martedì 29 maggio 2012

Cipressi, Silenzio e Scale di Legno.


Due parole, un'occhiata al calendario, una telefonata agli zii toscani che possiedono e gestiscono da soli un delizioso agriturismo. Pieno di benzina, canzoni caricate nell'iPhone, Tommy (TomTom di fiducia, ndr). Dopo l'esame di Diritto alle quattro e mezza di pomeriggio, a Milano, con trenta gradi e la verve di una cavalletta secca (del quale peraltro non ho ancora l'esito), quattro ore e mezza di viaggio invece di due e mezza per tornare a Savona, una distesa di merd esami all'orizzonte, una microfuga di quattro giorni immersi in un punto sperduto della Toscana, tra Torrita di Siena e Pienza, è stata una boccata di aria fresca. Non amo spammare, ma l'agriturismo Renello, in località Trequanda, immerso nelle colline, a metà tra la Val di Chiana e la Val d'Orcia, è qualcosa al di sopra dell'adorabile. Agriturismo che davvero si può definire tale: l'accento toscano ti accoglie caldo e ti inebria, puoi acquistare e gustare vino e olio squisiti, fare colazione pranzo e cena con i prodotti dell'orto (non ho mai mangiato delle bietole così buone) e fare un bagno in piscina con vista colline.
Insomma, fuggiti in fretta e furia dall'asfalto di Milano, buttando tre cose in valigia, dopo qualche oretta di macchina iniziamo a leggere sui cartelli nomi di paesi e località che già nella mente si immaginano pronunciate con accento toscano: Pienza, Bettolle, Petroio, Cortona (che poi in realtà è in Umbria..), Montalcino, Monticchiello. Piccole o più grandi perle fatte di pietre antiche, salite e vecchie mura. Il buon Tommy ci accompagna per stradine arzigogolate fino all'entrata costellata di Cipressi. Muovo i passi intorno all'agriturismo per curiosare e sono impressionata prima di tutto dal silenzio: qualche ronzio lontano di insetti, un cinguettio saltuario. Tanto che riuscivo a sentire il fruscio del vento tra gli ulivi. Uno spuntino di pecorino, prosciutto della Val d'Orcia e salame, e sono pronta per andare a posare il mio piccolo bagaglio nella stanza. Stanza che in realtà è una deliziosa casetta su due piani, rustica da far paura. La porta di legno cigola leggermente, all'interno è arredata con sapienza e mobili antichi. Salgo le scale di legno, gustandomi con le orecchie ogni cigolio dei miei passi. Arrivo nella stanza da letto, sui toni del verdolino. Letto in ferro battuto, coperta spessa di una volta, le foto dei cugini di Lui da piccoli incorniciate. Di una deliziosità da farti restringere il cuore. Questo è quello che vedevo dalla finestra.

Dopo pochi minuti di macchina, fermandoci ogni due per tre per fare foto al panorama mozzafiato, arriviamo a Pienza, un gioiellino di paesino quasi tutto pedonale, a strapiombo sulla Val d'Orcia.

La sera, a cena, seduti ad un pesante tavolo di legno in agriturismo, abbiamo mangiato tagliatelle al ragù toscano, capriolo e patate al forno, torta di mele fatta in casa, il tutto preceduto da uno spritz con vino locale e crostoni con fegatini, salsiccia e stracchino e bruschette. Non potete immaginare la bontà. Un pò ubriaca di cibo, fumo di sigaretta e parole, quella sera ho assistito a discorsi genuini, di quelli che puoi fare solo alla luce fioca che rischiara un agriturismo antico, davanti ad una tavola
imbandita semplicemente ma ricca di significato. La sera ho alzato il naso all'insù prima di aprire la porta di legno del nostro appartamento: nessuna nuvola, solo stelle. Nessuna luce, solo buio e puntini luminosi. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta che avevo visto le stelle in quel modo.



Qui c'è una carrellata di foto della sottoscritta che si gode l'aria, il vento sulla faccia, quella sensazione di essere parte di qualcosa. Ad occhi chiusi, con il naso all'insù, tutti i sensi svegli, sull'attenti, che captano ogni rumore, ogni suono, ogni odore e colore. Il tavolino di legno delizioso di fronte alla nostra casetta che ha ospitato dolci colazioni assonnate e stropicciate al sole del mattino. 


Qui invece una veduta mozziafato di Montalcino da una piccola fortezza (vertigini portami via.) E la terrazza dove abbiamo cenato l'ultima sera. Una terrazza ampia, decorata nei più piccoli particolari, che si apriva a braccia larghe sulla Val d'Orcia, direttamente verso il monte Amiata. Abbiamo cenato guardando lì, le colline. Il venticello fresco, le dita delle mani che si intrecciavano e occhi socchiusi che si godevano la vista e il rumore del vento. Il rumore delle spighe che si muovono nel vento credo non lo dimenticherò mai.

Quattro giorni del genere, tra Cipressi, Silenzio e Scale di Legno.
Tante cose che tutti, troppi, diamo per scontate. Il silenzio. La luce del sole sui campi di grano. Il rosso acceso dei papaveri che ti cattura, vorresti avvicinarti e divorarlo, da quanto è intenso. 


E poi l'odore di terra, quello schietto, quello che sa di sudore, di fatica, di sole e di pioggia.
L'odore della natura, quello che non è l'odore di erba tagliata in mezzo alle nostre città.
L'odore di fresco anche sotto il sole, l'odore di vita vibrante e di tutto ciò che è vivo e si sta muovendo, sta respirando e sta lavorando tutto intorno.
Su stradine assolate, alcune sterrate, il rumore di una macchina solitaria e il colore del cielo che si mischia con quello scuro degli occhiali da sole. Un bacio a labbra che sanno di ciliegie colte dall'albero e terra.
Il verde delle spighe non ancora mature che combacia perfettamente col beige delle case e il rosso dei papaveri. Il rumore dei grilli che viene cullato da quello del vento.
E non ti serve altro, per sentirti vivo.
Per sentire che sì, il sangue che ti scorre nelle vene è caldo ed è parte di tutto quello che vedi. 
  

Cipressi, Silenzio e Scale di Legno.


Due parole, un'occhiata al calendario, una telefonata agli zii toscani che possiedono e gestiscono da soli un delizioso agriturismo. Pieno di benzina, canzoni caricate nell'iPhone, Tommy (TomTom di fiducia, ndr). Dopo l'esame di Diritto alle quattro e mezza di pomeriggio, a Milano, con trenta gradi e la verve di una cavalletta secca (del quale peraltro non ho ancora l'esito), quattro ore e mezza di viaggio invece di due e mezza per tornare a Savona, una distesa di merd esami all'orizzonte, una microfuga di quattro giorni immersi in un punto sperduto della Toscana, tra Torrita di Siena e Pienza, è stata una boccata di aria fresca. Non amo spammare, ma l'agriturismo Renello, in località Trequanda, immerso nelle colline, a metà tra la Val di Chiana e la Val d'Orcia, è qualcosa al di sopra dell'adorabile. Agriturismo che davvero si può definire tale: l'accento toscano ti accoglie caldo e ti inebria, puoi acquistare e gustare vino e olio squisiti, fare colazione pranzo e cena con i prodotti dell'orto (non ho mai mangiato delle bietole così buone) e fare un bagno in piscina con vista colline.
Insomma, fuggiti in fretta e furia dall'asfalto di Milano, buttando tre cose in valigia, dopo qualche oretta di macchina iniziamo a leggere sui cartelli nomi di paesi e località che già nella mente si immaginano pronunciate con accento toscano: Pienza, Bettolle, Petroio, Cortona (che poi in realtà è in Umbria..), Montalcino, Monticchiello. Piccole o più grandi perle fatte di pietre antiche, salite e vecchie mura. Il buon Tommy ci accompagna per stradine arzigogolate fino all'entrata costellata di Cipressi. Muovo i passi intorno all'agriturismo per curiosare e sono impressionata prima di tutto dal silenzio: qualche ronzio lontano di insetti, un cinguettio saltuario. Tanto che riuscivo a sentire il fruscio del vento tra gli ulivi. Uno spuntino di pecorino, prosciutto della Val d'Orcia e salame, e sono pronta per andare a posare il mio piccolo bagaglio nella stanza. Stanza che in realtà è una deliziosa casetta su due piani, rustica da far paura. La porta di legno cigola leggermente, all'interno è arredata con sapienza e mobili antichi. Salgo le scale di legno, gustandomi con le orecchie ogni cigolio dei miei passi. Arrivo nella stanza da letto, sui toni del verdolino. Letto in ferro battuto, coperta spessa di una volta, le foto dei cugini di Lui da piccoli incorniciate. Di una deliziosità da farti restringere il cuore. Questo è quello che vedevo dalla finestra.

Dopo pochi minuti di macchina, fermandoci ogni due per tre per fare foto al panorama mozzafiato, arriviamo a Pienza, un gioiellino di paesino quasi tutto pedonale, a strapiombo sulla Val d'Orcia.

La sera, a cena, seduti ad un pesante tavolo di legno in agriturismo, abbiamo mangiato tagliatelle al ragù toscano, capriolo e patate al forno, torta di mele fatta in casa, il tutto preceduto da uno spritz con vino locale e crostoni con fegatini, salsiccia e stracchino e bruschette. Non potete immaginare la bontà. Un pò ubriaca di cibo, fumo di sigaretta e parole, quella sera ho assistito a discorsi genuini, di quelli che puoi fare solo alla luce fioca che rischiara un agriturismo antico, davanti ad una tavola
imbandita semplicemente ma ricca di significato. La sera ho alzato il naso all'insù prima di aprire la porta di legno del nostro appartamento: nessuna nuvola, solo stelle. Nessuna luce, solo buio e puntini luminosi. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta che avevo visto le stelle in quel modo.



Qui c'è una carrellata di foto della sottoscritta che si gode l'aria, il vento sulla faccia, quella sensazione di essere parte di qualcosa. Ad occhi chiusi, con il naso all'insù, tutti i sensi svegli, sull'attenti, che captano ogni rumore, ogni suono, ogni odore e colore. Il tavolino di legno delizioso di fronte alla nostra casetta che ha ospitato dolci colazioni assonnate e stropicciate al sole del mattino. 


Qui invece una veduta mozziafato di Montalcino da una piccola fortezza (vertigini portami via.) E la terrazza dove abbiamo cenato l'ultima sera. Una terrazza ampia, decorata nei più piccoli particolari, che si apriva a braccia larghe sulla Val d'Orcia, direttamente verso il monte Amiata. Abbiamo cenato guardando lì, le colline. Il venticello fresco, le dita delle mani che si intrecciavano e occhi socchiusi che si godevano la vista e il rumore del vento. Il rumore delle spighe che si muovono nel vento credo non lo dimenticherò mai.

Quattro giorni del genere, tra Cipressi, Silenzio e Scale di Legno.
Tante cose che tutti, troppi, diamo per scontate. Il silenzio. La luce del sole sui campi di grano. Il rosso acceso dei papaveri che ti cattura, vorresti avvicinarti e divorarlo, da quanto è intenso. 


E poi l'odore di terra, quello schietto, quello che sa di sudore, di fatica, di sole e di pioggia.
L'odore della natura, quello che non è l'odore di erba tagliata in mezzo alle nostre città.
L'odore di fresco anche sotto il sole, l'odore di vita vibrante e di tutto ciò che è vivo e si sta muovendo, sta respirando e sta lavorando tutto intorno.
Su stradine assolate, alcune sterrate, il rumore di una macchina solitaria e il colore del cielo che si mischia con quello scuro degli occhiali da sole. Un bacio a labbra che sanno di ciliegie colte dall'albero e terra.
Il verde delle spighe non ancora mature che combacia perfettamente col beige delle case e il rosso dei papaveri. Il rumore dei grilli che viene cullato da quello del vento.
E non ti serve altro, per sentirti vivo.
Per sentire che sì, il sangue che ti scorre nelle vene è caldo ed è parte di tutto quello che vedi.