".
Leggendo mi sembra di rivivere la mia rivoluzione, la mia ribellione, di esplodere di nuovo, c'è qualcosa in quelle pagine che riporta fuori tutta l'energia e la voglia di cambiare dell'adolescenza.
E mi fa sentire meno sola.



Anche mentre Silvio parla, e spiega, (anche se purtroppo senza Carla) c'è qualcosa in tutti noi che ci unisce, che ci rasserena e ci rende tutti complici, in un passaggio che abbiamo vissuto. Di una tappa che anche a distanza di anni, tutti abbiamo condiviso.

E così, per un attimo, ci si sente parte di qualcosa. Di qualcosa più grande di noi.

Grazie, Rivoluzionen9, per portato fuori la mia, di rivoluzione.
Forse la sto vivendo ancora adesso, forse non si smette mai.


venerdì 7 ottobre 2011

Sincerità, o ingenuità?

Crogiolandomi in questa prima vera giornata di autunno, con il mio fidato aerosol di fianco al pc, mi delizio con Ludovico Einaudi. Mmmh.
Ho amato questa giornata ventosa, assolata ma con i suoi soffi di vento pungenti, i primi che sussurrano l'arrivo dell'autunno, di qualcosa di nuovo, che si porterà via l'estate, l'afa, tutto ciò che di caldo e appiccicoso è rimasto, che ci ingombra e ci fa sentire goffi.
Stavo riflettendo su di un discorso che mi ha fatto l'Amica, qualche giorno fa.
Ed è stato uno di quei discorsi da secchiata d'acqua in faccia.
Uno di quei discorsi in cui ti senti presa a schiaffi dalla vita.
Come quando ti dicono che Babbo Natale non esiste.
Comunque, lei sostiene che nessuno sia mai sincero. 
Che anche la persona più onesta e fidata, nasconde qualcosa.
Alle persone che ama, ovviamente.
Nel rispetto degli altri, ma si nasconde qualcosa.
Qualche pensiero, qualche gesto, qualche sguardo.
E che le cose funzionano così.
Sono sempre andate così e andranno per sempre così.
Quindi è inutile che io mi crogioli nel senso di colpa e nell'autocommiserazione se nascondo una parola a mia madre, un pettegolezzo ad un'amica, o se la moglie nasconde una risata innocente al marito.
In inglese le chiamano white lies. 
Bugie a fin di bene.
Piccole omissioni, che il mondo fa ogni giorno per il quieto vivere.
Eppure, c'è qualcosa di sporco in tutto questo.
Ma lo vedo solo io?
E io che ho sempre creduto che le relazioni di ogni tipo si basassero sull'onestà.
E lei che mi risponde che non è mancanza di onestà, ma amore.
Omettere qualcosa per amore dell'altro.
Per vivere sereni.
Per non fare impazzire di preoccupazione la madre.
O di irritazione l'amica.
O di gelosia il marito.
Ma funziona davvero così?
E le poche persone che ancora non lo sanno e sono totalmente linde, pure, anime candide, se la prendono in quel posto?
Qualcosa mi dice di si.

Eppure, io continuo a pensarla a modo mio.
E mi sento irrequieta, come al solito.
Forse perchè la serenità in me non esiste. 

giovedì 6 ottobre 2011

Del caffè, del tè freddo e i placebo.

In questa pausa dalle lezioni, sono nella mia cucina bianca, sul mio tavolo bianco, con di fronte una parete bianca.
Questa casa dall'aspetto poco abitato sarà la mia umile dimora per più di metà anno. Quindi, ci si adatta.
Comunque, stamattina un pò assonnata mi collego dal mio I-phone (che devo ancora finire di pagare) mentre vado in università, ancora un pò assonnata, con la matita nera sugli occhi che già cola e il passo agile di una gazzella zoppa.
E scorro ovviamente la mia pagina di facebook, tossica di tecnologia e social networks come sono.
La mia home è inondata di "Stay hungry, stay foolish", video di Steve Jobs sul suo discorso del 2005 a Stanford, parole d'amore. E allora capisco, è morto.
E il cervello è andato oltre al dispiacere, alle commemorazioni di oggi che domani saranno solo messaggi di ieri, storia.
(Nonostante il motto di dispiacere, di vuoto, seppur lontano, incomprensibile, aleggi nella mia testa)
E' andato alla fine di un'era, in un certo senso.
O all'inizio di un'altra.
Di un'eredità lasciata a noi, a noi giovani, che ancora non ci rendiamo conto molto bene che il suo motto, la sua raccomandazione, non sono solo quattro parole che stanno bene insieme, che suonano bene e sono perfette come tweet o stato di facebook, o sono un bel pensiero.
Sono un modo di vivere, uno stato mentale,  che non va pensato dieci minuti al giorno, e poi si torna a fare il minimo indispensabile.
Non credo che Steve abbia fatto il minimo indispensabile, per arrivare dov'è. Dov'era.
Per fare il proprio lavoro, per seguire le lezioni all'università, per prendere un 18 e festeggiare.
E' sapersi prendere la vita che si vuole.
E' lottare, per quello che si vuole.
Fare in modo di andarsi a prendere il lavoro che si sogna, di trovarlo, di non accontentarsi.
E condivido pienamente tutto questo.
In un paese dove il tasso di disoccupazione giovanile è altissimo, dove si alza l'età pensionabile sempre di più ma i giovani, le menti fresche e innovative di oggi, che hanno tanto da dare quanto da imparare, forzalavoro che potrebbe dare il massimo, vengono lasciati fuori, indietro, per poi iniziare a lavorare seriamente a quarantanni e andare in pensione a sessanta, non dobbiamo aspettarcelo dai politici, il cambiamento.
Nè dai nostri genitori, o dagli insegnanti, o dai datori di lavoro.
Per cambiare le cose, ci vogliamo noi.
Quindi Steve, mi piacerebbe proprio essere il genio che inventerà l'innovazione del decennio, del secolo, riempirmi di soldi, essere realizzata e avere una famiglia stupenda.
Ma chiedo anche di meno, e mi piacerebbe sapere di fare qualcosa di bello, di grande nel mio piccolo, ogni giorno.
Hai cambiato il mondo, è vero, e probabilmente senza di te stamattina non avrei potuto leggere la notizia della tua morte sul mio I-phone. (La cosa si sta facendo contorta.)
Ma credo che da te si dovrebbe imparare la tenacia, la passione, la voglia di cambiare e l'entusiasmo di fare, oltre che il genio.
Quello però, purtroppo, credo che non si possa imparare.
Ci piace così tanto parlare di grandi ideali, di grandi passioni che muovono gli animi, di sogni lontani e desiderio di gloria, ma tutte queste belle parole rimangono nei nostri cassetti, un pò impolverate e malinconiche.
Quindi, che le tue parole, Stewie (non me ne volere), siano molto più che un motto. Ma un modo di vivere.
E oggi, prenditi i tweet del mondo intero per salutarti, e gongola un pò.

giovedì 29 settembre 2011

Il buongiorno si vede dal mattino...

..e te ne accorgi subito quando è una giornata del ca.
Un sogno mirabolante di quelli che fanno sudare freddo, di quelli che quando apri gli occhi rimani per qualche istante in un limbo, tra la tua vera vita e quella parallela onirica, e quasi quasi preferisci la tua vera, banale e noiosa vita a quel mucchio di follie che hai sognato.
Insomma, già parti bene.
Quando hai recuperato la tua facoltà di intendere e di volere, scopri di esserti alzata circa un'ora e mezza dopo l'orario che ti eri data, avendo spento la sveglia con un mugolio.
I buoni propositi della mattinata sono andati a farsi fottere insieme al buon sonno rigenerante, rovinato dall'incubo di cui sopra.
Ma nonostante ciò, trascini il tuo adorabile corpicino fuori dal letto, sei sola in casa e c'è il sole.
Alessandra 1 - vita 1.
E siete tornati pari.
Prepari la colazione, una spremuta fresca e un plum cake, e una serie di sfortunati messaggi e parole ti riporta alla realtà della tua esistenza: mille questioni in sospeso e programmi non conclusi che ti roderanno per il resto della giornata, o se sei fortunata, del weekend.
La mail del padrone di casa di Milano che doveva dirti la lettura del contatore del gas, per fare in modo che TU possa chiamare per fare il subentro e quindi avere l'acqua calda da lunedì, NON è arrivata, casualità.
Quindi già ti prospetti la prima settimana di lezione sgranocchiando insalata di riso fredda, pizza take-away ed emicrania costante causa doccia a -20 gradi.
Il ritorno della simpatica coppia che ti ha messo al mondo in modalità scazzo NON migliora le cose, e scoprire che le tue analisi del sangue sono impeccabili tranne, e dico tranne, quel valore del colesterolo totale a 235 invece di 200 danno una botta completa alla tua giornata.


Menomale che cose come rivoluzione n9 e le serie in streaming sono state inventate per alleggerirti la vita. E snodare quel nodo che ti porti all'altezza dello stomaco. Irrequieta, come al solito. 

Giocando con i numeri..

Per tirare le somme.
Di quest'anno. Personalmente, di questi ultimi quattro mesi.
Se giro la testa all'indietro, chiudo gli occhi un istante, e mi rivedo solo sei mesi fa, mi accarezzo debolmente i capelli e sorrido alla me che ero.
Quest'anno per me è stato USA.
E' stato coronare il sogno che avevo fin da quando ho appeso la cartina degli States di fianco al letto, puntando il dito ogni sera in uno stato diverso.
Ho messo piede nella sfavillante New York, così perfetta come l'ho sempre sognata, e soprattutto con CHI ho sempre sognato di andarci. Per la prima volta, in punta di piedi. Trattenendo il fiato.
Credo non dimenticherò mai il momento in cui stavamo atterrando a Newark (si, anche perchè non credevo che quel minuscolo aereo traballante riuscisse ad atterrare senza spalmarsi sulle case) e da lontano ho visto l'Empire State Building e piccolissima laggiù Lady Liberty.
Il mio sogno americano è diventato realtà e purtroppo ancora prima di rendermi conto di tutto quello che mi stava accadendo ero già ranicchiata su un sedile in economica sul volo Tap che mi riportava in Europa.
L'America è così come la vedi, così come la immagini.
Sfavillante, telefilmica.
Irrazionale, povera.
Ricca, luminosa.
Illimitata, sconosciuta.
Disabitata ma anche sovraffollata.
Una contraddizione e un paradosso.
Libertà e regole.
Siamo sicuri che Hollywood sia limitata a Los Angeles?
Mi sembra tutto un grande set cinematografico, dove nulla è lasciato al caso.
Ho amato ogni centimetro di US che ho calpestato e sorvolato.
Le distese illimitate del Minnesota, senza una collina a vista d'occhio, i suoi milioni di laghi, le sue villette.
I grandi laghi visti dall'aereo, la desolazione di Minneapolis e la vitalità dei suoi dintorni.
Tanti piccoli colpi di fulmine, che hanno solamente solidificato la grande storia d'amore che c'è tra me e il Nuovo Mondo. Che non vedo l'ora di esplorare di nuovo.

E' stato l'anno del mio lancio a Milano tutta sola.
Tutta sola senza di Lui, che è rimasto nel Nuovo Mondo.
Piccoli grandi passi per la piccola Alessandra.
Che ha imparato a camminare da sola.
Ed è troppo bello quando inizi, che non smetti più.
E' stato l'anno del mio viaggio a Londra solitaria.
Io, la mia valigia e le cuffie nelle orecchie.
Io che viaggio da sola su un aereo.
Mi riguardo indietro e sorrido di nuovo a quella che ero.
Così piccola, così impaurita.
Ora sono ancora piccola, ma meno impaurita.

E' stato l'anno dei tre anni insieme.
Festeggiati davanti allo schermo di un pc, mangiando io cena e Lui pranzo.
Un appuntamento insolito.
E' stato l'anno in cui ci siamo riscoperti più forti.
In cui tutto quello in cui abbiamo creduto è stato messo a dura prova.
Mi guardo.
Si, anche da me.
Messo a dura prova dalle mie scenate da bambina, dalle mie paure.
Dalle mie incertezze.
E si, devo ammettere anche da lui.
E alla fine, siamo sempre qui.
Cresciuti.
Faccio una carezza a me e a Lui di tre anni fa.
Le cose cambiano, le persone cambiano, anche i sentimenti lo fanno.
Si cresce, si cambia idea, si vogliono altre cose.
Ma ogni tanto, si cambia insieme.

Venerdì torna.
A Linate.
Io sento già il cuore che mi rimbomba nel petto al pensiero.
Mi vedo sulla metro e sull'autobus a sudare freddo con le mani attorcigliate in tasca.
Mi vedo esplodere al suo arrivo.
Mi vedo sommersa, affogata da mille sensazioni, amplificate.
Mi abbraccio, mentalmente.
Mi preparo, perchè già mi tremano le gambe.
Mentre sono qui, a tirare le somme di questo nuovo capitolo di quella che sono,
che sa un pò di nuovo, un pò di antico.
Un pò di stampante, un pò di libro impolverato di biblioteca.
Che buon profumo.

In questo viaggio chiamato TRENO..

Quante ore passa un essere umano con il fondoschiena appoggiato ad una lurida poltroncina di un intercity nell'arco di una vita?
Mah, non lo calcolerò mai per pigrizia e soprattutto per evitarmi un colpo al cuore. O uno scatto d'ira.
Comunque oggi, nel mio intercity delle 15.05, con cuffie nelle orecchie, ragazza bionda dell'est con profondi occhi azzurri di fronte e gli altri sei sedili occupati da una famiglia abbronzata e lampadata, pensavo a quante vite incrociamo in treno.
Livello di banalità del pensiero: 10.
Fatto sta, che tanti incontri in treno non dico che cambiano la vita, ma magari cambiano la giornata, toh.
O almeno l'ora successiva.
In meglio oppure in peggio, è vero. Tanto, tanto tanto peggio, a volte.
Ma devo dire che - fortunatamente - tante volte alcuni incontri mi hanno migliorato l'umore.
Anche per poco, sì.
Ma quel sorrisetto mentale mentre guardo fuori dal finestrino che tante cose mi hanno procurato ancora me lo ricordo.
Oggi per esempio avevo questa famiglia che occupava quattro posti di scompartimento.
Mi guardo intorno.
Scruto.
Curiosa.
Curiosa di entrare in un microscopico pezzo di vita altrui.
Molesta come sono, ogni tanto ascolto i discorsi.
Non capisco dove devono andare, scendono a Genova e poi proseguono in macchina.
Sono una famiglia alquanto anomala.
Genitori (?) decisamente lampadati, bimbo di una decina d'anni e fratello che ne avrà avuti  al massimo 18.
Chiacchierano, mangiano.
Parlano di imparare il portoghese, il figlio piccolo mi offre una caramella.
Io trasalisco dalle cuffie ma sorrido, un sorriso vero, di gratitudine.
Faccio di no con la testa, rigraziando.
Lui mi dice "Ma è buona, eh!"
Io annuisco e dico che lo so.
Primo sorriso della giornata andato.
Il fratello più grande mi mette la valigia sulla grata, il padre mi chiede di che modello è il mio telefono, se è uguale al suo.
Frammenti sconnessi di conversazioni, che mi fanno sentire più umana.
Non solo un'ombra muta che osserva il sole che tramonta fuori dal finestrino.
A Genova scendono. Mi salutano.
Io auguro buon viaggio e il fratello grande mi dice: "Anche a lei."
Sorrido di nuovo, non posso farne a meno.
Ma induco così timore da darmi del lei?
Perchè fisicamente potrei anche dimostrare 16 anni scarsi.
Ho giusto il tempo di sgranchirmi la schiena che un'altra marea di gente risale.
Di fronte a me si siede un uomo di mezza età che in mezzo francese e in mezzo inglese mi chiede se il treno va a Ventimiglia.
Deve andare a Nizza, da sua moglie.
Io azzardo un "Vous etez français?" e lui sorride.
Mi dice che non è francese, ma vive in Francia.
Un gruppo di quattro ragazzi che parla una lingua che non riesco a riconoscere occupa il posto della famiglia.
Quando arriva il momento di scendere, mi tirano giù la valigia, si alzano per farmi passare.
E allora lì capisco.
Capisco che tante cose possono cambiarti la giornata.
Un gesto gentile da uno sconosciuto è decisamente uno di questi.
Gesti che vanno oltre le lingue, le parole, il gesticolare.
Che vanno oltre l'età e la destinazione del viaggio.
E' qualcosa che ti scalda dentro, qualcosa di umano che si insinua.
E' fare parte di qualcosa.
Anche se è la vita di uno sconosciuto e che probabilmente non vedrai mai più.
Ma con cui hai condiviso, anche se in silenzio, anche con un gesto, una parte del tuo enorme viaggio.

L'estate fredda..

..no, non dei morti. Quelli li abbiamo passati da un pò.
Eppure qui si staziona sui 15 gradi, sole e tempo terso.
Pure a Milano ieri c'era un sole che faceva ben sperare e addirittura un bel venticello.
Gentile concessione dell'apocalisse? Maaaah.
Mio padre parla di lune in ritardo.
Io parlo di surriscaldamento globale.
Comunque, dal mio monoloculo di Milano questa settimana ho potuto aggiornarmi sulla manovra, le manovre, i tagli i cuciti le aggiunte e tutto quel che ne consegue.
Più volte, essendo da sola mi sono giostrata tra tutti i tg possibili.
No, il tg4 no, se ve lo state chiedendo.
Comunque, da brava linguista che ha fatto lo scientifico e non ha mai capito una parola di economia, vagavo con gli occhi davanti alla televisione come quando qualcuno ti parla di qualcosa convinto che lo stai seguendo e invece brancoli nel buio.
Qualcosa però l'ho capita: ci stanno, come al solito, inchiappettando.
L'ICI sulla prima casa ritorna, come un regalo di Natale.
Bentornato, ecco.
Però Monti rinuncia al suo stipendio. Uno dei tre.
Almeno è un bel gesto simbolico.
Leggo anche che il ristorante del Senato non fa più pagare il filetto 2,76 euro.
Tante buone cose.
Aumentano le tasse, aumenta la benzina.
Aumenta anche la velocità a cui girano le palle, immagino.
Quello che non aumenta sono i posti di lavoro, i soldi per la ricerca, le borse di studio.
Però continuiamo ad andare in pensione sempre più tardi: infondo, il ragionamento non fa una piega.
Contando che inizierò a lavorare a 40 anni, è giusto che almeno vada in pensione a 70!
Come sono polemica.
Non ho ancora capito se ho una posizione o i miei pensieri confusi vagano da una parte all'altra.
Beata ignoranza mia.

Altra polemica, che mi piace tanto.
Abbiamo appreso, alle soglie del 2012, i Maya e la fine, che il cappuccetto, il palloncino, quel cosetto viscido e trasparente, è una parola tabù. Censurata, eliminata.
Ma gondone posso dirlo?
Condom?
Non sono stati specifici.
Comunque vedo che ci concentriamo sempre sui problemi fondamentali.
Centriamo sempre il punto.
Insieme all'esplosione di collera e ira funesta per i cartelloni della nuova campagna di Benetton.
Che io trovo adorabile, peraltro.
Preti che baciano suore, il Papa che bacia l'Imam, Obama che bacia il presidente cinese.
Ed è subito inferno. No, non solo in senso figurato.
Blasfemia, indignazione, esorcismi (?).
Ed io che l'ho vista e ho pensato: ragazzi, sembra di fare un passo avanti.
Un bacio simbolico a tout le monde.Non si stanno mica infilando sei metri di lingua.
Non è un porno, ve lo giuro.
Una campagna che abbatte le barriere politiche, etniche e religiose.
SBAM. Che potenza in solamente una manciata di foto.
Eppure, i fedeli si sentono feriti nei loro sentimenti.
Da cosa, mi vien da dire.
Dalla scritta in grassetto che campeggia sotto ogni foto, UNHATE ?
Dal simbolo di pace in ogni contesto sociale, politico e religioso?

.....

Va bene, sento già il pizzichio delle fiamme che raggiunge il mio fondoschiena...

Banlieue 13 Ultimatum. Ovvero: a cosa porta lo zapping.

Oggi stavo aspettando che il pranzo fosse pronto (leggi: scaldare le lasagne di ieri), e tra lo sfogliare un giornale e fare zapping distratta sono capitata su Rai4, e ho mantenuto il canale per almeno un minutino.
Ottima scelta, dato che stava passando Banlieue 13 - Ultimatum.

Cosa sarà mai - mi chiederete?
Ebbene, non ne avevo la più pallida idea.
Poi ho cercato sull'Iphone (la pigrizia di non alzarmi dal divano per arrivare al pc), e ho trovato la trama.



E' un film di un regista francese, Patrick Alessandrin, del 2009.
E' la storia di una Parigi neofuturista, circondata da banlieues, appunto, distinte in gruppi etnici, che ovviamente vivono in condizioni di vita molto sotto la decenza.
I due eroi di turno, un poliziotto e un abitante della banlieu, cercheranno di salvare questi enormi quartieri popolari dalla distruzione e i loro abitanti da una vita da schiavi, facendo in modo che il presidente della Repubblica francese non prema il maledetto bottone per far saltare in aria quartieri che contengono vari milioni di abitanti (precedentemente svuotati, almeno questo).

Il finale ve lo lascio scoprire.

Comunque, apprezzo particolarmente i film francesi. Prima di tutto perchè sono riconoscibili: la musica è qualcosa di distintivo e cullante.
In questo caso un misto tra rap-house ritmata che ricorda molto le gang di periferia e qualche scena clou di Fast and Furious.
In secondo luogo, amo il largo uso di scene in cui gli eroi combattono (e vincono), fuggono e lottano praticando il parcour.
Sapete cos'è?

Ve lo spiego io: il parcour è uno sport, molto diffuso tra i giovani, che consiste nel fare del paesaggio urbano la propria palestra, allenando il corpo a saltare, arrampicarsi e servirsi di ogni anfratto metropolitano per aumentare la velocità o raggiungere posti angusti.
Altamente spettacolare e di grande intrattenimento, questo sport ricorda un misto di Lara Croft in fuga e guerrieri asiatici.



Infine, la grande morale.
E' un film fresco, giovane, ad alto livello di suspance, che riesce a trattare un argomento di estrema attualità come il degrado delle periferie, e soprattutto di quelle francesi, senza cadere nel documentario ma anzi appassionando il consumatore.
Le diverse etnie, qui dipinte come diversi Clan con un capo per ognuno (la bella asiatica che ricorda si una Lara Croft, insieme all'arabo e al nero tutto muscoli e sudore), si uniscono, si mettono d'accordo, per il bene comune: ovvero, la pace e la prosperità.
Divisi dal colore della pelle e dalle tradizioni, uniti dall'interesse. La vita.
Una sorta di Robin Hood del nuovo millennio: picchiano i ricchi per dare una vita migliore ai poveri.



Mi ricorda sapori di lotta per il bene contro il male, popoli che oltrepassano ogni confine per l'unione, contro i governi e contro le ingiustizie sociali, senza sfociare in nulla di troppo violento o fuori luogo.


Un film scoperto per caso, che non posso fare altro che consigliare.

Ma se ghe penso..

..la mia povera Liguria. E poi il piemonte, il Po, e Napoli.
E tutti si stanno battendo per trovare qualcosa, qualcuno a cui dare la colpa. Chi se l'è presa con il sindaco, le scuole aperte, l'allarme troppo basso nonostante il largo anticipo.
Perchè è così, bisogna scatenarla la rabbia, l'indignazione, il dolore. Il dolore di chi ha perso una famiglia, una sorella, una moglie.
Bisogna trovare qualcuno verso cui puntare il dito, da cui pretendere delle scuse, una magia, che riporti indietro quello che adesso non è più.
Eppure.
Io sono dell'idea che il Sindaco possa aver fatto, magari, scelte sbagliate.
Ma che in certi casi la natura va assecondata, coccolata e protetta.
Per non farla scagliare contro di noi.

Genova si inerpica su per colline, i suoi budelli sono tortuosi così come i mille torrenti, canali che la attraversano, per arrivare al mare. E alla prima pioggia, non hanno più spazio per scorrere.
E quindi, di chi è la colpa?
Solo di una cosa, mi commuovo.
E mi stringo nelle spalle, con un brivido.
Nel vedere le foto, le testimonianze di chi, in questi giorni, armato di stivali di gomma, acqua e buona volontà, sta lavorando per ripulire Genova, per coccolarla e farla risplendere.
Chi, anche non essendo di Genova, prende un treno per andare ad affondare le mani nel fango, con il sudore sulla fronte per spostare un divano squarciato in mezzo ad una strada.
E la vera forza, sono loro.
Che si offrono, a centinaia, per andare a medicare una Genova ferita, umiliata, in lutto.
Tutto questo è la più grande sorpresa che la natura, in questi giorni, poteva darci.

Sperando di avere imparato, e di imparare sempre di più, a prenderci cura di lei. 

Un giorno in più..e tutto cambia.

I tecnici Fastweb che latitano mi impediscono di dare voce alle baggianate che mi passano per la testa durante la settimana. Ma sì, è nel weekend che riesco a liberare il mio esercito di pensieri e a stiparlo bene qui sopra.
Comunque.
Stavo riflettendo, alcuni giorni fa, nel dormiveglia, sprofondando in uno di quei momenti di follia acuta, sulla morte.

Ma no, non in modo così macabro, giuro.
Però ho vissuto una settimana circondata da immagini di un ragazzo riccioluto e sorridente, con un accento simpatico, che aveva appena tre e dico TRE anni più di me, che da un momento all'altro ha perso la vita.
Allegro, un accento tutto da strapazzare, dei ricci da prendere in giro.
Un  minuto scherza, e l'altro via, chissà dove. 

Di sicuro non qui, perchè tutti ne sentono la mancanza. 
Eppure io, deficiente (nel senso di deficere) di sport, avevo forse ma dico forse sentito il suo nome citato da qualche parte.
Ma ciò non mi ha impedito di andare a vedere il video dell'incidente, con una curiosità morbosa di cui ovviamente mi vergogno, i servizi al telegiornale e addirittura uno spezzone del funerale in diretta (ma quello solo per la morbosità della mia coinquilina), con annesse lacrime spazzate via con la mano e riflessioni su come sia sbagliato e tutto ciò che ne viene.

Fatto sta, la morte in diretta fa sempre la sua porca figura.
Scusate i termini, ma non c'è niente di più vero.
Forse perchè è un modo di sfatarla, o per allontanare la nostra paura, per lo stesso motivo per cui rischiamo un incidente fermandoci per vedere il vero incidente.

Ma volevo arrivare ad un punto.
Io sono tremendamente dispiaciuta per Marco, Sic, la sua passione e la sua vita spezzata.
Non riesco a immaginare il dolore di nessuno, io probabilmente non lo supererei.
E queste tre parole in croce dimostrano quanto banale sia quello che ho da dire.
Ma quello che mi incrina il sorriso triste, quello che stona in tutto questo dolore e in questo affetto nel ricordarlo, è la polemica.
La polemica di chi parla di ipocrisia, di chi parla di ossessione, di chi parla di ingiustizie.
Perchè l'opinione pubblica si è ovviamente spaccata in due, senza spazio alle sfumature.
Da una parte chi ancora piange pensando a Marco, chi ama ricordarlo, chi pubblica foto ogni giorno sui social networks, e dall'altra chi ritiene tutto una farsa, un'ipocrisia, un'esagerazione e si batte per dare voce alle vittime del terremoto in Turchia, alla scomparsa dell'inventore del pacemaker
   e di una simpatica signora che ha salvato migliaia di bambini ai tempi della seconda guerra mondiale, Irena Sendler.

Il risultato?
La gente SI BATTE per dare voce ai morti.

Ora, seguendo un mio percorso logico, tutto questo mi sembra assurdo.
Perchè tutto cade nel personale.
Invece che commemorare, o al massimo lasciare spazio alle notizie, farle circolare, ci battiamo in una gara senza fine per trovare un personaggio importante da citare, per sfatare il mito del funerale con moto di Simoncelli, o degli Apple stores ridotti ad altari per Steve Jobs.

E tutto questo smette di riguardare loro, che ci hanno lasciato (e probabilmente sbuffano e ridono ovunque siano adesso), e inizia a riguardare noi.
Noi, che vogliamo avere ragione.
Noi che piuttosto vorremmo pubblicare la fotografia di Juhnil, l'orso polare morto l'anno scorso dopo aver salvato almeno trenta cuccioli, per avere una decina di retweet e qualche "i like it" su Facebook.
Perchè non basta più avere la possibilità di vedere le notizie in televisione, in radio, sui giornali, e commentarle a voce, insieme.
Per sentirsi completi bisogna avere ragione.

E trasformare le morti in armi di battaglia in questa retorica senza fine.
E, come in ogni battaglia, ci si schiera. O nelle foto ricciolute, o in chi ritiene sia tutta un'ipocrisia.
Non c'è una via di mezzo.
Un "si forse bisognerebbe lasciare in pace i genitori di Marco, e mediatizzare meno un evento così triste, e dare spazio anche alle vittime "civili", silenziose, che non hanno concerti con la musica di Vasco alla fine".
Un'opinione, un "sì è vero ma..", un commento.
Non c'è spazio per questo, ma solo per una grande polemica.
E questo sì, che mi mette tristezza.



Ma poi un pò sorrido. 
Perchè nel mio strambo modo di vedere le cose, magari Steve Jobs sta facendo girogirotondo per mano a Simoncelli, facendo ridere i bambini Turchi con le Apps dell'Ipad, Irena e tutti i suoi bambini salvati che giocano ad Angry Birds e Greatbatch che si fa crescere i ricci come Sic.
E tutti si fanno grasse risate di noi che qui sprechiamo il nostro tempo a polemizzare. 


Che sapore ha la serenità?

Eh. Che sapore ha?
Perchè a me pare qualcosa di dolce, di avvolgente. Ma allo stesso tempo qualcosa di speziato, di pungente, di inebriante. Qualcosa che avvolge e inebria, ecco.
Qualcosa che senti con la punta della lingua, che si sparge per tutto il tuo corpo.
E non sono nemmeno sicura di averla gustata abbastanza.
A volte è solo un pizzico sulla punta della lingua, raramente è una boccata piena.
Uno di quei gusti che sai di apprezzare, ma che non riesci bene a focalizzare, se ci ripensi.

E io riesco a focalizzarlo più intensamente a volte, molto meno altre.
Ci siamo mai chiesti, cosa vuol dire essere sereni?

Ci siamo mai fermati qualche minuto a realizzare quali sono gli ingredienti, per la serenità?
O forse la serenità arriva solo quando non si è ossessionati dalla sua ricerca?

Può darsi.
Eppure non posso fare a meno di chiedermelo. 
Soprattutto nei momenti in cui riesco ad assaporarla con la punta della lingua.
Perchè si, ne voglio di più.

Ne voglio ancora, voglio che non finisca mai.
Voglio ubriacarmi di serenità.

Eppure, silenziosa com'è arrivata, se ne va. 
E tu rimani così, con ancora quel sapore in bocca, ma che dopo qualche attimo è già svanito.
Perchè infondo, cosa conta più della serenità?

I soldi, l'amore, la salute, i viaggi..tutto è una somma, tutto è un mezzo per arrivare all'obiettivo finale: vivere serenamente.
E lottiamo ogni giorno per questo.
E fatichiamo, per questo.
Arriviamo anche a strapparci i capelli, per quell'attimo di serenità che ci spetta.

Ecco, io oggi il mio attimo di serenità l'ho assaporato con tutte le cellule del mio corpo: una giornata di sole, fredda, tersa, ventosa. Ho tirato le tende, la spiaggia deserta e il mare calmo e piatto a darmi il buongiorno. La casa silenziosa. Il profumo del caffè appena fatto, una spremuta e una fetta di torta fatta in casa.
Colazione davanti alla lettura delle notizie del giorno, un sorriso davanti alla Playlist dei miei ultimi dieci anni di Vanity Fair.
Una commissione in centro, in macchina con qualche canzone canticchiata sottovoce.
Ed eccola qui, la mia mattinata di serenità.

Eppure, schiocco la lingua sul palato, e ora sta già svanendo.. 

Qualche ora alla Fnac..

Ore 18. In una Milano tipicamente autunnale, che si appresta a finire la propria giornata.
Io e Elena siamo lì. In quella stanzetta della Fnac, sedute a terra, e la presentazione inizia. Silvio entra, e si prepara per l'intervista, senza la sue altre due "mani", quelle di Carla, che non è presente.
E via, si parla. Si parla di adolescenza, di ribellioni, di rivoluzione e di pazzia.
Quante belle parole tutte insieme.
Adolescenza, un corpo che sboccia, ma soprattutto una mente che sboccia. Nessuna certezza, se non la consapevolezza di avere tutto il mondo davanti a sè.
Ribellioni, cose che esplodono, che ricordano l'energia, la voglia di fare, di lottare. Rivoluzione, quella che ti scoppia dentro, che spazza via il vecchio e lascia posto al nuovo. Che porta una ventata di aria fresca, e da la forza per ricominciare.
Pazzia, nessuno bene sa ancora come definirla, nessuno ancora sa di possederla oppure no, così temuta eppure così desiderata.
Parole belle, che suonano bene, piene di significato, belle per tutti.
Sia per chi è adolescente, sia per chi lo è quasi, sia per chi dall'adolescenza ne è appena uscito (con un sospiro di sollievo o una lacrima, dipende), sia per chi l'adolescenza l'ha vissuta anni fa e la ricorda con un miscuglio di malinconia e tenerezza.
Tra battute, risate, e ricordi, Silvio ricorda la sua, di adolescenza, che si intreccia con quella di Matteo e di Sofia.
E tutti, in quella stanza, ci siamo sentiti un pò Matteo, un pò Sofia.
La brillantezza di Rivoluzionen9 sta nell'aver portato a galla, in un libro semplice, scorrevole e piacevole, uno dei temi più difficili, scostanti e incomprensibili della vita: il momento in cui capisci di fare parte del mondo, di essere un'entità autonoma, in cui i tuoi pensieri si delineano e tutto appare nuovo, come se nei quindici anni precedenti avessi vissuto nell'universo delle favole.

Matteo e Sofia sono tutti noi. Noi spogliati di tutte le maschere che abbiamo usato nella nostra adolescenza, noi spogliati delle nostre arroganze e dei nostri gusci che ci hanno protetti, dietro i quali ci nascondevamo mentre prendevamo tempo, per riuscire a capire che diavolo fossimo, cosa volessimo e soprattutto cosa
 diamine il mondo volesse da noi. 
E anche se fa un pò paura leggersi, vedersi lì, stampati su quelle pagine senza alcuna protezione, ci si sente parte di qualcosa. Di un processo che nessuno si scampa.
Di alcune paure, di un terrore che tutti hanno avuto, che tutti abbiamo avuto o che addirittura tutti abbiamo ancora, sotto sotto.

Perchè è così, io ogni tanto avrei solo voglia di chiudermi la porta forte alle spalle come fa Matteo con la musica a tutto volume, e ho paura di impazzire, e si, vorrei essere pazza e libera. E ogni tanto vorrei rifugiarmi dalla nonna, mettermi il pigiama rosa e farmi fare le carte. E vorrei avere avuto un Daniele tutto per me, un idolo.

E ci si sente meno soli, ci si culla dentro la convinzione che non si è gli unici ad aver vissuto tutto questo. Rivoluzinen9 ha colto tutto, tutti gli aspetti più sfuggenti di quando si passa dall'essere bambini all'essere adulti, così, da un giorno all'altro, senza nemmeno sapere perchè. Senza un avviso, senza nulla.
A sedici anni ti senti solo, ti senti stretto nel tuo corpo e vorresti cambiare, ma appena cambi vorresti tornare indietro, nella tua tana calda e sicura. Eppure non puoi.
E hai bisogno di una spinta, per andare avanti.
E Rivoluzionen9 dà questa spinta, anche a chi ormai l'adolescenza l'ha superata da un pò.


Mentre scorro le pagine, sorrido. Sorrido di malinconia e di tenerezza.
E sorrido in unico pensiero: "sì, sono proprio io".
Leggendo mi sembra di rivivere la mia rivoluzione, la mia ribellione, di esplodere di nuovo, c'è qualcosa in quelle pagine che riporta fuori tutta l'energia e la voglia di cambiare dell'adolescenza.
E mi fa sentire meno sola.



Anche mentre Silvio parla, e spiega, (anche se purtroppo senza Carla) c'è qualcosa in tutti noi che ci unisce, che ci rasserena e ci rende tutti complici, in un passaggio che abbiamo vissuto. Di una tappa che anche a distanza di anni, tutti abbiamo condiviso.

E così, per un attimo, ci si sente parte di qualcosa. Di qualcosa più grande di noi.

Grazie, Rivoluzionen9, per portato fuori la mia, di rivoluzione.
Forse la sto vivendo ancora adesso, forse non si smette mai.


Sincerità, o ingenuità?

Crogiolandomi in questa prima vera giornata di autunno, con il mio fidato aerosol di fianco al pc, mi delizio con Ludovico Einaudi. Mmmh.
Ho amato questa giornata ventosa, assolata ma con i suoi soffi di vento pungenti, i primi che sussurrano l'arrivo dell'autunno, di qualcosa di nuovo, che si porterà via l'estate, l'afa, tutto ciò che di caldo e appiccicoso è rimasto, che ci ingombra e ci fa sentire goffi.
Stavo riflettendo su di un discorso che mi ha fatto l'Amica, qualche giorno fa.
Ed è stato uno di quei discorsi da secchiata d'acqua in faccia.
Uno di quei discorsi in cui ti senti presa a schiaffi dalla vita.
Come quando ti dicono che Babbo Natale non esiste.
Comunque, lei sostiene che nessuno sia mai sincero. 
Che anche la persona più onesta e fidata, nasconde qualcosa.
Alle persone che ama, ovviamente.
Nel rispetto degli altri, ma si nasconde qualcosa.
Qualche pensiero, qualche gesto, qualche sguardo.
E che le cose funzionano così.
Sono sempre andate così e andranno per sempre così.
Quindi è inutile che io mi crogioli nel senso di colpa e nell'autocommiserazione se nascondo una parola a mia madre, un pettegolezzo ad un'amica, o se la moglie nasconde una risata innocente al marito.
In inglese le chiamano white lies. 
Bugie a fin di bene.
Piccole omissioni, che il mondo fa ogni giorno per il quieto vivere.
Eppure, c'è qualcosa di sporco in tutto questo.
Ma lo vedo solo io?
E io che ho sempre creduto che le relazioni di ogni tipo si basassero sull'onestà.
E lei che mi risponde che non è mancanza di onestà, ma amore.
Omettere qualcosa per amore dell'altro.
Per vivere sereni.
Per non fare impazzire di preoccupazione la madre.
O di irritazione l'amica.
O di gelosia il marito.
Ma funziona davvero così?
E le poche persone che ancora non lo sanno e sono totalmente linde, pure, anime candide, se la prendono in quel posto?
Qualcosa mi dice di si.

Eppure, io continuo a pensarla a modo mio.
E mi sento irrequieta, come al solito.
Forse perchè la serenità in me non esiste. 

Del caffè, del tè freddo e i placebo.

In questa pausa dalle lezioni, sono nella mia cucina bianca, sul mio tavolo bianco, con di fronte una parete bianca.
Questa casa dall'aspetto poco abitato sarà la mia umile dimora per più di metà anno. Quindi, ci si adatta.
Comunque, stamattina un pò assonnata mi collego dal mio I-phone (che devo ancora finire di pagare) mentre vado in università, ancora un pò assonnata, con la matita nera sugli occhi che già cola e il passo agile di una gazzella zoppa.
E scorro ovviamente la mia pagina di facebook, tossica di tecnologia e social networks come sono.
La mia home è inondata di "Stay hungry, stay foolish", video di Steve Jobs sul suo discorso del 2005 a Stanford, parole d'amore. E allora capisco, è morto.
E il cervello è andato oltre al dispiacere, alle commemorazioni di oggi che domani saranno solo messaggi di ieri, storia.
(Nonostante il motto di dispiacere, di vuoto, seppur lontano, incomprensibile, aleggi nella mia testa)
E' andato alla fine di un'era, in un certo senso.
O all'inizio di un'altra.
Di un'eredità lasciata a noi, a noi giovani, che ancora non ci rendiamo conto molto bene che il suo motto, la sua raccomandazione, non sono solo quattro parole che stanno bene insieme, che suonano bene e sono perfette come tweet o stato di facebook, o sono un bel pensiero.
Sono un modo di vivere, uno stato mentale,  che non va pensato dieci minuti al giorno, e poi si torna a fare il minimo indispensabile.
Non credo che Steve abbia fatto il minimo indispensabile, per arrivare dov'è. Dov'era.
Per fare il proprio lavoro, per seguire le lezioni all'università, per prendere un 18 e festeggiare.
E' sapersi prendere la vita che si vuole.
E' lottare, per quello che si vuole.
Fare in modo di andarsi a prendere il lavoro che si sogna, di trovarlo, di non accontentarsi.
E condivido pienamente tutto questo.
In un paese dove il tasso di disoccupazione giovanile è altissimo, dove si alza l'età pensionabile sempre di più ma i giovani, le menti fresche e innovative di oggi, che hanno tanto da dare quanto da imparare, forzalavoro che potrebbe dare il massimo, vengono lasciati fuori, indietro, per poi iniziare a lavorare seriamente a quarantanni e andare in pensione a sessanta, non dobbiamo aspettarcelo dai politici, il cambiamento.
Nè dai nostri genitori, o dagli insegnanti, o dai datori di lavoro.
Per cambiare le cose, ci vogliamo noi.
Quindi Steve, mi piacerebbe proprio essere il genio che inventerà l'innovazione del decennio, del secolo, riempirmi di soldi, essere realizzata e avere una famiglia stupenda.
Ma chiedo anche di meno, e mi piacerebbe sapere di fare qualcosa di bello, di grande nel mio piccolo, ogni giorno.
Hai cambiato il mondo, è vero, e probabilmente senza di te stamattina non avrei potuto leggere la notizia della tua morte sul mio I-phone. (La cosa si sta facendo contorta.)
Ma credo che da te si dovrebbe imparare la tenacia, la passione, la voglia di cambiare e l'entusiasmo di fare, oltre che il genio.
Quello però, purtroppo, credo che non si possa imparare.
Ci piace così tanto parlare di grandi ideali, di grandi passioni che muovono gli animi, di sogni lontani e desiderio di gloria, ma tutte queste belle parole rimangono nei nostri cassetti, un pò impolverate e malinconiche.
Quindi, che le tue parole, Stewie (non me ne volere), siano molto più che un motto. Ma un modo di vivere.
E oggi, prenditi i tweet del mondo intero per salutarti, e gongola un pò.

Il buongiorno si vede dal mattino...

..e te ne accorgi subito quando è una giornata del ca.
Un sogno mirabolante di quelli che fanno sudare freddo, di quelli che quando apri gli occhi rimani per qualche istante in un limbo, tra la tua vera vita e quella parallela onirica, e quasi quasi preferisci la tua vera, banale e noiosa vita a quel mucchio di follie che hai sognato.
Insomma, già parti bene.
Quando hai recuperato la tua facoltà di intendere e di volere, scopri di esserti alzata circa un'ora e mezza dopo l'orario che ti eri data, avendo spento la sveglia con un mugolio.
I buoni propositi della mattinata sono andati a farsi fottere insieme al buon sonno rigenerante, rovinato dall'incubo di cui sopra.
Ma nonostante ciò, trascini il tuo adorabile corpicino fuori dal letto, sei sola in casa e c'è il sole.
Alessandra 1 - vita 1.
E siete tornati pari.
Prepari la colazione, una spremuta fresca e un plum cake, e una serie di sfortunati messaggi e parole ti riporta alla realtà della tua esistenza: mille questioni in sospeso e programmi non conclusi che ti roderanno per il resto della giornata, o se sei fortunata, del weekend.
La mail del padrone di casa di Milano che doveva dirti la lettura del contatore del gas, per fare in modo che TU possa chiamare per fare il subentro e quindi avere l'acqua calda da lunedì, NON è arrivata, casualità.
Quindi già ti prospetti la prima settimana di lezione sgranocchiando insalata di riso fredda, pizza take-away ed emicrania costante causa doccia a -20 gradi.
Il ritorno della simpatica coppia che ti ha messo al mondo in modalità scazzo NON migliora le cose, e scoprire che le tue analisi del sangue sono impeccabili tranne, e dico tranne, quel valore del colesterolo totale a 235 invece di 200 danno una botta completa alla tua giornata.


Menomale che cose come rivoluzione n9 e le serie in streaming sono state inventate per alleggerirti la vita. E snodare quel nodo che ti porti all'altezza dello stomaco. Irrequieta, come al solito.