martedì 10 luglio 2012

Saldami.

No, non è una nuova versione di "Compramiiii, io sono in venditaaa" ma è semplicemente l'inizio del sospirato periodo di saldi. Donne di tutto il mondo, unitevi: a suon di gomitate, ascelle pezzate e code per i camerini.
Sono queste le cose che ci rendono uguali, da Sondrio a Reggio Calabria. Che poi, diciamocelo, la maggior parte di noi compra cose non in saldo, perchè quelle in saldo di solito fanno cagarissimo perchè è rimasto solo il top color vomito e il pantalone con fantasia di pan di stelle.
Ma, che ve lo dico a fà, allo scattare dell'ora x, volenti o nolenti, ci ritroviamo perse nel marasma dei saldi. Oltre ai negozietti piccoli, fidati, dove si può trovare l'occasione della vita, le mete più ambite sono loro: H&M, Zara, Bershka. Dove lo stordimento è direttamente proporzionale alla grandezza del negozio. Le versioni del negozio possono essere due, in questo periodo. Una è aria condizionata munita, di solito con un'escursione termica di 25 gradi. Fuori equatore e dentro polo nord. Che torni a casa con l'affare della vita e due tonsille così. L'altra è invece non munita di refrigeramento, e la temperatura tende a superare quella esterna di tre o quattro gradi. Volete mettere i respiri affannati di decine di donne scalmanate e le loro ascelle messe insieme? Quindi a questo punto meglio andare sul sicuro con la prima versione.
Poi, c'è la versione di donna: quella che parte di casa con l'animo pacifico, placido come quella di una mucca che rumina nel prato, con l'idea di rassegnazione universale: non troverò mai nulla ma un giro per dare una svolta alla giornata lo faccio comunque. La si riconosce facilmente: vaga tra gli scaffali trascinando i piedi, dando manate svogliate ai capi, roteando gli occhi e sbuffando vistosamente. Questa è la versione meno pericolosa, il tempo di permanenza in un negozio va dai 10 secondi ai 5 minuti. Chi bisogna invece temere è la versione invasata del saldami-lifestyle: chi, con puntualità feroce, si ritrova davanti al negozio, la scarpa comoda, la canottiera stretch da combattimento e la tracolla, si guadagna la pole position. Sgomita, sorpassa, ruba. Sarebbe capace di strappare un top di lurex anche ad una bambina di sei anni. Calcola impietosamente gli sconti, i 3x2, le promozioni ed è il tipo di donna che entra in camerino con 40 capi e ne riemerge dopo tre o quattro ore, che tu inizi a pensare che sia un highlander.

Ma il bello, donne, il bello è lo shopping con l'Uomo. Che il saldami-pensiero non lo vede nemmeno col binocolo. L'uomo, in quanto essere semplice (vi giuro, non c'è essere più semplice, nemmeno quelli monocellulari. ) non concepisce la corsa all'ultimo minuto per rubare la zeppa leopardata alla milf di turno. Non concepisce la soddisfazione di aver trovato il vestito della vita scontato del 60%. Non comprendendo il punto focale, compra solo a prezzo pieno, quando il negozio è vuoto e possibilmente senza nessuna commessa che stia lì a mettergli pressione. Compra mediamente due o tre volte all'anno, solo perchè a dicembre si è reso conto che il maglione preferito è talmente liso sul gomito che si confonde con l'hobo vicino a Stazione Centrale. Prova mille maglioni, per trovare quello adatto, ti straccia l'anima perchè nessuno mai al mondo andrà bene, l'operazione di acquisto dura da due tre giorni ad una settimana intera, e alla fine tu vorresti contattare lo stilista in persona per mettere fine a questa sofferenza, mentre lui ne compra finalmente uno, minacciato da te di morte, ma non molto convinto. Fine. Insomma, anche se in una settimana di inferno, l'acquisto dell'Uomo si conclude. E per mesi si può vivere in pace. Almeno finchè non arrivano i saldi.
E lo si trascina da Zara.

Ecco, l'Uomo medio si immagina il momento esatto dopo la morte come un'enorme Zara nel periodo dei saldi estivi. Un infinito susseguirsi di commesse, camerini, ascelle, gridolini di approvazione e paillettes. Quindi immaginatevi la sua felicità alla vostra domanda: "Amore, mi accompagni a fare un giro nei saldi?" Roba che nemmeno i cani quando c'è un temporale, che vanno a nascondersi tremanti sotto il letto. Alcuni, stremati, dicono di sì. L'Uomo medio durante il saldo lo riconosci subito: vaga senza meta, l'occhio vuoto da condannato a morte che sa cosa lo aspetta, la maglietta un pò pezzata, il passo strascicato. Segue la compagna a pochi passi di distanza, ma poi si distrae un attimo e si perde. E allora comincia a rigirarsi a destra e a manca, boccheggiando, indeciso se fuggire o mettersi a piangere in un angolo. Se riesce a rimanere al passo funge da appendiabiti, perchè noi gli molliamo in mano tutto quello che abbiamo intenzione di provare. Nell'ordine: un paio di infradito, una zeppa blu cobalto, un tubino, due o tre giacchettini, tre costumi, un paio di pantaloni, una canottiera ma in tre taglie, un blazer ( attento non stropicciarlo ) e un vestito da spiaggia. Tocca poi alla coda dal camerino. Che ancora ancora, ricorda quella della posta, che in quel momento è anche allettante. Ma il momento clou è la prova: perchè bisogna avere anche un minimo di reattività, altrimenti NOI, noi rompi cazzo, non siamo soddisfatte. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica, sempre e comunque "Sei stupenda, compralo. Urla di essere indossato da te. E' uno spreco lasciarlo qui" Cioè praticamente un amico gay. Ma in mancanza, supponiamo che il compagno possa svolgere la stessa mansione. Errore madornale. Il compagno può, nell'ordine: annuire muto, annuire producendo un "uhm mmm" indistinto, dirti "carino", azzardare un "insomma, ne hai diecimila.." oppure ucciderti con un "ti segna un pò lì " (mi è capitato, lo giuro). Alchè tu compri tutto lo stesso, ma hai ancora quel piccolo fastidio di non aver avuto nessuno che ti dicesse "Sei splendida, la regina del camerino. Superba", e torni a casa con i sacchetti pieni ma l'amor proprio un pò spiegazzato.

Donne, ascoltatemi, lasciate a casa i compagni e trovatevi un Enzo Miccio. Vedrete come cambia la musica.

venerdì 6 luglio 2012

Addii e mancanze

Stanotte penso di aver passato l'ultima notte nel mio monoloculo di Milano. Qui a fianco un angolo di quella che è stata la mia spartana cucina insieme al Danno [ Per scoprire chi è il danno, se ti sei appena sintonizzato, leggi QUI ] per più o meno un anno della mia futile esistenza. Mancavano le tende, a quell'epoca, ora ci sono, lo giuro. Per il resto, sì, è vuotina. Ma il punto non è quello. Il punto è che tra una settimana impacchetterò quel poco di mio che c'è rimasto e ficcherò praticamente tutto l'ultimo anno della mia vita in qualche scatolone e due occhiate rapide finali alle stanze.
Detesto gli arrivederci, i saluti, figuriamoci gli addii. Odio salutare, dover lasciare indietro, dimenticare, lasciare che il tempo offuschi i ricordi e sfumi i contorni delle cose. Ho lasciato un anno fa l'appartamento in cui ho vissuto i primi due anni di università e ora se chiudo gli occhi ricordo ancora bene alcuni odori, alcuni angoli, ma so che qualcosa, piano piano, sta sfumando e perderò irrimediabilmente dettagli fondamentali. Ma insomma, tutto cambia nella vita? E ora, dopo quello vecchio, tocca abbandonare questo.
Il mio terzo anno di università è perfettamente richiudibile dentro un bilocale con cucina, balcone, bagnetto e camera. Calza alla perfezione. Credo inizierò a stendere un patetico elenco random di tutto quello che potrei etichettare e catalogare per stiparlo in quelle mura.

Le innumerevoli, nebbiose e freschine serate in cui io e il Danno abbiamo mangiato cinese recuperato in rosticceria sotto casa, per poi riguardare "Tu la conosci Claudia" e ripetere le battute a memoria, oppure piagnucolare con "Ho voglia di te", che ci ricordava tremendamente la nostra adolescenza (Sì, ai tempi mi era piaciuto, eqquindi?! ).

Le innumerevoli notti passate insonni, a rigirarsi nel letto con gli occhi sbarrati per i motivi più disparati, i tappi nelle orecchie, il rumore della strada, lo sciacquone del cesso che non si schiaccia con un bottone ma che si gira con una manovella.

I pranzi e le cene cucinate nel loculo, lasciando odore di porro per tutta la casa ( un metro per due, credo ), i tentativi di sushi con Lui, i risotti alla zucca della Knor con Lei, le domeniche sere ad aspettarla, il gossip riassuntivo della settimana, le sue cicche di sigarette lasciate ovunque.

La mia fobia del gas lasciato aperto e il mio ricontrollare i fornelli ( forse questo lo lascerei volentieri andare ), il suo prendermi per il culo.

Il giapponese sotto casa e le volte in cui a pranzo mi sono sentita libera di andarci a pranzare da sola, le cene sushi con Lui o le abbuffate sushi e fritto con Lei.

Le innumerevoli e interminabili chiamate Skype con Lui,a orari improponibili, le litigate con uno schermo, i pugni sbattuti sul tavolo e le urla che avranno segnato la vicina per sempre. Il nostro anniversario passato davanti a Skype, Lui pranzo e io cena.

La partenza e il ritorno da Londra, il mio primo viaggio da sola, libera, spogliata della maggior parte dei miei pudori, delle mie ansie e delle mie paranoie.

Le lenzuola zebrate che sanno di noi, le innumerevoli pagine studiate su quel tavolo abbarbicata alla sedia, gli infiniti caffè con il latte freddo o la panna, i miei tentativi di andare in palestra a fare pilates.

Le serate, il ritornare a casa scalza dopo aver tolto i tacche nel cortile, il mal di testa, i raffreddori, il freddo, la nebbia, il caldo quando si scioglie l'asfalto, le colazioni di fretta e con lo stomaco annodato prima di ogni maledetto esame. Lo studio silenzioso mio e del danno in sessione d'esame.

Innumerevoli puntate di serie americane, di Cortesie per gli Ospiti, di cucina con Buddy, di Malattie imbarazzanti. Decine di telefonate in lacrime ai Miei, decine di incazzature.

La volta in cui ho spostato il materasso urlando, le mie lacrime ranicchiata sul coperchio del wc, la pioggia, la grandine. La portinaia, la Sabi. Gli operai costanti, il supermercato sotto casa, il signore che vende i giornali, sempre gli stessi, sempre con lo stesso sorriso stampato in faccia e il "Ciao bella", a cui ho comprato un paio di giornali sorridendo.

Le cene cucinate da me e cucinate da Lui, antipasti di serate chiuse, piccole, semplici, in quel bilocale. Tutto quello quelle mura hanno sentito, e che non racconteranno a nessuno.

Un altro anno della mia vita vissuto così, riflettendoci troppo su come al mio solito, overanalysing. Un altro anno scivolato sulla mia pelle senza che potessi premere per un attimo il tasto pausa. Impacchettato e portato via. Ma un pezzo di quell'anno rimarrà sempre in Corso Genova 25.

lunedì 2 luglio 2012

Tempera e Bandiere

Partendo dal presupposto che la mia coinquilina nonchè il danno vive per la Sampdoria e per anni ho avuto a che fare con la psiche del tifoso, che ho passato decine e decine di domeniche al De Ferraris per solidarietà (finchè non mi hanno detto che portavo sfiga) e quindi di partite ne ho viste aiosa, tra gestacci, insulti alle madri (?), lacrime di gioia o di dolore, di calcio qualcosa ne mastico. Devo dire che guardare una partita ogni tanto non nuoce alla salute, dal punto di vista prettamente sportivo, anche se solitamente non mi frega assolutamente niente del vincitore, quindi il gesto perde tutto il suo senso. Ma comunque, è durante i mondiali e gli europei che la psiche del tifoso mi sorprende (ormai forse non più) e mi spaventa.
Ma andiamo con ordine.
Divido i tifosi dell'Italia in due grandi categorie:
Chi, un pò per noia, un pò per non fare la figura del forever alone, un pò per piacere di guardare una partita e sentirsi un pelo, e dico un pelo, patriottico (che anche lì..), si piazza davanti alla tv e gode del piacere di 90 minuti di partita, guardando, si suppone, due grandi squadre.
Dall'altra parte c'è chi, in preda ad un raptus patriottico-nazionalista, si tatua bandiere dell'Italia sulla fronte (peraltro fatte allo specchio, quindi risultano anche al contrario. ), compra magliette in puro acrilico che altro che scintille nella notte, impara a memoria i nomi dei calciatori e li associa a dei volti, e si raduna con un carretto di birre a casa di amici o nelle piazze, perchè QUESTI SONO I VERI MOMENTI IN CUI CI SI SENTE ITALIANI. Che stolta. Io pensavo fossero per esempio il 25 aprile, il 2 giugno, o magari quando andiamo tutti volontari in Emilia. MA NO, perchè l'appellativo "moralista" è già dietro l'angolo e non si aspetta un secondo per incollarmelo sulla fronte.
Ora, io non ho nulla in contrario a un branco di gente esaltata con la vuvuzela in mano che festeggia la partita, anzi beati loro che ne hanno la forza. Ma paragonare ad un Dio Balotelli e per questo iniziare a picchiarsi mezzi ubriachi col primo che passa forse è un tantino esagerato, che dite? Piangere per uno sconosciuto che ha fatto un gol non vi pare un pò sopra ogni limite? Distruggere città e prendere a bottigliate la gente forse non è paragonabile ai black block nelle manifestazioni? Ma no, perchè se si perde la calma per i diritti dei lavoratori siamo tutti comunisti, se roviniamo qualche macchina dopo la partita è euforia post-vittoria. E i tg nemmeno ne parlano, capite? Ho letto un post di un blog stamattina che riassumeva un concetto simile.

Ho anche letto, da un'altra parte, che chi non guarda la partita è radical-chic. Che, oltre a non voler dire un cazzo, chi non guarda la partita non potrebbe essere solo uno a cui non frega una ceppa? No?
Perchè se tu, essere invertebrato, non guardi la partita e non festeggi, non solo sei un outsider, ma la tua identità di italiano viene seriamente messa in dubbio. Che diamine di italiano sei se non tifi italia? Se poi provi anche a dire che forse non è esattamente giusto portare un calciatore indagato per scommesse agli Europei, sei fottuta. Sguardi torvi incorniciati da magliette blu puffo.

Ma menomale che l'autorialità dei giornali, dei professionisti, ci riporta nel mondo reale. Ovvero: le elementari. "Merkel Culona" e "Vaffanmerkel", oltre ad essere delle vere originalità ed avere un gusto sopraffino, sono le parole più apprezzate di questo europeo. La tristezza è doppia: che questi giornali abbiano la professionalità di un ragazzino di dieci anni, ma soprattutto che piacciono, fanno ridere, capite, diventano tormentoni. Oggi infine, la perla "Monti porta sfiga". Che un conto è la chiacchiera da bar, un conto è il titolo in grassetto di un giornale. Ma no, inutile radical-chic e moralista che non sono altro.

Infine, adoro chi, negando l'evidenza, sostiene che siamo stati bravi. Notate il SIAMO. Noi. Che eravamo sul divano con la birra. Non LORO. Ma vabbè. Ma la parola su cui mi soffermerei è BRAVI. Adesso, fosse stata una partita degna di essere chiamata partita, all'ultimo sangue, da brividi, condivido. Perdere con onore sapendo di aver giocato bene, è comunque una soddisfazione. Ma l'Italia è arrivata già in finale a sua insaputa, passando gli ottavi per sbaglio, e ha giocato una finale che sembrava Spagna - Under 21 di Ospedaletti. Oltre ai cambi azzeccatissimi di Prandelli, (che non è nemmeno in grado di mettersi una cravatta senza che la parte sottile sia più lunga dell'altra), un giocatore più rotto dell'altro, una difesa inesistente e l'aver scoperto solo alla premiazione che Marchisio era in campo (credo non sia nemmeno mai stato nominato dalla telecronaca), Prandelli ha anche avuto il coraggio di dire puttanate a caso come "dobbiamo crescere ma possiamo arrivare al loro livello " "sono stati bravi i ragazzi". Capite, la tristezza della cosa? Nemmeno uscire da una figura di merda del genere a testa bassa, sappiamo fare.
Che poi è la stessa cosa che l'Italia fa in ogni campo.

Saldami.

No, non è una nuova versione di "Compramiiii, io sono in venditaaa" ma è semplicemente l'inizio del sospirato periodo di saldi. Donne di tutto il mondo, unitevi: a suon di gomitate, ascelle pezzate e code per i camerini.
Sono queste le cose che ci rendono uguali, da Sondrio a Reggio Calabria. Che poi, diciamocelo, la maggior parte di noi compra cose non in saldo, perchè quelle in saldo di solito fanno cagarissimo perchè è rimasto solo il top color vomito e il pantalone con fantasia di pan di stelle.
Ma, che ve lo dico a fà, allo scattare dell'ora x, volenti o nolenti, ci ritroviamo perse nel marasma dei saldi. Oltre ai negozietti piccoli, fidati, dove si può trovare l'occasione della vita, le mete più ambite sono loro: H&M, Zara, Bershka. Dove lo stordimento è direttamente proporzionale alla grandezza del negozio. Le versioni del negozio possono essere due, in questo periodo. Una è aria condizionata munita, di solito con un'escursione termica di 25 gradi. Fuori equatore e dentro polo nord. Che torni a casa con l'affare della vita e due tonsille così. L'altra è invece non munita di refrigeramento, e la temperatura tende a superare quella esterna di tre o quattro gradi. Volete mettere i respiri affannati di decine di donne scalmanate e le loro ascelle messe insieme? Quindi a questo punto meglio andare sul sicuro con la prima versione.
Poi, c'è la versione di donna: quella che parte di casa con l'animo pacifico, placido come quella di una mucca che rumina nel prato, con l'idea di rassegnazione universale: non troverò mai nulla ma un giro per dare una svolta alla giornata lo faccio comunque. La si riconosce facilmente: vaga tra gli scaffali trascinando i piedi, dando manate svogliate ai capi, roteando gli occhi e sbuffando vistosamente. Questa è la versione meno pericolosa, il tempo di permanenza in un negozio va dai 10 secondi ai 5 minuti. Chi bisogna invece temere è la versione invasata del saldami-lifestyle: chi, con puntualità feroce, si ritrova davanti al negozio, la scarpa comoda, la canottiera stretch da combattimento e la tracolla, si guadagna la pole position. Sgomita, sorpassa, ruba. Sarebbe capace di strappare un top di lurex anche ad una bambina di sei anni. Calcola impietosamente gli sconti, i 3x2, le promozioni ed è il tipo di donna che entra in camerino con 40 capi e ne riemerge dopo tre o quattro ore, che tu inizi a pensare che sia un highlander.

Ma il bello, donne, il bello è lo shopping con l'Uomo. Che il saldami-pensiero non lo vede nemmeno col binocolo. L'uomo, in quanto essere semplice (vi giuro, non c'è essere più semplice, nemmeno quelli monocellulari. ) non concepisce la corsa all'ultimo minuto per rubare la zeppa leopardata alla milf di turno. Non concepisce la soddisfazione di aver trovato il vestito della vita scontato del 60%. Non comprendendo il punto focale, compra solo a prezzo pieno, quando il negozio è vuoto e possibilmente senza nessuna commessa che stia lì a mettergli pressione. Compra mediamente due o tre volte all'anno, solo perchè a dicembre si è reso conto che il maglione preferito è talmente liso sul gomito che si confonde con l'hobo vicino a Stazione Centrale. Prova mille maglioni, per trovare quello adatto, ti straccia l'anima perchè nessuno mai al mondo andrà bene, l'operazione di acquisto dura da due tre giorni ad una settimana intera, e alla fine tu vorresti contattare lo stilista in persona per mettere fine a questa sofferenza, mentre lui ne compra finalmente uno, minacciato da te di morte, ma non molto convinto. Fine. Insomma, anche se in una settimana di inferno, l'acquisto dell'Uomo si conclude. E per mesi si può vivere in pace. Almeno finchè non arrivano i saldi.
E lo si trascina da Zara.

Ecco, l'Uomo medio si immagina il momento esatto dopo la morte come un'enorme Zara nel periodo dei saldi estivi. Un infinito susseguirsi di commesse, camerini, ascelle, gridolini di approvazione e paillettes. Quindi immaginatevi la sua felicità alla vostra domanda: "Amore, mi accompagni a fare un giro nei saldi?" Roba che nemmeno i cani quando c'è un temporale, che vanno a nascondersi tremanti sotto il letto. Alcuni, stremati, dicono di sì. L'Uomo medio durante il saldo lo riconosci subito: vaga senza meta, l'occhio vuoto da condannato a morte che sa cosa lo aspetta, la maglietta un pò pezzata, il passo strascicato. Segue la compagna a pochi passi di distanza, ma poi si distrae un attimo e si perde. E allora comincia a rigirarsi a destra e a manca, boccheggiando, indeciso se fuggire o mettersi a piangere in un angolo. Se riesce a rimanere al passo funge da appendiabiti, perchè noi gli molliamo in mano tutto quello che abbiamo intenzione di provare. Nell'ordine: un paio di infradito, una zeppa blu cobalto, un tubino, due o tre giacchettini, tre costumi, un paio di pantaloni, una canottiera ma in tre taglie, un blazer ( attento non stropicciarlo ) e un vestito da spiaggia. Tocca poi alla coda dal camerino. Che ancora ancora, ricorda quella della posta, che in quel momento è anche allettante. Ma il momento clou è la prova: perchè bisogna avere anche un minimo di reattività, altrimenti NOI, noi rompi cazzo, non siamo soddisfatte. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica, sempre e comunque "Sei stupenda, compralo. Urla di essere indossato da te. E' uno spreco lasciarlo qui" Cioè praticamente un amico gay. Ma in mancanza, supponiamo che il compagno possa svolgere la stessa mansione. Errore madornale. Il compagno può, nell'ordine: annuire muto, annuire producendo un "uhm mmm" indistinto, dirti "carino", azzardare un "insomma, ne hai diecimila.." oppure ucciderti con un "ti segna un pò lì " (mi è capitato, lo giuro). Alchè tu compri tutto lo stesso, ma hai ancora quel piccolo fastidio di non aver avuto nessuno che ti dicesse "Sei splendida, la regina del camerino. Superba", e torni a casa con i sacchetti pieni ma l'amor proprio un pò spiegazzato.

Donne, ascoltatemi, lasciate a casa i compagni e trovatevi un Enzo Miccio. Vedrete come cambia la musica.

Addii e mancanze

Stanotte penso di aver passato l'ultima notte nel mio monoloculo di Milano. Qui a fianco un angolo di quella che è stata la mia spartana cucina insieme al Danno [ Per scoprire chi è il danno, se ti sei appena sintonizzato, leggi QUI ] per più o meno un anno della mia futile esistenza. Mancavano le tende, a quell'epoca, ora ci sono, lo giuro. Per il resto, sì, è vuotina. Ma il punto non è quello. Il punto è che tra una settimana impacchetterò quel poco di mio che c'è rimasto e ficcherò praticamente tutto l'ultimo anno della mia vita in qualche scatolone e due occhiate rapide finali alle stanze.
Detesto gli arrivederci, i saluti, figuriamoci gli addii. Odio salutare, dover lasciare indietro, dimenticare, lasciare che il tempo offuschi i ricordi e sfumi i contorni delle cose. Ho lasciato un anno fa l'appartamento in cui ho vissuto i primi due anni di università e ora se chiudo gli occhi ricordo ancora bene alcuni odori, alcuni angoli, ma so che qualcosa, piano piano, sta sfumando e perderò irrimediabilmente dettagli fondamentali. Ma insomma, tutto cambia nella vita? E ora, dopo quello vecchio, tocca abbandonare questo.
Il mio terzo anno di università è perfettamente richiudibile dentro un bilocale con cucina, balcone, bagnetto e camera. Calza alla perfezione. Credo inizierò a stendere un patetico elenco random di tutto quello che potrei etichettare e catalogare per stiparlo in quelle mura.

Le innumerevoli, nebbiose e freschine serate in cui io e il Danno abbiamo mangiato cinese recuperato in rosticceria sotto casa, per poi riguardare "Tu la conosci Claudia" e ripetere le battute a memoria, oppure piagnucolare con "Ho voglia di te", che ci ricordava tremendamente la nostra adolescenza (Sì, ai tempi mi era piaciuto, eqquindi?! ).

Le innumerevoli notti passate insonni, a rigirarsi nel letto con gli occhi sbarrati per i motivi più disparati, i tappi nelle orecchie, il rumore della strada, lo sciacquone del cesso che non si schiaccia con un bottone ma che si gira con una manovella.

I pranzi e le cene cucinate nel loculo, lasciando odore di porro per tutta la casa ( un metro per due, credo ), i tentativi di sushi con Lui, i risotti alla zucca della Knor con Lei, le domeniche sere ad aspettarla, il gossip riassuntivo della settimana, le sue cicche di sigarette lasciate ovunque.

La mia fobia del gas lasciato aperto e il mio ricontrollare i fornelli ( forse questo lo lascerei volentieri andare ), il suo prendermi per il culo.

Il giapponese sotto casa e le volte in cui a pranzo mi sono sentita libera di andarci a pranzare da sola, le cene sushi con Lui o le abbuffate sushi e fritto con Lei.

Le innumerevoli e interminabili chiamate Skype con Lui,a orari improponibili, le litigate con uno schermo, i pugni sbattuti sul tavolo e le urla che avranno segnato la vicina per sempre. Il nostro anniversario passato davanti a Skype, Lui pranzo e io cena.

La partenza e il ritorno da Londra, il mio primo viaggio da sola, libera, spogliata della maggior parte dei miei pudori, delle mie ansie e delle mie paranoie.

Le lenzuola zebrate che sanno di noi, le innumerevoli pagine studiate su quel tavolo abbarbicata alla sedia, gli infiniti caffè con il latte freddo o la panna, i miei tentativi di andare in palestra a fare pilates.

Le serate, il ritornare a casa scalza dopo aver tolto i tacche nel cortile, il mal di testa, i raffreddori, il freddo, la nebbia, il caldo quando si scioglie l'asfalto, le colazioni di fretta e con lo stomaco annodato prima di ogni maledetto esame. Lo studio silenzioso mio e del danno in sessione d'esame.

Innumerevoli puntate di serie americane, di Cortesie per gli Ospiti, di cucina con Buddy, di Malattie imbarazzanti. Decine di telefonate in lacrime ai Miei, decine di incazzature.

La volta in cui ho spostato il materasso urlando, le mie lacrime ranicchiata sul coperchio del wc, la pioggia, la grandine. La portinaia, la Sabi. Gli operai costanti, il supermercato sotto casa, il signore che vende i giornali, sempre gli stessi, sempre con lo stesso sorriso stampato in faccia e il "Ciao bella", a cui ho comprato un paio di giornali sorridendo.

Le cene cucinate da me e cucinate da Lui, antipasti di serate chiuse, piccole, semplici, in quel bilocale. Tutto quello quelle mura hanno sentito, e che non racconteranno a nessuno.

Un altro anno della mia vita vissuto così, riflettendoci troppo su come al mio solito, overanalysing. Un altro anno scivolato sulla mia pelle senza che potessi premere per un attimo il tasto pausa. Impacchettato e portato via. Ma un pezzo di quell'anno rimarrà sempre in Corso Genova 25.

Tempera e Bandiere

Partendo dal presupposto che la mia coinquilina nonchè il danno vive per la Sampdoria e per anni ho avuto a che fare con la psiche del tifoso, che ho passato decine e decine di domeniche al De Ferraris per solidarietà (finchè non mi hanno detto che portavo sfiga) e quindi di partite ne ho viste aiosa, tra gestacci, insulti alle madri (?), lacrime di gioia o di dolore, di calcio qualcosa ne mastico. Devo dire che guardare una partita ogni tanto non nuoce alla salute, dal punto di vista prettamente sportivo, anche se solitamente non mi frega assolutamente niente del vincitore, quindi il gesto perde tutto il suo senso. Ma comunque, è durante i mondiali e gli europei che la psiche del tifoso mi sorprende (ormai forse non più) e mi spaventa.
Ma andiamo con ordine.
Divido i tifosi dell'Italia in due grandi categorie:
Chi, un pò per noia, un pò per non fare la figura del forever alone, un pò per piacere di guardare una partita e sentirsi un pelo, e dico un pelo, patriottico (che anche lì..), si piazza davanti alla tv e gode del piacere di 90 minuti di partita, guardando, si suppone, due grandi squadre.
Dall'altra parte c'è chi, in preda ad un raptus patriottico-nazionalista, si tatua bandiere dell'Italia sulla fronte (peraltro fatte allo specchio, quindi risultano anche al contrario. ), compra magliette in puro acrilico che altro che scintille nella notte, impara a memoria i nomi dei calciatori e li associa a dei volti, e si raduna con un carretto di birre a casa di amici o nelle piazze, perchè QUESTI SONO I VERI MOMENTI IN CUI CI SI SENTE ITALIANI. Che stolta. Io pensavo fossero per esempio il 25 aprile, il 2 giugno, o magari quando andiamo tutti volontari in Emilia. MA NO, perchè l'appellativo "moralista" è già dietro l'angolo e non si aspetta un secondo per incollarmelo sulla fronte.
Ora, io non ho nulla in contrario a un branco di gente esaltata con la vuvuzela in mano che festeggia la partita, anzi beati loro che ne hanno la forza. Ma paragonare ad un Dio Balotelli e per questo iniziare a picchiarsi mezzi ubriachi col primo che passa forse è un tantino esagerato, che dite? Piangere per uno sconosciuto che ha fatto un gol non vi pare un pò sopra ogni limite? Distruggere città e prendere a bottigliate la gente forse non è paragonabile ai black block nelle manifestazioni? Ma no, perchè se si perde la calma per i diritti dei lavoratori siamo tutti comunisti, se roviniamo qualche macchina dopo la partita è euforia post-vittoria. E i tg nemmeno ne parlano, capite? Ho letto un post di un blog stamattina che riassumeva un concetto simile.

Ho anche letto, da un'altra parte, che chi non guarda la partita è radical-chic. Che, oltre a non voler dire un cazzo, chi non guarda la partita non potrebbe essere solo uno a cui non frega una ceppa? No?
Perchè se tu, essere invertebrato, non guardi la partita e non festeggi, non solo sei un outsider, ma la tua identità di italiano viene seriamente messa in dubbio. Che diamine di italiano sei se non tifi italia? Se poi provi anche a dire che forse non è esattamente giusto portare un calciatore indagato per scommesse agli Europei, sei fottuta. Sguardi torvi incorniciati da magliette blu puffo.

Ma menomale che l'autorialità dei giornali, dei professionisti, ci riporta nel mondo reale. Ovvero: le elementari. "Merkel Culona" e "Vaffanmerkel", oltre ad essere delle vere originalità ed avere un gusto sopraffino, sono le parole più apprezzate di questo europeo. La tristezza è doppia: che questi giornali abbiano la professionalità di un ragazzino di dieci anni, ma soprattutto che piacciono, fanno ridere, capite, diventano tormentoni. Oggi infine, la perla "Monti porta sfiga". Che un conto è la chiacchiera da bar, un conto è il titolo in grassetto di un giornale. Ma no, inutile radical-chic e moralista che non sono altro.

Infine, adoro chi, negando l'evidenza, sostiene che siamo stati bravi. Notate il SIAMO. Noi. Che eravamo sul divano con la birra. Non LORO. Ma vabbè. Ma la parola su cui mi soffermerei è BRAVI. Adesso, fosse stata una partita degna di essere chiamata partita, all'ultimo sangue, da brividi, condivido. Perdere con onore sapendo di aver giocato bene, è comunque una soddisfazione. Ma l'Italia è arrivata già in finale a sua insaputa, passando gli ottavi per sbaglio, e ha giocato una finale che sembrava Spagna - Under 21 di Ospedaletti. Oltre ai cambi azzeccatissimi di Prandelli, (che non è nemmeno in grado di mettersi una cravatta senza che la parte sottile sia più lunga dell'altra), un giocatore più rotto dell'altro, una difesa inesistente e l'aver scoperto solo alla premiazione che Marchisio era in campo (credo non sia nemmeno mai stato nominato dalla telecronaca), Prandelli ha anche avuto il coraggio di dire puttanate a caso come "dobbiamo crescere ma possiamo arrivare al loro livello " "sono stati bravi i ragazzi". Capite, la tristezza della cosa? Nemmeno uscire da una figura di merda del genere a testa bassa, sappiamo fare.
Che poi è la stessa cosa che l'Italia fa in ogni campo.