lunedì 26 marzo 2012

Tra Bastioni, circonvallazioni e SUV.

Che città èèè? Si, avete indovinato, è Milano.
Vi ho già detto che da tre anni più o meno è la mia seconda casa e non ho ancora capito se ne sono innamorata o mi schifa? Che strano sentimento. Sarà che il primo anno è stato un pò come strapparmi da casa, e quindi il nostro primo appuntamento è stato alquanto deludente, ma mi è rimasta un pò questa sensazione di fastidio all'arrivo in Stazione Centrale. D'altra parte, col tempo ho imparato ad amarla e a sentirla mia.
Certo, incarna a pieno tutti i luoghi comuni che vi vengono in mente se ci pensate un attimo. In fondo tutti i luoghi comuni hanno un fondicino di verità.
Milano vive di SUV che manco in America. Di solito le guidatrici sono donne. Donne che cagano il loro panfilo dove più aggrada. Meta prediletta: i binari del tram. Manco a dirlo. Alcuni giorni fa ero sul mio tram dopo quella duecento ore di lezione, cullata dall'accelerare/frenare tipico del mio trammino, quando tutto si stoppa e un suono melodioso mi giunge alle orecchie: quello di centomila clacson. Ahhh. Mi sporgo e scopro l'arcano: è lui, sì, il SUV con la S maiuscola che campeggia in tutta la sua maestosità sui binari. Dopo alcuni minuti che a me sembrano secoli in slow motion, la proprietaria esce da Calzedonia (rileggete bene, Calzedonia) con il suo sacchetto, sale, sgomma e parte. Comodo, no?

Milano è La città in Italia dove la maggior parte della gente non conosce i colori del semaforo. Oppure glieli insegnano proprio sbagliati. Verde: vai a tutta velocità, non curarti minimamente degli ostacoli. Giallo: sbrigati che altrimenti sei in ritardo per andare a prendere il pargolo, pigia su quell'acceleratore. Rosso: E' la tua chance, dai gas e investi tutto il possibile. (Il rosso comma due indica: se per caso qualcuno ti insulta, non scusarti mai e inveisci il più possibile aggiungendo al suono anche le immagini e i gesti.)
Io ogni tanto tento di rischiare la morte. Mi metto lì, vedo la macchina in lontananza, faccio due passi sulle strisce e aspetto. La maggior parte delle volte mi fanno un pelo che manco Valentino sulla moto e devo reggermi bene la sciarpa sennò mi parte. Ma è tutta una questione di abitudine e di accaparrarsi le sette vite come i gatti.

Milano è la città divisa in due: conducenti di mezzi pubblici gentili e conducenti stronzi. Ne incontrerai sicuro di tutti i tipi. Quelli gentili ti aprono le porte mentre corri la Stramilano per prendere l'ultima 94 (ultimA, gli autobus qui sono femmine), con la faccia paonazza e la pezza fino ai piedi, e ti indicano la fermata se hai una cartina 8x6 in mano. Quelli stronzi ti chiudono le porte anche se sono fermi, quando hai la valigia, la borsa del pc, la borsa frigo e il cane appresso. E sono le 11.53 di sera. E ti guardano anche con quel sorrisino come a dire "toh, te l'ho fatta. Ora vai pure a piedi". Ma anche lì, le imprecazioni diventano di uso comune e ci si abitua.

Milano è la città dove effettivamente puoi fare ciò che vuoi quando vuoi. Fare colazione alle 4 di pomeriggio oppure aperitivo alle 23, fare shopping fino a sera tarda e cambiare tre discoteche in una notte sola. Lasciarti svenire al parco la domenica in mezzo a duemila cacche di cane sulla coperta della nonna e ustionarti con l'abbronzatura da muratore.

Milano ti dà l'idea di essere completamente solo nel mondo oppure sempre in compagnia di qualcuno. A seconda delle situazioni. Incontri sempre qualcuno anche se è immensa, ti fermi a chiacchierare, fai duecento attività diverse, e ti senti un pò la regina delle publi relations. Poi c'è la giornata in cui ti sputano nel caffè e ti senti sola come un cane, tutte le persone su cui posi lo sguardo sono in compagnia e molto spesso ridono, e tu ti senti persa nei meandri della metropoli.

Milano ha i suoi luoghi comuni ma ama anche eliminarli. Vive di contraddizioni ma è impossibile non innamorarsene. Anche se ti tocca lottare per la vita ad ogni attraversamento pedonale.

giovedì 22 marzo 2012

Hamburgerlandia

Fa tanto "Babe va in città". In effetti mi sento un pò Babe. Maialino coraggioso che dalla tranquilla fattoria si avventura nella grande città. Che poi la città sia Albany, piiiiiiccola capitale dello stato di New York (manco voi lo sapevate, deh?), poco importa. Che oggi abbia intravisto la simpatica tizia dell'altro corso che mi ha fottuto il posto a San Francisco, nemmeno. Perchè, cari amici tutti, parto. Cioè, non ora. Nè domani. A fine agosto, si, ma a me a giorni alterni pare di dover prendere baracca e burattini e traslarmi dall'altra parte dell'oceano.
Da vera maniaca del controllo e un tantino ossessivo-compulsiva, già mi sono fatta un giro sugli orari dei corsi del fall semester (altro che qui, che gli orari dei corsi li indovini il giorno prima al totocalcio), i voli, i possibili alloggi. Ogni cellula del mio corpo freme e vorrebbe sapere tutto subito, organizzare tutto all'istante e avere la tranquillità di aver fatto tutto alla perfezione. Perchè se avete avuto a che fare con Hamburgerlandia nella vostra vita sapete quanto i suoi simpatici abitanti siano una delle popolazioni più esigenti nell'universo conosciuto. Prima di partire si assicurano che tu non abbia partecipato al genocidio nazista del '45, che non partecipi ad attività terroristiche e che non contribuisci al commercio nero di bambini. Come? Chiedendotelo. Dei geni, in pratica. Voglio trovare quello che scrive sì.
Una volta messo piede sul suolo del Nuovo Mondo passi circa otto anni in coda alla dogana, dove ti chiedono le cose più svariate e senza senso, come che mestieri fanno i tuoi, chi sei venuto a trovare e perchè, quanti soldi ti sei portato e il tuo colore preferito. No, l'ultima non è vera. Le altre purtroppo sì.
Se poi sfortunatamente hai bisogno di un Visto, ti toccheranno appuntamenti frequenti con il consolato americano che riceve una volta ogni martedì dispari del mese, vuole tutti i documenti che la tua anagrafe e la tua banca possono offrirgli e anche un rene. Per sicurezza. Che simpatici. Essere un exchange student non è mai stato così facile.

A parte queste piacevoli operazioni burocratiche, il tempo speso daydreaming è aumentato del duecento percento. Cosa io abbia provato quando ho letto la mail dell'università che mi assegnava la destinazione, non ve lo so spiegare con esattezza. Cioè no, il primo pensiero è stato. "Ma cazzo, non è SF". Ok. Non è proprio l'aneddoto da raccontare ai posteri, lo so. Secondariamente ho chiamato chiunque annunciando la novella e ho atteso che i miei si riprendessero dall'esaurimento (se sopravvivono all'ammontare dei costi, avrò la certezza che sono immortali). Non sapevo nemmeno io se dire che ero felice o no. Fino a quel momento è stato tutto vago, una cosa che poteva succedere come no. Lì era scritto nero su bianco. Con anche un minaccioso: vedi di confermare entro una settimana. Non con queste esatte parole, ma il succo era quello. Insomma, una cosa un pò pressante. Era reale. Lì, che mi fissava. E io fissavo la mail.
Da allora cambio idea ogni dieci secondi, ho confermato dopo tre o quattro giorni sapendo che in fondo sarei partita. La cosa mi terrorizza e mi elettrizza allo stesso tempo. Ho paura che io e le mie paranoie, le mie ansie, non troveremmo il nostro posto in quella cittadina sull'Hudson. Che non ci sentiremo a nostro agio. Dall'altra, sono già con un piede su un aereo. Ogni tanto mi trovo a fare una lista mentale della roba da mettere in valigia, del numero di giacche e di scarpe. Immagino momenti che vivrò, persone che incontrerò, che per ora ancora mancano di volti. Mi focalizzo sui grandi dettagli, in pratica. Vivo di mille sensazioni contrastanti, che vanno dalla gioia infinita alla disperazione mentale tanto che ho paura che possa esplodere. I saluti in aereoporto già mi straziano il cuore. Detesto i saluti. Non riesco mai a staccarmi, ogni gesto non può essere l'ultimo. Maledetta sensibilità mia.
Cosa significherà tutto questo per me, non ve lo so dire. Non so nemmeno cosa significhi adesso. Non so nemmeno come vivere la mia futura partenza. Per ora mi limito al mio daydreaming.

venerdì 9 marzo 2012

Ma quali gambe?!

...oltre alle gambe c'è di piùùù.
Si, ma qui tra Natale, carnevale, le bugie e i panettoni, alle gambe tocca giusto uno sguardo distratto.
Un altro ottomarzo. Un'altra festicciuola.
Altre migliaia di euro pagate a innumerevoli omaccioni per spargersi di olio e sballonzolare le loro grazie in faccia a ignare spettatrici.
Tante mimose razziate. Un pò di allergia. Fiumi di alcool.
Oggi, occhiale scuro, ronzio nella testa, piegamento facile della palpebra.
Ahhh.
L'ottomarzo è un pò una certezza nella vita.
Insomma, comunque vada la tua settimana o il tuo mese, arriveranno sempre festicciuole come quella del papà, dei nonni, della donna, San Valentino, che mettono in bocca cioccolatini, dolcetti, sorrisi a tanti, e acidume e cinismo ad altri.
Quest'anno però vedo che va più di moda l'anti.
Il controcorrente che ormai, andando di percentuali, è diventato mainstream.
San Valentino? Cheschif. Tanto c'avete tutti le corna, tsk.
Festa della donna? Perlamordiddio. Ma sei donna no? C'è tutto un significato dietro a questo giorno, anche se oggi è primariamente goliardico...No, son donna tutti i giorni. Eccheccazzo. E io ricordo le donne bruciate nella fabbrica, non gli spogliarellisti. Bon.
Festa del Papà? Ussignur. Io il mio papà lo amo sempre. Si ma... No.

Che ci sia un'enorme colata di cacca calda che ci sta opprimendo e riempiendo di cinismo, anime aride che non siamo altro? Tant'è.
A me queste simpatiche ricorrenze piacciono.
Son sempre un motivo per festeggiare, innanzitutto. E ultimamente, ne mancano. Quindi perchè no.
Son ottimi momenti di riflessione, anche.
Dietro a mazzi di mimose e tricipiti unti ti senti anche parte di qualcosa, di un genere, di una storia. Accomunata per una volta all'anno a tutte.
Belle, brutte, grasse, basse, alte, magrine, simpatiche, stronze.
Ieri sera in pieno spirito di emancipazione, senso di sorellanza e bisogno di qualcosa di alcolico, ho assistito allo spettacolo di un frate che si spogliava per diventare il boss del padrino, per farsi ungere da una spettatrice e farle mangiare la banana che aveva nelle mutande.
Noooo che avete capito. Era una chiquita senza buccia che goliardicamente il bellimbusto aveva posizionato proprio lì. E giù a ridere. Ci basta poco, per farci felici, no?

Che bello essere donne.
E' bello sempre, sì. Ma è bello anche festeggiarlo una volta all'anno.
E ci sono giorni in cui è meno bello. In cui sì, vorresti davvero avere un pene, ma proprio tuo.
Quando torni a casa la sera e cammini rasente il muro.
Quando una mano non tua è sul tuo sedere e non è stata richiesta.
Quando mannaggiaogginonpiango e invece giù lacrimoni in ufficio.
Quando il bimbo piange e ti svegli tu di notte.
Quando hai le mestruazioni il giorno del colloquio.
Simpatiche cose di tutti i giorni, no?
Eppure, siam noi.
Fastidiose, tediose, con la voce noiosa, in ritardo, lamentose, testarde, narcise, appassionate, vive, sensuali, dolci, stanche, gioiose, creative, egoiste, egocentriche, generose, vivaci, sorridenti, precisine, ossessionate, raggianti, sincere, bugiarde, misteriose, cupe, ascoltatrici, pazienti, spazientite.
E sappiamo prenderci (quasi) sempre tutto quello che vogliamo.
Perchè sappiamo come farlo.
Infondo "le donne lo sanno, le donne l'han sempre saputo.."

venerdì 2 marzo 2012

Che amica sei.

Ok, ho un pelo di pausa. Giusto un pelo. Un venerdì di marzo che qui a Milano sembra maggio e si iniziano a vedere in giro i benefici della primavera. Parti del corpo bianchicce che fanno capolino ai raggi di sole caldo dell'ora di pranzo. Tra cui, il mio collo e ciò che esce del mio scollo dalla t-shirt. E non sono un bel vedere. Automobilisti che addirittura si ringraziano con la mano agli incroci. Cose ai confini della realtà, quindi.
Si vedono giovincelli e non trotterellare felici sulle biciclette con la prima arietta calda, che se non stai attento ti trotterellano anche sulla schiena, se al drin drin del loro campanello non ti sposti dal marciapiede con un balzo felino.
Ma comunque, la primavera è nell'aria e si sente.
Si sente dall'odore di ascella un pò meno rinchiusa nelle aule, per esempio. Ogni tanto senti anche una zaffata di profumo, e quello è IL segnale. Altro che rondini.
Si vede dall'occhio bovino dell'operaio (e dico operaio per non citare uomo in giacca e cravatta o tabacchino) che fissa le gambe delle passanti fasciate in striminziti jeans e non più sotto cappotti e cappottoni.
Insomma, la primavera è alle porte. Ci lamentavamo della neve, e ora tra qualche giorno l'asfalto milanese inizierà a sciogliersi come nelle migliori giornate di agosto. Le gioie di vivere in una metropoli sono anche queste.

Ma. Ciò di cui volevo scribacchiare era un denominatore comunque di qualsiasi Donna con la d maiuscola che si rispetti. Il nugolo di amiche al fianco. Ora, nella mia - seppur breve - allegra e a volte fantozziana esistenza, amiche ne ho avute a iosa. Certo, non tutte nello stesso momento. Alcune perse, alcune ritrovate, alcune fanculizzate con estremo fastidio, altre che ancora accompagnano i momenti bui in cui spesso mi butto a braccia aperte. Ma di amiche altrui ne ho sentito parlare altrettanto. Amiche di amiche che sono simpatiche, che a tratti diventano di altri, che tradiscono. Insomma, un discreto gruppo di donnicciuole che hanno in comune alcune caratteristiche e differiscono in tante altre.
L'altro giorno, in treno, stavo pensando ad una categorizzazione. (Alti pensieri su una poltroncina dell'intercity.) Nonostante le amiche di amiche, le mie, le tue, e le loro siano decine di persone diverse, si possono dividere in gruppo ben precisi. Ora, se ci saranno amiche (mie) che leggeranno, che sappiano che non penso a nessuna in particolare, ma possono comunque pensarsi come importantissimi tasselli e fonti di ricerca per questo (fantozziano appunto) studio del genere amicale femminile.

La siamese
Ovvero, la BF in stile Paris Hilton. Insomma, chi non ne ha mai avuta una? Ai tempi delle medie con cui dividevi il panino allo stracchino, alle superiori con cui saltavi ginnastica per fumare la prima sigaretta in cortile, all'università con cui fingevi di studiare. L'insostituibile, la gemella. A volte vi siete anche comprate dei vestiti uguali, promettendovi non metterveli mai nello stesso momento. E poi l'avete fatto. Lei è quella con cui hai passato intere serate al telefono con somma gioia dell'operatore telefonico, quella che vedi con una frequenza insostenibile anche per due fidanzati ma necessaria per voi due. Quella a cui telefoni in caso di necessità (il colore dello smalto da intonare alla borsa o la rottura del fidanzato), e quella che si sorbirà sempre e comunque le tue crisi adolescenziali (anche se l'adolescenza è già finita da un pezzo). E' l'amica paziente, intima, di solito dal carattere solare e poco irritevole, pronta a soccorrere. Con l'animo da crocerossina. Ora, questa tipologia di amica tende a evolversi in due modi: o ve la portate dietro per il resto della vita, finendo a ottant'anni a fumare le stesse sigarette extraslim e farvi la tinta sui capelli bianchi insieme (novanta su cento zitelle) oppure ad un certo punto dell'esistenza il cordone ombelicale tra voi due si assottiglia e inizierete ad avere vite separate con contatti casuali. In realtà esiste anche una terza alternativa, in cui un certo giorno vi svegliate e l'idea di rivolgervi anche una sola parola vi mette i brividi, e il cordone viene così tranciato di netto con due cesoie e chi si è visto si è visto.

La vedo non vedo
Amica in pianta stabile, vi volete solitamente tanto bbene. Ma, e esiste una serie infinita di ma, vi vedete non estremamente spesso per motivi vari. Di solito si ha molta confidenza, quando ci si vede è come se non vi foste mai lasciate, e anche lei è pronta ad ascoltare le vostre tragedie. Ma in questo caso le tragedie sono di livello superiore. Per le minuscolerie c'è la giù sopra citata La Siamese. Quando arrivi a chiamare la vedo non vedo per una crisi, di solito è seria. Puoi sparire per qualche settimana se non per qualche mese e viceversa senza nessun rimorso, perchè prima o poi una delle due farà una chiamata per vedere se l'altra ancora respira. Di queste amiche di solito se ne hanno un discreto numero, più o meno vicine, e spesso rimangono sporadici raggi di luce durante tutta l'esistenza.

L'immaginaria
In realtà esiste eccome, ma non per te. Probabilmente una volta eravate amiche, o vi siete trovare in simpatiche occasioni insieme, avete magari anche fatto qualche discorso. Ma poi la tua vita è andata avanti con determinazione e lei è rimasta nel dimenticatoio. Tu però non sei finita nel suo, che continua a riempirti la casella di posta di e-mails, ti manda messaggi sul telefono con faccine degne di un artista e ti propone grandi uscite e abbuffate serali. Tu, un pò per gentilezza, un pò per pena, a qualcuna accetti. Trascinando spesso l'amica siamese con te. In realtà sarebbe anche una personcina simpatica, presa a tratti e con due o tre bicchieri di vino in corpo, ma proprio non fa per te. Ma il taglio del cordone ombelicale con la cesoia temi possa portarle un male da cui non si riprenderebbe più.


Il danno
Questa amica di solito è una variante della simbiosi. Nel senso che siete molto vicine, vi vedete spesso, sapete (quasi) tutto l'una dell'altra. Solo che il vostro rapporto oltre che amicale assomiglia molto a quello materno. Nel quale la madre sei tu. E' una piccola Gian Burrasca capace di ficcarsi in ogni situazione possibile, anche in quelle in cui pensavi che nemmeno lei ci sarebbe arrivata. Ci sono varie prove da superare nella tua esistenza per starle accanto, come quella di fare il palo, sorbirsi tiritere sull'ultima relazione disastrosa, e tu sapevi che lo sarebbe stata e glielo hai anche detto. Spesso per proprietà transitiva finisci anche tu nei suoi casini. O devi tirarla fuori. Ti spinge a fare cose con estremo entusiasmo che solo dopo ti rendi conto essere delle stronzate colossali, ma riuscirai sempre a perdonarla ed essere pronta a farti trascinare la volta successiva.

L'antitesi
Amiche siete amiche. Piacerti ti piace. Ma quando la gente vi vede insieme o quando ti fermi un secondo a pensare, ti chiedi cosa diavolo abbiate in comune. Un pò come se foste Giovanardi e Luxuria. Siete opposte caratterialmente, fisicamente, non avete nemmeno un gusto in comune. Tu adori il sushi, lei fa una campagna a favore del tonno pinne gialle. Tu adori i tacchi alti, lei va in giro solo con sandali da frate. Adori il cinema d'autore, lei fa fatica a distinguere Tarantino da Spielberg. Tu leggi solo Novella duemila, lei da fuoco alle foto con Signorini. Lei va in vacanza in un resort alle barbados, tu in un interrail in Marocco con lo zaino in spalla. Lei è buddista e tu atea. Insomma, non ce n'è una che vi accomuni, ma in qualche modo riuscite a far incontrare i vostri gusti, mentre lei ti guarda mangiare con schifo un futomaki e prega in silenzio che ti rimanga sullo stomaco.


Insomma, tipologie di amiche diverse, che non sempre sono così rigide, ma giuro di poterne classificare alcune, mie, viste, sentite, non mie, conosciute, di cui mi hanno raccontato.
E sorrido.

Tra Bastioni, circonvallazioni e SUV.

Che città èèè? Si, avete indovinato, è Milano.
Vi ho già detto che da tre anni più o meno è la mia seconda casa e non ho ancora capito se ne sono innamorata o mi schifa? Che strano sentimento. Sarà che il primo anno è stato un pò come strapparmi da casa, e quindi il nostro primo appuntamento è stato alquanto deludente, ma mi è rimasta un pò questa sensazione di fastidio all'arrivo in Stazione Centrale. D'altra parte, col tempo ho imparato ad amarla e a sentirla mia.
Certo, incarna a pieno tutti i luoghi comuni che vi vengono in mente se ci pensate un attimo. In fondo tutti i luoghi comuni hanno un fondicino di verità.
Milano vive di SUV che manco in America. Di solito le guidatrici sono donne. Donne che cagano il loro panfilo dove più aggrada. Meta prediletta: i binari del tram. Manco a dirlo. Alcuni giorni fa ero sul mio tram dopo quella duecento ore di lezione, cullata dall'accelerare/frenare tipico del mio trammino, quando tutto si stoppa e un suono melodioso mi giunge alle orecchie: quello di centomila clacson. Ahhh. Mi sporgo e scopro l'arcano: è lui, sì, il SUV con la S maiuscola che campeggia in tutta la sua maestosità sui binari. Dopo alcuni minuti che a me sembrano secoli in slow motion, la proprietaria esce da Calzedonia (rileggete bene, Calzedonia) con il suo sacchetto, sale, sgomma e parte. Comodo, no?

Milano è La città in Italia dove la maggior parte della gente non conosce i colori del semaforo. Oppure glieli insegnano proprio sbagliati. Verde: vai a tutta velocità, non curarti minimamente degli ostacoli. Giallo: sbrigati che altrimenti sei in ritardo per andare a prendere il pargolo, pigia su quell'acceleratore. Rosso: E' la tua chance, dai gas e investi tutto il possibile. (Il rosso comma due indica: se per caso qualcuno ti insulta, non scusarti mai e inveisci il più possibile aggiungendo al suono anche le immagini e i gesti.)
Io ogni tanto tento di rischiare la morte. Mi metto lì, vedo la macchina in lontananza, faccio due passi sulle strisce e aspetto. La maggior parte delle volte mi fanno un pelo che manco Valentino sulla moto e devo reggermi bene la sciarpa sennò mi parte. Ma è tutta una questione di abitudine e di accaparrarsi le sette vite come i gatti.

Milano è la città divisa in due: conducenti di mezzi pubblici gentili e conducenti stronzi. Ne incontrerai sicuro di tutti i tipi. Quelli gentili ti aprono le porte mentre corri la Stramilano per prendere l'ultima 94 (ultimA, gli autobus qui sono femmine), con la faccia paonazza e la pezza fino ai piedi, e ti indicano la fermata se hai una cartina 8x6 in mano. Quelli stronzi ti chiudono le porte anche se sono fermi, quando hai la valigia, la borsa del pc, la borsa frigo e il cane appresso. E sono le 11.53 di sera. E ti guardano anche con quel sorrisino come a dire "toh, te l'ho fatta. Ora vai pure a piedi". Ma anche lì, le imprecazioni diventano di uso comune e ci si abitua.

Milano è la città dove effettivamente puoi fare ciò che vuoi quando vuoi. Fare colazione alle 4 di pomeriggio oppure aperitivo alle 23, fare shopping fino a sera tarda e cambiare tre discoteche in una notte sola. Lasciarti svenire al parco la domenica in mezzo a duemila cacche di cane sulla coperta della nonna e ustionarti con l'abbronzatura da muratore.

Milano ti dà l'idea di essere completamente solo nel mondo oppure sempre in compagnia di qualcuno. A seconda delle situazioni. Incontri sempre qualcuno anche se è immensa, ti fermi a chiacchierare, fai duecento attività diverse, e ti senti un pò la regina delle publi relations. Poi c'è la giornata in cui ti sputano nel caffè e ti senti sola come un cane, tutte le persone su cui posi lo sguardo sono in compagnia e molto spesso ridono, e tu ti senti persa nei meandri della metropoli.

Milano ha i suoi luoghi comuni ma ama anche eliminarli. Vive di contraddizioni ma è impossibile non innamorarsene. Anche se ti tocca lottare per la vita ad ogni attraversamento pedonale.

Hamburgerlandia

Fa tanto "Babe va in città". In effetti mi sento un pò Babe. Maialino coraggioso che dalla tranquilla fattoria si avventura nella grande città. Che poi la città sia Albany, piiiiiiccola capitale dello stato di New York (manco voi lo sapevate, deh?), poco importa. Che oggi abbia intravisto la simpatica tizia dell'altro corso che mi ha fottuto il posto a San Francisco, nemmeno. Perchè, cari amici tutti, parto. Cioè, non ora. Nè domani. A fine agosto, si, ma a me a giorni alterni pare di dover prendere baracca e burattini e traslarmi dall'altra parte dell'oceano.
Da vera maniaca del controllo e un tantino ossessivo-compulsiva, già mi sono fatta un giro sugli orari dei corsi del fall semester (altro che qui, che gli orari dei corsi li indovini il giorno prima al totocalcio), i voli, i possibili alloggi. Ogni cellula del mio corpo freme e vorrebbe sapere tutto subito, organizzare tutto all'istante e avere la tranquillità di aver fatto tutto alla perfezione. Perchè se avete avuto a che fare con Hamburgerlandia nella vostra vita sapete quanto i suoi simpatici abitanti siano una delle popolazioni più esigenti nell'universo conosciuto. Prima di partire si assicurano che tu non abbia partecipato al genocidio nazista del '45, che non partecipi ad attività terroristiche e che non contribuisci al commercio nero di bambini. Come? Chiedendotelo. Dei geni, in pratica. Voglio trovare quello che scrive sì.
Una volta messo piede sul suolo del Nuovo Mondo passi circa otto anni in coda alla dogana, dove ti chiedono le cose più svariate e senza senso, come che mestieri fanno i tuoi, chi sei venuto a trovare e perchè, quanti soldi ti sei portato e il tuo colore preferito. No, l'ultima non è vera. Le altre purtroppo sì.
Se poi sfortunatamente hai bisogno di un Visto, ti toccheranno appuntamenti frequenti con il consolato americano che riceve una volta ogni martedì dispari del mese, vuole tutti i documenti che la tua anagrafe e la tua banca possono offrirgli e anche un rene. Per sicurezza. Che simpatici. Essere un exchange student non è mai stato così facile.

A parte queste piacevoli operazioni burocratiche, il tempo speso daydreaming è aumentato del duecento percento. Cosa io abbia provato quando ho letto la mail dell'università che mi assegnava la destinazione, non ve lo so spiegare con esattezza. Cioè no, il primo pensiero è stato. "Ma cazzo, non è SF". Ok. Non è proprio l'aneddoto da raccontare ai posteri, lo so. Secondariamente ho chiamato chiunque annunciando la novella e ho atteso che i miei si riprendessero dall'esaurimento (se sopravvivono all'ammontare dei costi, avrò la certezza che sono immortali). Non sapevo nemmeno io se dire che ero felice o no. Fino a quel momento è stato tutto vago, una cosa che poteva succedere come no. Lì era scritto nero su bianco. Con anche un minaccioso: vedi di confermare entro una settimana. Non con queste esatte parole, ma il succo era quello. Insomma, una cosa un pò pressante. Era reale. Lì, che mi fissava. E io fissavo la mail.
Da allora cambio idea ogni dieci secondi, ho confermato dopo tre o quattro giorni sapendo che in fondo sarei partita. La cosa mi terrorizza e mi elettrizza allo stesso tempo. Ho paura che io e le mie paranoie, le mie ansie, non troveremmo il nostro posto in quella cittadina sull'Hudson. Che non ci sentiremo a nostro agio. Dall'altra, sono già con un piede su un aereo. Ogni tanto mi trovo a fare una lista mentale della roba da mettere in valigia, del numero di giacche e di scarpe. Immagino momenti che vivrò, persone che incontrerò, che per ora ancora mancano di volti. Mi focalizzo sui grandi dettagli, in pratica. Vivo di mille sensazioni contrastanti, che vanno dalla gioia infinita alla disperazione mentale tanto che ho paura che possa esplodere. I saluti in aereoporto già mi straziano il cuore. Detesto i saluti. Non riesco mai a staccarmi, ogni gesto non può essere l'ultimo. Maledetta sensibilità mia.
Cosa significherà tutto questo per me, non ve lo so dire. Non so nemmeno cosa significhi adesso. Non so nemmeno come vivere la mia futura partenza. Per ora mi limito al mio daydreaming.

Ma quali gambe?!

...oltre alle gambe c'è di piùùù.
Si, ma qui tra Natale, carnevale, le bugie e i panettoni, alle gambe tocca giusto uno sguardo distratto.
Un altro ottomarzo. Un'altra festicciuola.
Altre migliaia di euro pagate a innumerevoli omaccioni per spargersi di olio e sballonzolare le loro grazie in faccia a ignare spettatrici.
Tante mimose razziate. Un pò di allergia. Fiumi di alcool.
Oggi, occhiale scuro, ronzio nella testa, piegamento facile della palpebra.
Ahhh.
L'ottomarzo è un pò una certezza nella vita.
Insomma, comunque vada la tua settimana o il tuo mese, arriveranno sempre festicciuole come quella del papà, dei nonni, della donna, San Valentino, che mettono in bocca cioccolatini, dolcetti, sorrisi a tanti, e acidume e cinismo ad altri.
Quest'anno però vedo che va più di moda l'anti.
Il controcorrente che ormai, andando di percentuali, è diventato mainstream.
San Valentino? Cheschif. Tanto c'avete tutti le corna, tsk.
Festa della donna? Perlamordiddio. Ma sei donna no? C'è tutto un significato dietro a questo giorno, anche se oggi è primariamente goliardico...No, son donna tutti i giorni. Eccheccazzo. E io ricordo le donne bruciate nella fabbrica, non gli spogliarellisti. Bon.
Festa del Papà? Ussignur. Io il mio papà lo amo sempre. Si ma... No.

Che ci sia un'enorme colata di cacca calda che ci sta opprimendo e riempiendo di cinismo, anime aride che non siamo altro? Tant'è.
A me queste simpatiche ricorrenze piacciono.
Son sempre un motivo per festeggiare, innanzitutto. E ultimamente, ne mancano. Quindi perchè no.
Son ottimi momenti di riflessione, anche.
Dietro a mazzi di mimose e tricipiti unti ti senti anche parte di qualcosa, di un genere, di una storia. Accomunata per una volta all'anno a tutte.
Belle, brutte, grasse, basse, alte, magrine, simpatiche, stronze.
Ieri sera in pieno spirito di emancipazione, senso di sorellanza e bisogno di qualcosa di alcolico, ho assistito allo spettacolo di un frate che si spogliava per diventare il boss del padrino, per farsi ungere da una spettatrice e farle mangiare la banana che aveva nelle mutande.
Noooo che avete capito. Era una chiquita senza buccia che goliardicamente il bellimbusto aveva posizionato proprio lì. E giù a ridere. Ci basta poco, per farci felici, no?

Che bello essere donne.
E' bello sempre, sì. Ma è bello anche festeggiarlo una volta all'anno.
E ci sono giorni in cui è meno bello. In cui sì, vorresti davvero avere un pene, ma proprio tuo.
Quando torni a casa la sera e cammini rasente il muro.
Quando una mano non tua è sul tuo sedere e non è stata richiesta.
Quando mannaggiaogginonpiango e invece giù lacrimoni in ufficio.
Quando il bimbo piange e ti svegli tu di notte.
Quando hai le mestruazioni il giorno del colloquio.
Simpatiche cose di tutti i giorni, no?
Eppure, siam noi.
Fastidiose, tediose, con la voce noiosa, in ritardo, lamentose, testarde, narcise, appassionate, vive, sensuali, dolci, stanche, gioiose, creative, egoiste, egocentriche, generose, vivaci, sorridenti, precisine, ossessionate, raggianti, sincere, bugiarde, misteriose, cupe, ascoltatrici, pazienti, spazientite.
E sappiamo prenderci (quasi) sempre tutto quello che vogliamo.
Perchè sappiamo come farlo.
Infondo "le donne lo sanno, le donne l'han sempre saputo.."

Che amica sei.

Ok, ho un pelo di pausa. Giusto un pelo. Un venerdì di marzo che qui a Milano sembra maggio e si iniziano a vedere in giro i benefici della primavera. Parti del corpo bianchicce che fanno capolino ai raggi di sole caldo dell'ora di pranzo. Tra cui, il mio collo e ciò che esce del mio scollo dalla t-shirt. E non sono un bel vedere. Automobilisti che addirittura si ringraziano con la mano agli incroci. Cose ai confini della realtà, quindi.
Si vedono giovincelli e non trotterellare felici sulle biciclette con la prima arietta calda, che se non stai attento ti trotterellano anche sulla schiena, se al drin drin del loro campanello non ti sposti dal marciapiede con un balzo felino.
Ma comunque, la primavera è nell'aria e si sente.
Si sente dall'odore di ascella un pò meno rinchiusa nelle aule, per esempio. Ogni tanto senti anche una zaffata di profumo, e quello è IL segnale. Altro che rondini.
Si vede dall'occhio bovino dell'operaio (e dico operaio per non citare uomo in giacca e cravatta o tabacchino) che fissa le gambe delle passanti fasciate in striminziti jeans e non più sotto cappotti e cappottoni.
Insomma, la primavera è alle porte. Ci lamentavamo della neve, e ora tra qualche giorno l'asfalto milanese inizierà a sciogliersi come nelle migliori giornate di agosto. Le gioie di vivere in una metropoli sono anche queste.

Ma. Ciò di cui volevo scribacchiare era un denominatore comunque di qualsiasi Donna con la d maiuscola che si rispetti. Il nugolo di amiche al fianco. Ora, nella mia - seppur breve - allegra e a volte fantozziana esistenza, amiche ne ho avute a iosa. Certo, non tutte nello stesso momento. Alcune perse, alcune ritrovate, alcune fanculizzate con estremo fastidio, altre che ancora accompagnano i momenti bui in cui spesso mi butto a braccia aperte. Ma di amiche altrui ne ho sentito parlare altrettanto. Amiche di amiche che sono simpatiche, che a tratti diventano di altri, che tradiscono. Insomma, un discreto gruppo di donnicciuole che hanno in comune alcune caratteristiche e differiscono in tante altre.
L'altro giorno, in treno, stavo pensando ad una categorizzazione. (Alti pensieri su una poltroncina dell'intercity.) Nonostante le amiche di amiche, le mie, le tue, e le loro siano decine di persone diverse, si possono dividere in gruppo ben precisi. Ora, se ci saranno amiche (mie) che leggeranno, che sappiano che non penso a nessuna in particolare, ma possono comunque pensarsi come importantissimi tasselli e fonti di ricerca per questo (fantozziano appunto) studio del genere amicale femminile.

La siamese
Ovvero, la BF in stile Paris Hilton. Insomma, chi non ne ha mai avuta una? Ai tempi delle medie con cui dividevi il panino allo stracchino, alle superiori con cui saltavi ginnastica per fumare la prima sigaretta in cortile, all'università con cui fingevi di studiare. L'insostituibile, la gemella. A volte vi siete anche comprate dei vestiti uguali, promettendovi non metterveli mai nello stesso momento. E poi l'avete fatto. Lei è quella con cui hai passato intere serate al telefono con somma gioia dell'operatore telefonico, quella che vedi con una frequenza insostenibile anche per due fidanzati ma necessaria per voi due. Quella a cui telefoni in caso di necessità (il colore dello smalto da intonare alla borsa o la rottura del fidanzato), e quella che si sorbirà sempre e comunque le tue crisi adolescenziali (anche se l'adolescenza è già finita da un pezzo). E' l'amica paziente, intima, di solito dal carattere solare e poco irritevole, pronta a soccorrere. Con l'animo da crocerossina. Ora, questa tipologia di amica tende a evolversi in due modi: o ve la portate dietro per il resto della vita, finendo a ottant'anni a fumare le stesse sigarette extraslim e farvi la tinta sui capelli bianchi insieme (novanta su cento zitelle) oppure ad un certo punto dell'esistenza il cordone ombelicale tra voi due si assottiglia e inizierete ad avere vite separate con contatti casuali. In realtà esiste anche una terza alternativa, in cui un certo giorno vi svegliate e l'idea di rivolgervi anche una sola parola vi mette i brividi, e il cordone viene così tranciato di netto con due cesoie e chi si è visto si è visto.

La vedo non vedo
Amica in pianta stabile, vi volete solitamente tanto bbene. Ma, e esiste una serie infinita di ma, vi vedete non estremamente spesso per motivi vari. Di solito si ha molta confidenza, quando ci si vede è come se non vi foste mai lasciate, e anche lei è pronta ad ascoltare le vostre tragedie. Ma in questo caso le tragedie sono di livello superiore. Per le minuscolerie c'è la giù sopra citata La Siamese. Quando arrivi a chiamare la vedo non vedo per una crisi, di solito è seria. Puoi sparire per qualche settimana se non per qualche mese e viceversa senza nessun rimorso, perchè prima o poi una delle due farà una chiamata per vedere se l'altra ancora respira. Di queste amiche di solito se ne hanno un discreto numero, più o meno vicine, e spesso rimangono sporadici raggi di luce durante tutta l'esistenza.

L'immaginaria
In realtà esiste eccome, ma non per te. Probabilmente una volta eravate amiche, o vi siete trovare in simpatiche occasioni insieme, avete magari anche fatto qualche discorso. Ma poi la tua vita è andata avanti con determinazione e lei è rimasta nel dimenticatoio. Tu però non sei finita nel suo, che continua a riempirti la casella di posta di e-mails, ti manda messaggi sul telefono con faccine degne di un artista e ti propone grandi uscite e abbuffate serali. Tu, un pò per gentilezza, un pò per pena, a qualcuna accetti. Trascinando spesso l'amica siamese con te. In realtà sarebbe anche una personcina simpatica, presa a tratti e con due o tre bicchieri di vino in corpo, ma proprio non fa per te. Ma il taglio del cordone ombelicale con la cesoia temi possa portarle un male da cui non si riprenderebbe più.


Il danno
Questa amica di solito è una variante della simbiosi. Nel senso che siete molto vicine, vi vedete spesso, sapete (quasi) tutto l'una dell'altra. Solo che il vostro rapporto oltre che amicale assomiglia molto a quello materno. Nel quale la madre sei tu. E' una piccola Gian Burrasca capace di ficcarsi in ogni situazione possibile, anche in quelle in cui pensavi che nemmeno lei ci sarebbe arrivata. Ci sono varie prove da superare nella tua esistenza per starle accanto, come quella di fare il palo, sorbirsi tiritere sull'ultima relazione disastrosa, e tu sapevi che lo sarebbe stata e glielo hai anche detto. Spesso per proprietà transitiva finisci anche tu nei suoi casini. O devi tirarla fuori. Ti spinge a fare cose con estremo entusiasmo che solo dopo ti rendi conto essere delle stronzate colossali, ma riuscirai sempre a perdonarla ed essere pronta a farti trascinare la volta successiva.

L'antitesi
Amiche siete amiche. Piacerti ti piace. Ma quando la gente vi vede insieme o quando ti fermi un secondo a pensare, ti chiedi cosa diavolo abbiate in comune. Un pò come se foste Giovanardi e Luxuria. Siete opposte caratterialmente, fisicamente, non avete nemmeno un gusto in comune. Tu adori il sushi, lei fa una campagna a favore del tonno pinne gialle. Tu adori i tacchi alti, lei va in giro solo con sandali da frate. Adori il cinema d'autore, lei fa fatica a distinguere Tarantino da Spielberg. Tu leggi solo Novella duemila, lei da fuoco alle foto con Signorini. Lei va in vacanza in un resort alle barbados, tu in un interrail in Marocco con lo zaino in spalla. Lei è buddista e tu atea. Insomma, non ce n'è una che vi accomuni, ma in qualche modo riuscite a far incontrare i vostri gusti, mentre lei ti guarda mangiare con schifo un futomaki e prega in silenzio che ti rimanga sullo stomaco.


Insomma, tipologie di amiche diverse, che non sempre sono così rigide, ma giuro di poterne classificare alcune, mie, viste, sentite, non mie, conosciute, di cui mi hanno raccontato.
E sorrido.