domenica 26 febbraio 2012

Il comodino di Alessandra.

Oggi mi sono svegliata un pò intellettuale con l'occhiale messo di traverso sul naso. (Quello ce l'ho davvero, forse è il caso di stringere le..stanghette.) E forse quell'angolo sfocato dello schermo del pc non è una mosca schiacciata ma una bella ditata sulla lente. Ma perchè non riesco a fermarmi e mi arrendo alla mia incontinenza verbale?
Comunque, oggi sono in vena di fare una rassegna stampa della mia libreria, anche se in questo periodo il tempo di leggere è limitato alle noiose tratte in treno e a comatosi stati pre-addormentamento.

Katherine Pancol - Il walzer lento delle tartarughe


"Ascoltando, osservando, annusando. E' così che non si invecchia. Invecchiamo quando ci rinchiudiamo, quando rifiutiamo di vedere, di sentire, di respirare. Vita e scrittura vanno spesso di pari passo."
Andando in ordine temporale, questo è l'ultimo che sto leggendo. Non so ancora la fine, quindi forse è presto per dare un giudizio, contando anche che questo piacevole libro è il secondo di una trilogia e io non ho letto il primo. E' un romanzo scorrevole, a tratti delicato, che esplora le psicologie e le emozioni di ogni personaggio come se fossero lì in piedi, uno dietro l'altro, e da qualche parte esistessero davvero. Con maestria l'autrice descrive espressioni, smorfie, sorrisi, tentennamenti e ire con sorprendente realismo. In un racconto dove la protagonista è sempre stata una forte donna relegata nell'ombra della sorella, del marito e delle figlie, si può anche riassaporare con dolcezza la magia di Parigi e Londra.


Alda Merini - La pazza della porta accanto


"E allora il poeta deve parlare, deve prendere questa materia incandescente che è la vita di tutti i giorni, e farne oro colato.."
Uno stupendo monologo della Merini, che parla di vita, di poesia e di amore solo come lei è in grado di fare. Uno stream of consciousness fino all'ultimo respiro, che racconta la vita di una donna che è intrecciata profondamente con la vita della poesia. Una donna per cui le parole tessono la realtà di tutti i giorni, in cui qualsiasi gesto è tradotto in arte e poesia. Da leggere tutto d'un fiato, e da sottolineare tutto per andarsi a rileggere qualche frase quando si ha bisogno di lei.


Chiara Cecilia Santamaria - Quello che le mamme non dicono

"Dire che non ho dormito quella notte sarebbe scontato. [...] Abbiamo fatto una cosa stupida, che è salutare la casa. I suoi spazi solo nostri. Sapere che saremmo tornati in tre era una consapevolezza sottile e pervasiva.."
Ho scoperto il blog di questa giovane scrittrice-neomamma-giornalista ma soprattutto donna, e non sono più riuscita a staccarmene. Ci torno quotidianamente per cercare updates e non ho potuto fare a meno che trotterellare per Milano alla ricerca del suo libro. Che dire, nella mente mi vengono in mente una miriade di aggettivi: esilarante, dolce, realistico, schietto, buffo, sincero, un pò bittersweet ma molto più sweet che bitter, capace di svegliare in te gli stessi pensieri e gli stessi turbamenti che il pensiero di una gravidanza può portare a galla. Ho riso fino alle lacrime in alcuni tratti (credo che non dimenticherò mai quello sui Teletubbies),spesso a tarda notte ripetendomi "ancora una pagina e spengo la luce", ho riflettuto molto su altri, mi sono sentita un pò lei in tanti altri. Un libro per giovani donne ma anche no, per mamme ma anche no, strepitosamente sincero su quel mondo troppo spesso stereotipato e roseo che è la scoperta di aspettare una creatura e tutto il turbine che ne consegue. Una scoperta dell'anno, non posso che consigliarlo con tutto l'entusiasmo che conosco.


Daria Bignardi - Non vi lascerò orfani


"Questo è la morte, oltre alla mancanza di chi non c'è più. E' la vita, con tutti i suoi ricordi. E amore. Tutto l'amore che chi se ne va ci ha dato, buono o cattivo che sia stato"
Una storia vera e persistente di una famiglia. L'incontro con la morte, i ricordi di una vita che riaffiorano dolorosamente, i sorrisi tirati ricordando le cose buffe. Perchè non c'è nulla di tanto potente quanto la morte che riporti in vita tutto quello che è stato. Devo ammettere che qualche lacrimuccia era lì lì per cadere, durante la lettura. Mi è piaciuto molto, sarà che nella descrizione della mamma ci ho ritrovato molto la descrizione della mia. Anneddoti buffi e tristi si mescolano in una grande tavolozza che pian piano forma il dipinto di una famiglia che potrebbe essere come tante, ma è unica.

Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci


"Durante la notte della celebrazione usciremo allo scoperto e attaccheremo i sovietici, ci prenderemo quello che abbiamo bisogno per sopravvivere"
Che dire. In pieno stile Ammaniti, un libro disarmante, surreale ma mai così vero. Un ritratto esagerato ma non troppo della faziosità degli alti ambienti romani. Un torrente di follie che si mescolano perfettamente con la realtà, un preludio esilarante del gran finale che è la festa, in cui accadrà l'impossibile (o tutto il possibile). Scrittori, attori, una banda di dissidenti, le strade romane, i parchi, gli amori, le corruzioni, la vita. Tutto ciò che è la vita ai giorni nostri è dipinto in questa sgangherata storia, a prima vista una favola futuristica ma in realtà uno spaccato della società moderna. Da ridere e piangere, da riflettere e additare, da sconvolgersi e lasciarsi trasportare dal fiume in piena di eventi che in un crescendo porta al boato del gran finale.



Devo dire che ho parlato solo di libri che mi garbano. E che mi hanno fatta divertire ed emozionare. Ma prometto che prima o poi scriverò un post molto criticone. Per mettervi in guardia a non immergervi in letture che poco hanno a che fare con la leggerezza.

mercoledì 22 febbraio 2012

Momento autocelebrativo.

Ovvero: quando gongoli talmente tanto che ti sei stancata di gongolare da sola.
Insomma, l'egocentrismo sta proprio nel mio essere. Nel mio dna c'è scritto castana, occhi color cacca, riccia..e egocentrica. Quindi, non è per nulla colpa mia, ma della genetica.
Comunque. Alcuni mesi fa il mio primo articolo ufficiale è uscito ma solo in versione web, e pochi giorni fa mi ritrovo in stampa in edicola. Non posso fare altro che ringraziare chi mi ha dato la possibilità di fare tutto questo, la redazione di Roma che mi manda anche l'abbonamento a casa. Tanto tanto affetto e entusiasmo per tutti. La mia prima creatura cartacea è praticamente la mia prole, che mostro con estremo orgoglio, ma mai estremo quanto quello di mia madre, che ogni giorno porta il giornaletto a scuola (No, non è una quindicenne, ma professoressa), e lo mostra con gli occhi lucidi a colleghi e - temo - anche genitori ignari. Insomma, quest'aura di bambina prodigio, che peraltro non sono, che mi vortica attorno mi garba assai.

Cosa significhi questo primo articolo in edicola per me non riesco nemmeno bene a spiegarlo. Apro il giornale, ascolto il rumore delle pagine, annuso il profumo di carta e di inchiostro, mi godo l'effetto che fa davanti ai miei occhietti, e lo richiudo. In mancanza della copia cartacea, apro la foto qui sopra e sorrido.
Se questo è il preludio di una brillante carriera giornalistica, non ve lo so dire. Se mi sto tirando tutta la sfiga addosso, della serie "chi si loda di imbroda", è più che possibile. Ma mi sento un pò come una trenne il giorno di Natale vedendo l'albero colmo di regali. Devo dire che questo articolo, visto così, scritto su questa pagine di giornale, non testimonia in verità tutto quello che c'è dietro. Una mattina freddina, una via anonima di Milano, una conferenza stampa. Io che, al momento della divisione all'entrata, passo con la stampa. I giornalisti. Capite? Mi danno la cartella stampa. A ME. Quasi quasi la rifiuto dandola indietro "ma guardi che io qui non c'entro nulla", mi viene da dire. Mi sembra di essere la piccola fiammiferaia invitata per sbaglio alla festa della Regina Elisabetta. Mi siedo. Il mio IPhone inizia a registrare, io leggo la cartella stampa. Sono, voce del verbo essere, sono proprio alla conferenza stampa. E ho un sorriso ebete stampato su questa faccetta. Il culmine lo tocco quando, incontinente, scappo al bagno, vicino alla stanza dove ci sono i fotografi. Mi piego, mi scappa proprio, il bagno è occupato da ben dieci minuti. Sbuffo anche dalle orecchie, questa proprio non ci voleva, ecco. Il piccolo particolare che mi rovina il sorrisetto tatuato sulle labbra che ho. Clic. La porta si apre. Inspiro, pronta a sfoderare la mia faccia truce, quando dal bagno esce Piero Pelù. Con tanto di matita nera e pantalone di pelle. Tra tutto quello che potevo fare, che faccio, io? "Ehm..Salve" e sguscio in bagno alla velocità della luce. L'ho lasciato lì fuori ancora stordito.
In questi momenti mi sento tanto Pippo della Disney.

venerdì 17 febbraio 2012

Qualche considerazione sui Vip(s).

Sarà che oggi mi sono svegliata come se qualcuno mi avesse sputato nel caffè, ma sono particolarmente suscettibile ad un sacco di min..uscolezze.
Punto 1: L'abbigliamento dei Vipss in tutti quei momenti che non comprendono vari red carpets, prime di film e being guests in programmi televisivi. Non so se ve ne sono venuti in mente due o tre, scovati tra le pagine di Donna Moderna o (peggio) su Eva tremila. (esisterà ancora?). Comunque, oggi io sfogliavo uno dei suddetti giornaletti, ed eccole lì, decine di Eve Longorie, Angeline Jolie, Julie Roberts, ma anche Ben Affleck, Tom Cruise, ma anche altri bonaccioni come quelli su cui settimanalmente sbaviamo nei telefilm, conciati peggio che dei senzatetto. (Con il mio pieno rispetto per i senzatetto.) Nemmeno nei miei giorni peggiori, per andare in palestra, mi vesto così. Ma capite, non è una questione di danaro sonante. No. Partendo dal presupposto che essi ne siano pieni, cosa li spinge a girare per Sunset Boulevard in infradito color topo, pantalone rosa fuxia a zampa d'elefante rammendato sul ginocchio, camicia da uomo (?) verde aperta su di una blusa sdrucita, capelli più unti che dopo una settimana di influenza e nemmeno un'ombra di fondotinta. A' Eva, ma dattela almeno na pettinata. L'uomo invece di solito è in forma selvaggia, very nature look. Maglietta degli Yankees, barba non fatta da cinque o sei mesi stile Cast Away, occhialoni da sole, pantalone della tuta mollo sul sedere e immancabili infradito. Di solito con amabile panza. Ora, vi prego. Datemi una spiegazione. E' perchè sono fighi, che girano conciati così? Possono permetterselo? Il loro stato sociale li solleva dal non uscire in pigiama? Tu la sera prima vedi Jessica Alba a ritirare l'Oscar in un Valentino da farti cadere la mascella, e il giorno dopo sfogli il giornaletto dalla parrucchiera e toh, te la vedi lì e sei convinta che abbiano scambiato la folle che gira nella metro linea 2 per lei. Ecco. Faccio un appello, a tutto il mondo vipsss e no. Spiegatemi perchè, perchè sono così inguardabili. Donne che fanno shopping da Prada vestite come piccole fiammiferaie. Quando l'unica grande preoccupazione di questi nugoli di very important people è continuare a essere notevolmente fighi. Mi dici che tra un massaggio e l'altro non hai avuto il tempo di passarti un velo di cipria su quel colorito grigio perla? Che tra una manicure e una pedicure non avevi tempo di infilarti di nuovo gli stivali e  sei andata liscia sulle infradito del mercato. No, amici, io non ci credo. Tu, icona sexy, di cui milioni di ragazzine hanno il poster nell'armadio, e sognano un giorno di essere come te, non puoi vagare per Manhattan con mollettone giallo nei capelli e sacco di yuta addosso.
Ecco. Voglio una risposta. E a proposito di risposte, ecco il
Punto 2: Simpatici Vipps, sempre voi, proprio voi, così alla mano e simpaticoni da avere un account facebook, ma soprattutto twitter. Datemi un'altra risposta. Twittate per cosa, per farci piacere? Per darci grandi news sulla vostra mirabolante esistenza? Sul vostro nuovo haircut? Oppure avete un account per aver maggior comunicazione con i vostri fans? Perchè vi spiego na cosetta, la comunicazione è una cosa biunivoca. Capite? Voi scrivete, noi rispondiamo. Noi scriviamo, voi rispondete.Non sembra tanto difficile, no? Eh, ma siamo tanti. Eh, siamo tanti si, ma un giorno rispondi a qualcuno, un giorno a qualcun'altro, e vedi che bella figura che fai. E invece no, ogni giorni migliaia di simpatici tweets che si perdono nell'etere, senza ricevere mai una risposta, e probabilmente senza nemmeno essere letti. Fatemi un favore, mentre cercate di mettervi qualcosa di decente addosso, cercate anche di rischiare l'artrite alle dita rispondendo anche a noi comuni mortali.

Va bene, sono pochettino in versione zitella acida oggi. Sarà che il parrucchiere non mi ha fatto il taglio che volevo, sarà che questo tempo umido mi infastidisce, sarà che qualcuno mi ci ha sputato davvero, nel caffè.
Ma tant'è.

lunedì 13 febbraio 2012

Quel che resta di Firenze

Ieri, sul frecciarossa di ritorno a Milano, seduta nella mia carrozza ristorante (storie di treni soppressi e di altri troppo pieni..), guardavo l'Emilia sepolta dalla neve e pensavo a cosa questi tre piccolissimi giorni a Firenze mi hanno lasciato impresso.
Quel che mi resta di Firenze è sicuramente un gran freddo, un pò di timido sole, un vento decisamente troppo potente e un bel pò di raffreddore. Ma queste cose sono solo la cornice, quello che bisogna scalfire per arrivare a quello che in realtà mi toglie il fiato ogni volta che ci penso.
 Quel che mi resta di Firenze sono le stradine, quasi tutte pedonali, la sua aria austera e di altri tempi, la sua aria piena di segreti da svelare. E' il suo imponente duomo con il Cupolone, in quella piazza brulicante di turisti, imperterriti anche nel gelo di febbraio. Quel che mi resta sono i colori, che la natura e l'uomo sembrano aver dipinto insieme. Un'amalgama di colori pastello, tenui e delicati, tutto si armonizza in un'immagine sola e l'occhio non può fare a meno che percepire una cosa sola. Quel che resta di Firenze sono le piazze, una più bella dell'altra. Piccoli e grandi scrigni che si aprono da stradine impervie. Spazi aperti in cui esplodono persone, giostre e mercatini. Quel che mi rimane sono i profumi di dolci di fronte alle pasticcerie, di sapori antichi quando il passo ti porta di fronte ad antiche trattorie, o fiaschetterie, come capita spesso di leggere sui cartelli.  Quel che mi rimane sono il rumore dell'Arno che scorre placido sotto il ponte vecchio.


 Quel che mi rimane di Firenze è il sole, pallido e timido di febbraio, che la inonda mentre la guardo da Piazzale Michelangelo. Mi sembra di dominarla tutta, da lassù, e sembra che si metta in posa, come se al posto di una fotografia le stessi facendo un dipinto. Ed è proprio quello che mi rimane, di lei, da lassù: un dipinto. Una serie di fotografia scattate con dita tremanti dal freddo, che sono tutto fuor che fotografie. Sono dipinti in acquarelli, in matita, in colori a olio. Le sfumature del cielo sono fatte con ampie pennellate, mentre quelle del cupolone con minuziosa perizia. Le impercettibili onde dell'Arno con spruzzi di azzurro, i colori dei tetti con un ocra chiaro. Le colline che la circondano sembrano abbracciarla, e si stagliano verdi e coraggiose nel vento.
Quel che mi rimane di lei è il Ponte Vecchio, così minuziosamente dettagliato, le finestrelle sulle case colorate che ricordano quelle di un presepe antico. Si staglia lì, sopra l'acqua pacifica, con i suoi colori accostati, costruito con poca attenzione alle varie altezze, che lo rendono quasi bambinesco. Un'opera di qualche bimbo che lo ha assemblato con ingenua creatività. La luce del sole lo accarezza piano, dà vita a quei colori. Il giallino, l'arancione, il rosso, il verde accesso delle persiane, alcune chiuse, alcune spalancate. La luce debole che proviene dall'interno, da una delle innumerevoli gioiellerie che tempestano quel ponte.


Quel che mi rimane di lei è il gusto della ribollita, la sua consistenza morbida e delicata e il suo sapore che sembra venire da lontano nel tempo. Il suo sapore che parla di contadini, di semplicità, di pasto consumato in silenzio ma anche nel chiacchiericcio della sera, proprio così, in terrine di terracotta bollenti. Mi rimane l'atmosfera delle mille osterie, delle mille enoteche, di quei tavolini di legno semplici ma eleganti, di quel mangiare osservati dalle innumerevoli bottiglie di vino. Quel che mi rimane è l'accento, la parlata un pò così, che ti viene voglia di fare tua, e ogni tanto ti viene da dire qualcosa come "Si va a mangiare", e ti scappa un sorriso. Quel che mi rimane è il profumo del cioccolato per tutta Piazza della Repubblica, perchè sì, sono riuscita a beccare la settimana della Fiera del Cioccolato. Da leccarsi i baffi. Budinetti di cioccolato, cremini, frutta ricoperta di cioccolato caldo che scende da una fontana.


Quel che mi rimane infondo è tanto amore. Ma tanto. Per questo paese stupendo, per tutto quello che in Italia c'è di stupendo e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Per la magia che la storia dona a tutto il suolo che calpestiamo ogni giorno, per l'aura di mistero che ricopre le nostre città come una coperta sottile. Mi rimane l'amore per questa città, per l'arte, per Piazza Della Signoria, per Palazzo Vecchio e per la Galleria degli Uffizi. Per tutti i quadri, le pennellate, i piegamenti di testa per vedere meglio un particolare. L'amore per Palazzo Pitti e i suoi Giardini di Boboli, enormi e stupendi. E mi rimane sì, anche un sorriso grande. Perchè solo io sono in grado di ridicolizzare l'arte come una polla. Porto un pò di allegria, insomma.


Questa fuga da tutto, da Milano, da Savona, per chiuderci un weekend nella magia di Firenze, ci ha fatto solo che bene. E io, l'ho amata con tutta me stessa. Quel che mi rimane di questi tre giorni in questa città cristallizata nel tempo e nello spazio è l'amore per lei, per le sue strade, le sue piazze, la sua atmosfera. E l'amore per il modo in cui l'abbiamo vissuta noi. Cioè, come al solito. Da esploratori, da persone che vedono la realtà per la prima volta. Un poeta una volta ha detto che solamente i bambini e i poeti possono vedere le cose come se le vedessero davvero per la prima volta. E io e Lui le abbiamo viste così, assaporate così, come se i nostri occhi avessero avuto la possibilità da abbracciarle per la prima volta, le nostre dita posarsi sul parapetto del Ponte Vecchio come se fosse la prima pietra che avessimo toccato. Abbiamo lasciato che Firenze ci entrasse dentro con la curiosità di due bambini. Abbiamo lasciato che la novità ci travolgesse, ci portasse a pensare cose nuove ed amarle in quel modo così sorprendente che ti entra dentro e nulla può più toglierlo. Quei sentimenti che nonostante la vita cerchi di portarteli via con le unghie e con i denti, semplicemente non si staccano. Rimangono lì, impervi e statuari nel tempo e nello spazio. Proprio come Firenze.

giovedì 9 febbraio 2012

Ottime idee. (Ovvero: buoni propositi sparsi a manciate)

Quante volte, nel dormiveglia, una serie infinita di ottime idee ci concilia il sonno, convinti che dal chicchirichì della mattina dopo la vita migliorerà notevolmente? E quante volte, alzandoci poi, se ci va di culo ricordiamo cosa abbiamo pensato la sera prima e lo malediciamo mentalmente, o addirittura la fase rem ha cancellato ogni traccia di ottimi propositi?
Non ditemi che non è vero. 

Chissà cosa ci porta, la notte, ad essere più creativi e propositivi. Chissà quale grande aspettative (cfr Dickens) nutriamo nel domani. Vorrà ben dire qualcosa. Insomma, siamo ancora un popolo di speranzosi, in fondo. No?
Peccato poi per il desiderio realizzato a metà, che al mattino ci alziamo già con il piede sbagliato e arriviamo al lavoro/ università come se qualcuno ci avesse urinato nel caffè. Che razza di linea sottile c'è tra l'ottimismo serale e il pessimismo cosmico e universale del mattino dopo? Contando che non hai tempo per fare colazione e butti giù una boccata di latte gelato dal frigo, i denti li lavi mentre col calzascarpe e infili lo spazzolino nello stivale insieme al piede, la grande idea di notturna di fare dieci minuti di yoga ogni mattina prima di colazione finisce nella spazzatura insieme alla bratta del caffè che hai bruciato.
Ma, e c'è un MA, ogni tanto questi buoni propositi, per una serie di fortuite coincidenze cosmiche, riescono effettivamente a realizzarsi. Quindi riesci effettivamente ad andare in palestra, anche se alla sera ti raccogli col cucchiaino, finalmente hai la voglia e il tempo di trascinarti a farti le sopracciglia, che col tempo hai martoriato fino a farle sembrare dei bruchi anche parecchio storti, cambi gli occhiali, e finalmente ci vedi. (E lo sanno tutti, perchè per due giorni vaghi per casa e per strada dicendo a chiunque "Ci vedo, ci vedo! Le forme, i colori..ora tutto ha un senso!"). Ti compri un rossetto, che hai sempre sognato, e pure in saldo. Riesci anche a concludere degnamente gli esami. E con degnamente intendi alla grande, ma precisina come sei, ancora non ti vanno alla perfezione. Comunque, ogni tanto ci sono quelle mattine dove non hai fretta, dove scrivi un post davanti ad un caffè, il sole che entra dalla finestra e la voglia di fare che hai alla sera prima di crollare a bocca aperta sul cuscino. Quelle mattine dove tutto è pieno di prospettive, voglia di fare, fiducia in sè stessi e anche quella sensazione di esserti svegliata persino un pochettino più figa della sera precedente.
E diciamo che la prospettiva di una microfuga a Firenze nel weekend, anche se si prospetta il weekend più freddo degli ultimi duemila anni, rende il tutto decisamente più roseo. Sarà che l'idea di mettere in valigia a caso qualche cosa e spostarmi, vagare, fotografare, imprimere nella mente sapori, colori e odori già mi manda in fibrillazione.
I problemi, il futuro, tutto quello che viene, per una volta è lì, annichilito in un angolo, in standby. 

Il comodino di Alessandra.

Oggi mi sono svegliata un pò intellettuale con l'occhiale messo di traverso sul naso. (Quello ce l'ho davvero, forse è il caso di stringere le..stanghette.) E forse quell'angolo sfocato dello schermo del pc non è una mosca schiacciata ma una bella ditata sulla lente. Ma perchè non riesco a fermarmi e mi arrendo alla mia incontinenza verbale?
Comunque, oggi sono in vena di fare una rassegna stampa della mia libreria, anche se in questo periodo il tempo di leggere è limitato alle noiose tratte in treno e a comatosi stati pre-addormentamento.

Katherine Pancol - Il walzer lento delle tartarughe


"Ascoltando, osservando, annusando. E' così che non si invecchia. Invecchiamo quando ci rinchiudiamo, quando rifiutiamo di vedere, di sentire, di respirare. Vita e scrittura vanno spesso di pari passo."
Andando in ordine temporale, questo è l'ultimo che sto leggendo. Non so ancora la fine, quindi forse è presto per dare un giudizio, contando anche che questo piacevole libro è il secondo di una trilogia e io non ho letto il primo. E' un romanzo scorrevole, a tratti delicato, che esplora le psicologie e le emozioni di ogni personaggio come se fossero lì in piedi, uno dietro l'altro, e da qualche parte esistessero davvero. Con maestria l'autrice descrive espressioni, smorfie, sorrisi, tentennamenti e ire con sorprendente realismo. In un racconto dove la protagonista è sempre stata una forte donna relegata nell'ombra della sorella, del marito e delle figlie, si può anche riassaporare con dolcezza la magia di Parigi e Londra.


Alda Merini - La pazza della porta accanto


"E allora il poeta deve parlare, deve prendere questa materia incandescente che è la vita di tutti i giorni, e farne oro colato.."
Uno stupendo monologo della Merini, che parla di vita, di poesia e di amore solo come lei è in grado di fare. Uno stream of consciousness fino all'ultimo respiro, che racconta la vita di una donna che è intrecciata profondamente con la vita della poesia. Una donna per cui le parole tessono la realtà di tutti i giorni, in cui qualsiasi gesto è tradotto in arte e poesia. Da leggere tutto d'un fiato, e da sottolineare tutto per andarsi a rileggere qualche frase quando si ha bisogno di lei.


Chiara Cecilia Santamaria - Quello che le mamme non dicono

"Dire che non ho dormito quella notte sarebbe scontato. [...] Abbiamo fatto una cosa stupida, che è salutare la casa. I suoi spazi solo nostri. Sapere che saremmo tornati in tre era una consapevolezza sottile e pervasiva.."
Ho scoperto il blog di questa giovane scrittrice-neomamma-giornalista ma soprattutto donna, e non sono più riuscita a staccarmene. Ci torno quotidianamente per cercare updates e non ho potuto fare a meno che trotterellare per Milano alla ricerca del suo libro. Che dire, nella mente mi vengono in mente una miriade di aggettivi: esilarante, dolce, realistico, schietto, buffo, sincero, un pò bittersweet ma molto più sweet che bitter, capace di svegliare in te gli stessi pensieri e gli stessi turbamenti che il pensiero di una gravidanza può portare a galla. Ho riso fino alle lacrime in alcuni tratti (credo che non dimenticherò mai quello sui Teletubbies),spesso a tarda notte ripetendomi "ancora una pagina e spengo la luce", ho riflettuto molto su altri, mi sono sentita un pò lei in tanti altri. Un libro per giovani donne ma anche no, per mamme ma anche no, strepitosamente sincero su quel mondo troppo spesso stereotipato e roseo che è la scoperta di aspettare una creatura e tutto il turbine che ne consegue. Una scoperta dell'anno, non posso che consigliarlo con tutto l'entusiasmo che conosco.


Daria Bignardi - Non vi lascerò orfani


"Questo è la morte, oltre alla mancanza di chi non c'è più. E' la vita, con tutti i suoi ricordi. E amore. Tutto l'amore che chi se ne va ci ha dato, buono o cattivo che sia stato"
Una storia vera e persistente di una famiglia. L'incontro con la morte, i ricordi di una vita che riaffiorano dolorosamente, i sorrisi tirati ricordando le cose buffe. Perchè non c'è nulla di tanto potente quanto la morte che riporti in vita tutto quello che è stato. Devo ammettere che qualche lacrimuccia era lì lì per cadere, durante la lettura. Mi è piaciuto molto, sarà che nella descrizione della mamma ci ho ritrovato molto la descrizione della mia. Anneddoti buffi e tristi si mescolano in una grande tavolozza che pian piano forma il dipinto di una famiglia che potrebbe essere come tante, ma è unica.

Niccolò Ammaniti - Che la festa cominci


"Durante la notte della celebrazione usciremo allo scoperto e attaccheremo i sovietici, ci prenderemo quello che abbiamo bisogno per sopravvivere"
Che dire. In pieno stile Ammaniti, un libro disarmante, surreale ma mai così vero. Un ritratto esagerato ma non troppo della faziosità degli alti ambienti romani. Un torrente di follie che si mescolano perfettamente con la realtà, un preludio esilarante del gran finale che è la festa, in cui accadrà l'impossibile (o tutto il possibile). Scrittori, attori, una banda di dissidenti, le strade romane, i parchi, gli amori, le corruzioni, la vita. Tutto ciò che è la vita ai giorni nostri è dipinto in questa sgangherata storia, a prima vista una favola futuristica ma in realtà uno spaccato della società moderna. Da ridere e piangere, da riflettere e additare, da sconvolgersi e lasciarsi trasportare dal fiume in piena di eventi che in un crescendo porta al boato del gran finale.



Devo dire che ho parlato solo di libri che mi garbano. E che mi hanno fatta divertire ed emozionare. Ma prometto che prima o poi scriverò un post molto criticone. Per mettervi in guardia a non immergervi in letture che poco hanno a che fare con la leggerezza.

Momento autocelebrativo.

Ovvero: quando gongoli talmente tanto che ti sei stancata di gongolare da sola.
Insomma, l'egocentrismo sta proprio nel mio essere. Nel mio dna c'è scritto castana, occhi color cacca, riccia..e egocentrica. Quindi, non è per nulla colpa mia, ma della genetica.
Comunque. Alcuni mesi fa il mio primo articolo ufficiale è uscito ma solo in versione web, e pochi giorni fa mi ritrovo in stampa in edicola. Non posso fare altro che ringraziare chi mi ha dato la possibilità di fare tutto questo, la redazione di Roma che mi manda anche l'abbonamento a casa. Tanto tanto affetto e entusiasmo per tutti. La mia prima creatura cartacea è praticamente la mia prole, che mostro con estremo orgoglio, ma mai estremo quanto quello di mia madre, che ogni giorno porta il giornaletto a scuola (No, non è una quindicenne, ma professoressa), e lo mostra con gli occhi lucidi a colleghi e - temo - anche genitori ignari. Insomma, quest'aura di bambina prodigio, che peraltro non sono, che mi vortica attorno mi garba assai.

Cosa significhi questo primo articolo in edicola per me non riesco nemmeno bene a spiegarlo. Apro il giornale, ascolto il rumore delle pagine, annuso il profumo di carta e di inchiostro, mi godo l'effetto che fa davanti ai miei occhietti, e lo richiudo. In mancanza della copia cartacea, apro la foto qui sopra e sorrido.
Se questo è il preludio di una brillante carriera giornalistica, non ve lo so dire. Se mi sto tirando tutta la sfiga addosso, della serie "chi si loda di imbroda", è più che possibile. Ma mi sento un pò come una trenne il giorno di Natale vedendo l'albero colmo di regali. Devo dire che questo articolo, visto così, scritto su questa pagine di giornale, non testimonia in verità tutto quello che c'è dietro. Una mattina freddina, una via anonima di Milano, una conferenza stampa. Io che, al momento della divisione all'entrata, passo con la stampa. I giornalisti. Capite? Mi danno la cartella stampa. A ME. Quasi quasi la rifiuto dandola indietro "ma guardi che io qui non c'entro nulla", mi viene da dire. Mi sembra di essere la piccola fiammiferaia invitata per sbaglio alla festa della Regina Elisabetta. Mi siedo. Il mio IPhone inizia a registrare, io leggo la cartella stampa. Sono, voce del verbo essere, sono proprio alla conferenza stampa. E ho un sorriso ebete stampato su questa faccetta. Il culmine lo tocco quando, incontinente, scappo al bagno, vicino alla stanza dove ci sono i fotografi. Mi piego, mi scappa proprio, il bagno è occupato da ben dieci minuti. Sbuffo anche dalle orecchie, questa proprio non ci voleva, ecco. Il piccolo particolare che mi rovina il sorrisetto tatuato sulle labbra che ho. Clic. La porta si apre. Inspiro, pronta a sfoderare la mia faccia truce, quando dal bagno esce Piero Pelù. Con tanto di matita nera e pantalone di pelle. Tra tutto quello che potevo fare, che faccio, io? "Ehm..Salve" e sguscio in bagno alla velocità della luce. L'ho lasciato lì fuori ancora stordito.
In questi momenti mi sento tanto Pippo della Disney.

Qualche considerazione sui Vip(s).

Sarà che oggi mi sono svegliata come se qualcuno mi avesse sputato nel caffè, ma sono particolarmente suscettibile ad un sacco di min..uscolezze.
Punto 1: L'abbigliamento dei Vipss in tutti quei momenti che non comprendono vari red carpets, prime di film e being guests in programmi televisivi. Non so se ve ne sono venuti in mente due o tre, scovati tra le pagine di Donna Moderna o (peggio) su Eva tremila. (esisterà ancora?). Comunque, oggi io sfogliavo uno dei suddetti giornaletti, ed eccole lì, decine di Eve Longorie, Angeline Jolie, Julie Roberts, ma anche Ben Affleck, Tom Cruise, ma anche altri bonaccioni come quelli su cui settimanalmente sbaviamo nei telefilm, conciati peggio che dei senzatetto. (Con il mio pieno rispetto per i senzatetto.) Nemmeno nei miei giorni peggiori, per andare in palestra, mi vesto così. Ma capite, non è una questione di danaro sonante. No. Partendo dal presupposto che essi ne siano pieni, cosa li spinge a girare per Sunset Boulevard in infradito color topo, pantalone rosa fuxia a zampa d'elefante rammendato sul ginocchio, camicia da uomo (?) verde aperta su di una blusa sdrucita, capelli più unti che dopo una settimana di influenza e nemmeno un'ombra di fondotinta. A' Eva, ma dattela almeno na pettinata. L'uomo invece di solito è in forma selvaggia, very nature look. Maglietta degli Yankees, barba non fatta da cinque o sei mesi stile Cast Away, occhialoni da sole, pantalone della tuta mollo sul sedere e immancabili infradito. Di solito con amabile panza. Ora, vi prego. Datemi una spiegazione. E' perchè sono fighi, che girano conciati così? Possono permetterselo? Il loro stato sociale li solleva dal non uscire in pigiama? Tu la sera prima vedi Jessica Alba a ritirare l'Oscar in un Valentino da farti cadere la mascella, e il giorno dopo sfogli il giornaletto dalla parrucchiera e toh, te la vedi lì e sei convinta che abbiano scambiato la folle che gira nella metro linea 2 per lei. Ecco. Faccio un appello, a tutto il mondo vipsss e no. Spiegatemi perchè, perchè sono così inguardabili. Donne che fanno shopping da Prada vestite come piccole fiammiferaie. Quando l'unica grande preoccupazione di questi nugoli di very important people è continuare a essere notevolmente fighi. Mi dici che tra un massaggio e l'altro non hai avuto il tempo di passarti un velo di cipria su quel colorito grigio perla? Che tra una manicure e una pedicure non avevi tempo di infilarti di nuovo gli stivali e  sei andata liscia sulle infradito del mercato. No, amici, io non ci credo. Tu, icona sexy, di cui milioni di ragazzine hanno il poster nell'armadio, e sognano un giorno di essere come te, non puoi vagare per Manhattan con mollettone giallo nei capelli e sacco di yuta addosso.
Ecco. Voglio una risposta. E a proposito di risposte, ecco il
Punto 2: Simpatici Vipps, sempre voi, proprio voi, così alla mano e simpaticoni da avere un account facebook, ma soprattutto twitter. Datemi un'altra risposta. Twittate per cosa, per farci piacere? Per darci grandi news sulla vostra mirabolante esistenza? Sul vostro nuovo haircut? Oppure avete un account per aver maggior comunicazione con i vostri fans? Perchè vi spiego na cosetta, la comunicazione è una cosa biunivoca. Capite? Voi scrivete, noi rispondiamo. Noi scriviamo, voi rispondete.Non sembra tanto difficile, no? Eh, ma siamo tanti. Eh, siamo tanti si, ma un giorno rispondi a qualcuno, un giorno a qualcun'altro, e vedi che bella figura che fai. E invece no, ogni giorni migliaia di simpatici tweets che si perdono nell'etere, senza ricevere mai una risposta, e probabilmente senza nemmeno essere letti. Fatemi un favore, mentre cercate di mettervi qualcosa di decente addosso, cercate anche di rischiare l'artrite alle dita rispondendo anche a noi comuni mortali.

Va bene, sono pochettino in versione zitella acida oggi. Sarà che il parrucchiere non mi ha fatto il taglio che volevo, sarà che questo tempo umido mi infastidisce, sarà che qualcuno mi ci ha sputato davvero, nel caffè.
Ma tant'è.

Quel che resta di Firenze

Ieri, sul frecciarossa di ritorno a Milano, seduta nella mia carrozza ristorante (storie di treni soppressi e di altri troppo pieni..), guardavo l'Emilia sepolta dalla neve e pensavo a cosa questi tre piccolissimi giorni a Firenze mi hanno lasciato impresso.
Quel che mi resta di Firenze è sicuramente un gran freddo, un pò di timido sole, un vento decisamente troppo potente e un bel pò di raffreddore. Ma queste cose sono solo la cornice, quello che bisogna scalfire per arrivare a quello che in realtà mi toglie il fiato ogni volta che ci penso.
 Quel che mi resta di Firenze sono le stradine, quasi tutte pedonali, la sua aria austera e di altri tempi, la sua aria piena di segreti da svelare. E' il suo imponente duomo con il Cupolone, in quella piazza brulicante di turisti, imperterriti anche nel gelo di febbraio. Quel che mi resta sono i colori, che la natura e l'uomo sembrano aver dipinto insieme. Un'amalgama di colori pastello, tenui e delicati, tutto si armonizza in un'immagine sola e l'occhio non può fare a meno che percepire una cosa sola. Quel che resta di Firenze sono le piazze, una più bella dell'altra. Piccoli e grandi scrigni che si aprono da stradine impervie. Spazi aperti in cui esplodono persone, giostre e mercatini. Quel che mi rimane sono i profumi di dolci di fronte alle pasticcerie, di sapori antichi quando il passo ti porta di fronte ad antiche trattorie, o fiaschetterie, come capita spesso di leggere sui cartelli.  Quel che mi rimane sono il rumore dell'Arno che scorre placido sotto il ponte vecchio.


 Quel che mi rimane di Firenze è il sole, pallido e timido di febbraio, che la inonda mentre la guardo da Piazzale Michelangelo. Mi sembra di dominarla tutta, da lassù, e sembra che si metta in posa, come se al posto di una fotografia le stessi facendo un dipinto. Ed è proprio quello che mi rimane, di lei, da lassù: un dipinto. Una serie di fotografia scattate con dita tremanti dal freddo, che sono tutto fuor che fotografie. Sono dipinti in acquarelli, in matita, in colori a olio. Le sfumature del cielo sono fatte con ampie pennellate, mentre quelle del cupolone con minuziosa perizia. Le impercettibili onde dell'Arno con spruzzi di azzurro, i colori dei tetti con un ocra chiaro. Le colline che la circondano sembrano abbracciarla, e si stagliano verdi e coraggiose nel vento.
Quel che mi rimane di lei è il Ponte Vecchio, così minuziosamente dettagliato, le finestrelle sulle case colorate che ricordano quelle di un presepe antico. Si staglia lì, sopra l'acqua pacifica, con i suoi colori accostati, costruito con poca attenzione alle varie altezze, che lo rendono quasi bambinesco. Un'opera di qualche bimbo che lo ha assemblato con ingenua creatività. La luce del sole lo accarezza piano, dà vita a quei colori. Il giallino, l'arancione, il rosso, il verde accesso delle persiane, alcune chiuse, alcune spalancate. La luce debole che proviene dall'interno, da una delle innumerevoli gioiellerie che tempestano quel ponte.


Quel che mi rimane di lei è il gusto della ribollita, la sua consistenza morbida e delicata e il suo sapore che sembra venire da lontano nel tempo. Il suo sapore che parla di contadini, di semplicità, di pasto consumato in silenzio ma anche nel chiacchiericcio della sera, proprio così, in terrine di terracotta bollenti. Mi rimane l'atmosfera delle mille osterie, delle mille enoteche, di quei tavolini di legno semplici ma eleganti, di quel mangiare osservati dalle innumerevoli bottiglie di vino. Quel che mi rimane è l'accento, la parlata un pò così, che ti viene voglia di fare tua, e ogni tanto ti viene da dire qualcosa come "Si va a mangiare", e ti scappa un sorriso. Quel che mi rimane è il profumo del cioccolato per tutta Piazza della Repubblica, perchè sì, sono riuscita a beccare la settimana della Fiera del Cioccolato. Da leccarsi i baffi. Budinetti di cioccolato, cremini, frutta ricoperta di cioccolato caldo che scende da una fontana.


Quel che mi rimane infondo è tanto amore. Ma tanto. Per questo paese stupendo, per tutto quello che in Italia c'è di stupendo e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Per la magia che la storia dona a tutto il suolo che calpestiamo ogni giorno, per l'aura di mistero che ricopre le nostre città come una coperta sottile. Mi rimane l'amore per questa città, per l'arte, per Piazza Della Signoria, per Palazzo Vecchio e per la Galleria degli Uffizi. Per tutti i quadri, le pennellate, i piegamenti di testa per vedere meglio un particolare. L'amore per Palazzo Pitti e i suoi Giardini di Boboli, enormi e stupendi. E mi rimane sì, anche un sorriso grande. Perchè solo io sono in grado di ridicolizzare l'arte come una polla. Porto un pò di allegria, insomma.


Questa fuga da tutto, da Milano, da Savona, per chiuderci un weekend nella magia di Firenze, ci ha fatto solo che bene. E io, l'ho amata con tutta me stessa. Quel che mi rimane di questi tre giorni in questa città cristallizata nel tempo e nello spazio è l'amore per lei, per le sue strade, le sue piazze, la sua atmosfera. E l'amore per il modo in cui l'abbiamo vissuta noi. Cioè, come al solito. Da esploratori, da persone che vedono la realtà per la prima volta. Un poeta una volta ha detto che solamente i bambini e i poeti possono vedere le cose come se le vedessero davvero per la prima volta. E io e Lui le abbiamo viste così, assaporate così, come se i nostri occhi avessero avuto la possibilità da abbracciarle per la prima volta, le nostre dita posarsi sul parapetto del Ponte Vecchio come se fosse la prima pietra che avessimo toccato. Abbiamo lasciato che Firenze ci entrasse dentro con la curiosità di due bambini. Abbiamo lasciato che la novità ci travolgesse, ci portasse a pensare cose nuove ed amarle in quel modo così sorprendente che ti entra dentro e nulla può più toglierlo. Quei sentimenti che nonostante la vita cerchi di portarteli via con le unghie e con i denti, semplicemente non si staccano. Rimangono lì, impervi e statuari nel tempo e nello spazio. Proprio come Firenze.

Ottime idee. (Ovvero: buoni propositi sparsi a manciate)

Quante volte, nel dormiveglia, una serie infinita di ottime idee ci concilia il sonno, convinti che dal chicchirichì della mattina dopo la vita migliorerà notevolmente? E quante volte, alzandoci poi, se ci va di culo ricordiamo cosa abbiamo pensato la sera prima e lo malediciamo mentalmente, o addirittura la fase rem ha cancellato ogni traccia di ottimi propositi?
Non ditemi che non è vero. 

Chissà cosa ci porta, la notte, ad essere più creativi e propositivi. Chissà quale grande aspettative (cfr Dickens) nutriamo nel domani. Vorrà ben dire qualcosa. Insomma, siamo ancora un popolo di speranzosi, in fondo. No?
Peccato poi per il desiderio realizzato a metà, che al mattino ci alziamo già con il piede sbagliato e arriviamo al lavoro/ università come se qualcuno ci avesse urinato nel caffè. Che razza di linea sottile c'è tra l'ottimismo serale e il pessimismo cosmico e universale del mattino dopo? Contando che non hai tempo per fare colazione e butti giù una boccata di latte gelato dal frigo, i denti li lavi mentre col calzascarpe e infili lo spazzolino nello stivale insieme al piede, la grande idea di notturna di fare dieci minuti di yoga ogni mattina prima di colazione finisce nella spazzatura insieme alla bratta del caffè che hai bruciato.
Ma, e c'è un MA, ogni tanto questi buoni propositi, per una serie di fortuite coincidenze cosmiche, riescono effettivamente a realizzarsi. Quindi riesci effettivamente ad andare in palestra, anche se alla sera ti raccogli col cucchiaino, finalmente hai la voglia e il tempo di trascinarti a farti le sopracciglia, che col tempo hai martoriato fino a farle sembrare dei bruchi anche parecchio storti, cambi gli occhiali, e finalmente ci vedi. (E lo sanno tutti, perchè per due giorni vaghi per casa e per strada dicendo a chiunque "Ci vedo, ci vedo! Le forme, i colori..ora tutto ha un senso!"). Ti compri un rossetto, che hai sempre sognato, e pure in saldo. Riesci anche a concludere degnamente gli esami. E con degnamente intendi alla grande, ma precisina come sei, ancora non ti vanno alla perfezione. Comunque, ogni tanto ci sono quelle mattine dove non hai fretta, dove scrivi un post davanti ad un caffè, il sole che entra dalla finestra e la voglia di fare che hai alla sera prima di crollare a bocca aperta sul cuscino. Quelle mattine dove tutto è pieno di prospettive, voglia di fare, fiducia in sè stessi e anche quella sensazione di esserti svegliata persino un pochettino più figa della sera precedente.
E diciamo che la prospettiva di una microfuga a Firenze nel weekend, anche se si prospetta il weekend più freddo degli ultimi duemila anni, rende il tutto decisamente più roseo. Sarà che l'idea di mettere in valigia a caso qualche cosa e spostarmi, vagare, fotografare, imprimere nella mente sapori, colori e odori già mi manda in fibrillazione.
I problemi, il futuro, tutto quello che viene, per una volta è lì, annichilito in un angolo, in standby.