lunedì 27 agosto 2012

God Bless America

Oggi è una settimana giusta giusta che sono qui. In effetti, è volata liscia come l'olio. Frenetica, tante cose da fare, ampie distanze e poco tempo, ma serena. Se penso a una settimana esatta fa, al momento in cui ero nella mia camera, con due lenzuola di cartone, nessuna federa, la casa vuota, la chiave incastrata nella porta e solamente me su cui contare.. diciamo che insomma, stavo per uscire e comprare sgabello e cappio.
Sette giorni dopo posso dire di avere delle coinquiline, delle amiche, e molta più consapevolezza.

Consapevolezza di dove sono, cosa faccio, come mi muovo. Causa paranoia cronica (per qualsiasi chiarimento contattare chi mi ha messa al mondo. Vi amo, per la cronaca) sono una persona molto responsabile. Si lo so che la gente lo dice a caso, ma io lo sono davvero. Quindi ho imparato strade, numeri di taxi, ore in cui è meglio tornare, persone di cui è meglio fidarsi e altre meno.
E' la mia stupidissima natura che mi porta a un costante overanalysing. 
In ogni caso, qui sembra sempre di vivere in Smallville o qualsiasi telefilm americano anni 90 sulla vita scolastica. Bicchieri rossi, Icecream a non finire, schifezze (la maggior parte delle volte gratis) di qualsiasi natura, letali ma invitanti come non mai, cheerleaders e giocatori di football, grassocci padri di famiglia con birra nella mano destra e noccioline nella sinistra che si emozionano per l'inno americano subito prima di una partita di baseball.

Ecco, parliamo del baseball. Una partita di quelle così, venerdi pomeriggio, con squadrette abbastanza inutili come può essere il Savona. Alle sei iniziano con il picnic (qui la cena è alle sei. Attaccatevi pure al cazz..campanello, se mangiate in mensa alle otto e tre minuti vi buttano fuori anche se avete ancora tre fette di pizza tutte insieme in bocca. Quindi, dicevo, pic nic alle sei composto da: hamburger, hot dog, sei o sette tipi di salse, maccheroni molli col pomodoro, fusilli rossi bianchi e verdi con sugo cremoso di peperoni in agrodolce. Na delizia sopraffina. Alchè, muniti di cappellino e birrozza, mascotte, popcorn, tabellone luminoso e musichette, parte l'inno. Che, dico, da noi alle partite non lo cantano nemmeno i calciatori perchè fanno fatica a imparare il testo, e qui tutto il pubblico si toglie il cappello, mano destra sul cuore e via con God Bless America. Mancava una lacrimuccia e i coriandoli, forse. I marinai e la bandiera c'erano, ve lo giuro.

Comunque, andando avanti, il baseball è nato per essere infinito. Nove inning che durano un tempo indefinito, ogni tanto tutti i giocatori escono dal campo e poi rientrano, ci sono delle pause in cui si fanno cose folli come gente che corre con i sacchi, su delle minimoto o persone vestite da personaggi dei cartoni passano tra la folla salutando. Tutto si conclude dopo circa tre ore con fuochi d'artificio. Ogni.singola.volta.
Della serie qui la crisi non se sente.
Siamo andati in dei pub, in queste sere. Se pensavamo di avere il primato dell'ubriacatura molesta, sbagliavamo di grosso. Qui la gente si ubriaca come se non ci fosse un domani, senza limiti nè confini, verso l'infinito e oltre. Vedi ragazze in flipflops, short di jeans che a stento contengono le loro cosce e pancia di fuori rovesciate sui marciapiedi come se nulla fosse, enormi football players con il collo dalla circonferenza di una sequoia mandare giù intrugli fatti di jackdaniels alla velocità della luce, vedi gente da bollino rosso nei bagni, ragazze dai lunghi capelli che urlano in ogni momento quando salutano le amiche. Insomma, il paradiso dell'adolescente medio.
Ogni giorno imparo cose nuove sull'America. Aggiungo alla mia lista:

11. I fuochi d'artificio servono sempre: dopo una partita di baseball e prima dell'inizio delle lezioni.
12. Le ciabatte estive aperte vanno portate col calzino. Meglio se bianco. Meglio se sopra la caviglia.
13. Non importa che fisico tu abbia, un paio di shorts inguinali vanno sempre bene.
14. Se mangi in una mensa trovi di tutto. Anche frutta e verdura. L'inculata è che c'è anche tutto il resto e tu NON PUOI resistere. Ci sono test clinici che lo confermano. Mi sono fatta un waffle fresco dopo cena. Con maple syrup, burro e zucchero a velo. Chiamatemi pure miss piggy.
15. Per una strana ragione le uova vanno solo in confezione da 12. O da 24. Se vuoi anche da 48.
16. Per ogni evenienza puoi trovare qualsiasi cosa surgelata. Forse anche un fidanzato.
17. Gli americani amano l'accento italiano quando parli inglese. Poi però ti prendono per il culo.
18. I taxisti vanno in giro con un cartello "Chiunque vomiti nel taxi deve pagare 75dollari di pulizia" e questo la dice lunga su quanto spesso capiti.
19. Puoi trovare italian toppings ovunque, che di italiano non hanno nemmeno il nome.
20. Il pullman giallo della scuola dei Simpson esiste davvero. Ed è degli anni 70, credo, a giudicare dalle condizioni in cui era quando ci ho fatto un giro.

E niente, qui è l'una di notte, mi sono ingozzata di Brigadeiros (dolcetto tipico brasiliano che la mia lovely brasilian friend ha cucinato per noi) e domani iniziano le lezioni. Francese alle 11.30. Già al mattino faccio confusione con l'inglese, ficcarci dentro il francese sarà una figata.

P.S. Parlare inglese tutto il giorno è la cosa più stancante che abbia mai fatto. Alla sera inizio a svarionare ficcando parole italiane ovunque o esprimendomi a gesti. Il bello è che gli altri internazionali mi capiscono.
Se domani prima dell'inzio delle lezioni non organizzo i miei pensieri in inglese la vedo molto dura.

God Bless America.

giovedì 23 agosto 2012

This is SUCH an american thing

Avrei voluto tenere un diario giornaliero. Sono arrivata domenica, oggi è mercoledì e scrivo per la prima volta. Giusto per sottolineare che i miei programmi raramente vengono mantenuti.
Ma qui la vita si muove troppo rapida per fermarsi a pensare. Ho ancora metà dei vestiti nelle valigie aperte e sparse per il pavimento della camera, l'altra metà è sul letto e tutto il resto della mia roba è buttato a caso sulla scrivania. La sera sono troppo stanca per poter fare qualcosa e crollo in un sonno profondo.
Sì, leggete bene. Io che crollo in un sonno profondo. Praticamente senza pensare, senza grandi paranoie.
E' così bello che sono quasi sconvolta.
Tutto fila liscio qui, come se fosse un ingranaggio ben oliato, sto conoscendo persone da ogni parte del mondo e stupende nella loro diversità, per questi primi tre giorni nonostante la stanchezza, la malinconia serale e la mancanza di casa, il jet lag e la casa vuota non ho avuto nemmeno una delle mie solite paranoie. Sarà l'aria americana, con le sue bandiere sempre issate, il suo cielo così immenso da non sembrare nemmeno nello stesso universo italiano e il suo accento così OOOOOSOME?

Già, qui il cielo è gigantesco, le nuvole hanno un'altra forma e l'erba un altro verde. Tutto profuma di un odore diverso, nuovo ma familiare, il vento accarezza in un modo tutto nuovo.

Sono sopraffatta, quasi sedata. Non mi riconosco quasi, e mi piaccio.
Sono serena. A parte piccoli inconvenienti come l'essere una delle due che vive lontana da tutti, ma qui sono tutti così lovely che mi accompagnano a casa a piedi alle undici di sera anche se il loro dorm è dalla parte opposta. Scopro in persone sconosciute angoli familiari, sicuri, confortevoli. Nelle parole, nei sorrisi, nei gesti. Mi sento a casa anche se un costante nodo alla gola fa capolino ogni tanto.
Credo di non aver ancora realizzato che starò qui per altri quattro mesi. Il mio cervello ha superato il grande salto nel vuoto del distacco e ora sembra anestetizzato, oppure un pò in botta dopo un'operazione all'appendicite.
La cosa bella di tutto questo è che in soli tre giorni di full time english quando parlo italiano mi vengono fuori parole inglesi e ogni tanto faccio un casino della serie "Si sarebbe bello, potremmo arrange something"
C'è un'anima americana dentro di me, me lo sento. Such an american thing.
Qui è tutto come nei telefilm, gli americani sono come nei telefilm, il cibo, oggi ho persino visto la BALLROOM nell'università. La ballroom, capite?
Mi ci manca uno school prom con tanto di punch e poi volo nel paradiso di Smallville, Seven Heaven e Dawson's Creek.

In questi tre giorni ho fatto più cose di quante ne faccia di solito in un mese: una orientation con tanto di cartellino con nome e nazionalità, uno shopping da fare invidia a pazzi per la spesa da Walmart, un giro al Crossgates (il big big big mall), colazione in università con pancakes, frutta e maple syrup, un hamburger in terrazza per pranzo in università, qualche birra in downtown, un giro sulle rive dell'Hudson, uno spettacolo di magia e quattrocentomila scambi culturali guardando negli occhi mille mondi diversi.
Più conosco il mondo, più lo adoro.

Egnente, gli americani sono molto american. Tutto è molto a stelle e strisce. Per dire:
1. L'aria condizionata è una costante. Che fuori ci siano trenta gradi o meno dieci.
2. Nei supermercati lo spazio riservato alla frutta e verdura è un milionesimo.
3. La gente compra davvero taniche di maionese da 3litri. Rileggete, tre litri.
4. Lo shampoo ed ogni altro detergente sono di dimensioni cosmiche.
5. Le linguine con salsa agrodolce e peperoni NON sono commestibili.
6. I guidatori di autobus ti salutano con un sorriso e un "have a good one".
7. Le flip flops sono le scarpe della vita.
8. Se urti per sbaglio qualcuno e chiedi scusa, ti sorride e ti dice scusa a sua volta.
9. Ogni giorno è buono per fare uscire una nuova coca cola ad un gusto assurdo.
10. Gli americani si emozionano per i maghi in erba.


Così è come mi sento dopo tre giorni americani. Ora che ci penso, grazie al cielo non ho scritto la sera che sono arrivata. Il mio umore non era esattamente dei migliori, dopo nove ore di volo, tre di pullman intermezzate da una viaggetto in metropolitana di New York, una chiave bloccata nella serratura e niente lenzuola nè cuscino.

Ma la cosa spettacolare è che sto sopravvivendo, e, per ora, alla grande.

sabato 18 agosto 2012

Grandi giorni e calma piatta

Sembra ieri. Il giorno in cui ho ricevuto quella mail con la conferma di essere stata presa per l'America. Sembra ieri e invece domani è qui e stanotte mi mobilito verso Malpensa. La cosa strana è che è come se una settimana fa mi abbiano sedata con una dose pesante di antidepressivo. Mi spiego. Vivo ogni cosa con un'intensità atroce, che sia bella o brutta. Molto spesso tendo a donare ancora più intensità a quelle brutte. Ma comunque. Mi crogiolo nei pensieri, nei se, nei ma, vedo il bicchiere non mezzo vuoto ma rotto, prima di dormire sono perseguitata da fantasie e masturbazioni mentali. E invece in questi giorni nulla. Un pò di casino organizzativo, al massimo. Saluto persone come se non avessi fatto altro nella vita, abbraccio, sorrido. Vado a cene, dormo magari tardi ma senza distorcermi la visione del mondo con le mie stesse mani. E io mi conosco, non è da me. Prendere le cose con serenità. E me ne lamento pure? In effetti.

Ma le acque chete sono le più pericolose. E mi aspetto una sorpresona da me stessa coi fiocchi. Egnente, mi aspettavo brividi e piagnucolii, fervida immaginazione e notti insonni. Il massimo che ho registrato è stato qualche addormentamento tardivo. Il potere delle aspettative. Tu sei lì, pensi e ripensi per giorni, mesi, a quel grande giorno, e quando arriva ti si stampa in faccia un grande BOH.
Insomma, l'irrequietezza che mi contraddistingue pare si sia sciolta al sole di agosto.

Sono qui in un mare di valigie, a farmi una doccia fredda ogni dieci minuti, a ricontare i documenti, come se nulla fosse. Un giorno come un altro. E domani a quest'ora starò svolazzando probabilmente sopra l'oceano.


Chi mi ha svuotata delle mie paranoie? Mi sento un pò persa, maledizione.

domenica 5 agosto 2012

Tutto si muove rapido

Oggi mancano ufficialmente due settimane. Egnente, non riesco a farmene una ragione. Nel senso che razionalmente so tutto: il mio volo, la mia futura casa, le mie future coinquiline. Ho studiato a memoria la piantina del campus, dell'appartamento, il mio orario delle lezioni. Penso tanto, troppo. So che tra due settimane vivrò nello stato di New York, mi ingozzerò di Bagel e trotterellerò sulle rive dell'Hudson, ma è un pò come se stessi seguendo il percorso di un'altra. Come se infondo all'areoporto ci andrò, ma solo per salutare quella che parte. Per fare ciao ciao con la manina, voltarmi e ritornare in macchina e poi a casa. Nel mio letto. Con le mie luci, i miei odori, le mie ore. Il mio tempo e il mio spazio. Qui è tutto fottutamente mio. Mi dico che mancano due settimane, che ho quasi tutto pronto, ed è la stessa cosa che ripeto a tutti, con lo stesso tono, gli stessi sorrisi e gli stessi gesti. Racconto come se riportassi un pettegolezzo o la storia di qualcun'altro. E d'improvviso invidio tutti, che il 20 agosto si sveglieranno sempre nello stesso posto e con la stessa vita. E loro invidiano me. Che buffa che è la vita. Lì, è un'altra vita. Un altro mondo, un'altra lingua, un altro tutto. A volte mi sorprendo a fantasticare, felice come una bambina il giorno di Natale. A volte mi sorprendo con un nodo alla gola e una sensazione di claustrofobia, di soffocamento. Che non sia capace di godermi nulla? Più che possibile, se non probabile.

Ho paura. Di tutto. Una fottuta paura di tutto, che mi paralizza, mi blocca dal produrre qualsiasi pensiero razionale. Di qualsiasi barlume di positività. Ma in fondo, questo viaggio lo faccio per questo. Per spogliarmi delle mie paure, per lasciarle sull'areo e abbandonarle mentre mi volto. Questo viaggio lo faccio per fare pace con me, per mitigarmi al vento dell'oceano. Per smussare gli angoli che non mi piacciono, per rimproverarmi silenziosamente e darmi una pacca sulla spalla ogni volta che supero un ostacolo. Lo faccio per svuotarmi i polmoni dell'aria malsana che respiro ogni tanto. Per guardare tutto con occhi nuovi. Per apprezzare tanto le novità come le cose che già mi appartengono. Questo viaggio lo faccio per dimostrarmi che posso. Posso e non solo nei pensieri, ma posso sul serio. Senza l'aiuto di nessuno, nel mio silenzio e nei miei pianti. Nel mio panico sordo e in quella sensazione all'altezza dello stomaco che a volte me lo stringe fino a farmi smettere di respirare. Voglio poter riprendere il controllo di me stessa in ogni momento, cosa che non ho più tanto spesso. Voglio potermi sentire potente, nel pieno delle mie facoltà. Voglio tornare e sentirmi orgogliosa di me stessa. So quanto sarà difficile, ma so anche che posso farcela.

Quando ho un tentennamento, rileggo questa frase, così tremendamente poetica e allo stesso tempo duramente reale.

Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite. Mark Twain








Payphone - Maroon 5 ON AIR

God Bless America

Oggi è una settimana giusta giusta che sono qui. In effetti, è volata liscia come l'olio. Frenetica, tante cose da fare, ampie distanze e poco tempo, ma serena. Se penso a una settimana esatta fa, al momento in cui ero nella mia camera, con due lenzuola di cartone, nessuna federa, la casa vuota, la chiave incastrata nella porta e solamente me su cui contare.. diciamo che insomma, stavo per uscire e comprare sgabello e cappio.
Sette giorni dopo posso dire di avere delle coinquiline, delle amiche, e molta più consapevolezza.

Consapevolezza di dove sono, cosa faccio, come mi muovo. Causa paranoia cronica (per qualsiasi chiarimento contattare chi mi ha messa al mondo. Vi amo, per la cronaca) sono una persona molto responsabile. Si lo so che la gente lo dice a caso, ma io lo sono davvero. Quindi ho imparato strade, numeri di taxi, ore in cui è meglio tornare, persone di cui è meglio fidarsi e altre meno.
E' la mia stupidissima natura che mi porta a un costante overanalysing. 
In ogni caso, qui sembra sempre di vivere in Smallville o qualsiasi telefilm americano anni 90 sulla vita scolastica. Bicchieri rossi, Icecream a non finire, schifezze (la maggior parte delle volte gratis) di qualsiasi natura, letali ma invitanti come non mai, cheerleaders e giocatori di football, grassocci padri di famiglia con birra nella mano destra e noccioline nella sinistra che si emozionano per l'inno americano subito prima di una partita di baseball.

Ecco, parliamo del baseball. Una partita di quelle così, venerdi pomeriggio, con squadrette abbastanza inutili come può essere il Savona. Alle sei iniziano con il picnic (qui la cena è alle sei. Attaccatevi pure al cazz..campanello, se mangiate in mensa alle otto e tre minuti vi buttano fuori anche se avete ancora tre fette di pizza tutte insieme in bocca. Quindi, dicevo, pic nic alle sei composto da: hamburger, hot dog, sei o sette tipi di salse, maccheroni molli col pomodoro, fusilli rossi bianchi e verdi con sugo cremoso di peperoni in agrodolce. Na delizia sopraffina. Alchè, muniti di cappellino e birrozza, mascotte, popcorn, tabellone luminoso e musichette, parte l'inno. Che, dico, da noi alle partite non lo cantano nemmeno i calciatori perchè fanno fatica a imparare il testo, e qui tutto il pubblico si toglie il cappello, mano destra sul cuore e via con God Bless America. Mancava una lacrimuccia e i coriandoli, forse. I marinai e la bandiera c'erano, ve lo giuro.

Comunque, andando avanti, il baseball è nato per essere infinito. Nove inning che durano un tempo indefinito, ogni tanto tutti i giocatori escono dal campo e poi rientrano, ci sono delle pause in cui si fanno cose folli come gente che corre con i sacchi, su delle minimoto o persone vestite da personaggi dei cartoni passano tra la folla salutando. Tutto si conclude dopo circa tre ore con fuochi d'artificio. Ogni.singola.volta.
Della serie qui la crisi non se sente.
Siamo andati in dei pub, in queste sere. Se pensavamo di avere il primato dell'ubriacatura molesta, sbagliavamo di grosso. Qui la gente si ubriaca come se non ci fosse un domani, senza limiti nè confini, verso l'infinito e oltre. Vedi ragazze in flipflops, short di jeans che a stento contengono le loro cosce e pancia di fuori rovesciate sui marciapiedi come se nulla fosse, enormi football players con il collo dalla circonferenza di una sequoia mandare giù intrugli fatti di jackdaniels alla velocità della luce, vedi gente da bollino rosso nei bagni, ragazze dai lunghi capelli che urlano in ogni momento quando salutano le amiche. Insomma, il paradiso dell'adolescente medio.
Ogni giorno imparo cose nuove sull'America. Aggiungo alla mia lista:

11. I fuochi d'artificio servono sempre: dopo una partita di baseball e prima dell'inizio delle lezioni.
12. Le ciabatte estive aperte vanno portate col calzino. Meglio se bianco. Meglio se sopra la caviglia.
13. Non importa che fisico tu abbia, un paio di shorts inguinali vanno sempre bene.
14. Se mangi in una mensa trovi di tutto. Anche frutta e verdura. L'inculata è che c'è anche tutto il resto e tu NON PUOI resistere. Ci sono test clinici che lo confermano. Mi sono fatta un waffle fresco dopo cena. Con maple syrup, burro e zucchero a velo. Chiamatemi pure miss piggy.
15. Per una strana ragione le uova vanno solo in confezione da 12. O da 24. Se vuoi anche da 48.
16. Per ogni evenienza puoi trovare qualsiasi cosa surgelata. Forse anche un fidanzato.
17. Gli americani amano l'accento italiano quando parli inglese. Poi però ti prendono per il culo.
18. I taxisti vanno in giro con un cartello "Chiunque vomiti nel taxi deve pagare 75dollari di pulizia" e questo la dice lunga su quanto spesso capiti.
19. Puoi trovare italian toppings ovunque, che di italiano non hanno nemmeno il nome.
20. Il pullman giallo della scuola dei Simpson esiste davvero. Ed è degli anni 70, credo, a giudicare dalle condizioni in cui era quando ci ho fatto un giro.

E niente, qui è l'una di notte, mi sono ingozzata di Brigadeiros (dolcetto tipico brasiliano che la mia lovely brasilian friend ha cucinato per noi) e domani iniziano le lezioni. Francese alle 11.30. Già al mattino faccio confusione con l'inglese, ficcarci dentro il francese sarà una figata.

P.S. Parlare inglese tutto il giorno è la cosa più stancante che abbia mai fatto. Alla sera inizio a svarionare ficcando parole italiane ovunque o esprimendomi a gesti. Il bello è che gli altri internazionali mi capiscono.
Se domani prima dell'inzio delle lezioni non organizzo i miei pensieri in inglese la vedo molto dura.

God Bless America.

This is SUCH an american thing

Avrei voluto tenere un diario giornaliero. Sono arrivata domenica, oggi è mercoledì e scrivo per la prima volta. Giusto per sottolineare che i miei programmi raramente vengono mantenuti.
Ma qui la vita si muove troppo rapida per fermarsi a pensare. Ho ancora metà dei vestiti nelle valigie aperte e sparse per il pavimento della camera, l'altra metà è sul letto e tutto il resto della mia roba è buttato a caso sulla scrivania. La sera sono troppo stanca per poter fare qualcosa e crollo in un sonno profondo.
Sì, leggete bene. Io che crollo in un sonno profondo. Praticamente senza pensare, senza grandi paranoie.
E' così bello che sono quasi sconvolta.
Tutto fila liscio qui, come se fosse un ingranaggio ben oliato, sto conoscendo persone da ogni parte del mondo e stupende nella loro diversità, per questi primi tre giorni nonostante la stanchezza, la malinconia serale e la mancanza di casa, il jet lag e la casa vuota non ho avuto nemmeno una delle mie solite paranoie. Sarà l'aria americana, con le sue bandiere sempre issate, il suo cielo così immenso da non sembrare nemmeno nello stesso universo italiano e il suo accento così OOOOOSOME?

Già, qui il cielo è gigantesco, le nuvole hanno un'altra forma e l'erba un altro verde. Tutto profuma di un odore diverso, nuovo ma familiare, il vento accarezza in un modo tutto nuovo.

Sono sopraffatta, quasi sedata. Non mi riconosco quasi, e mi piaccio.
Sono serena. A parte piccoli inconvenienti come l'essere una delle due che vive lontana da tutti, ma qui sono tutti così lovely che mi accompagnano a casa a piedi alle undici di sera anche se il loro dorm è dalla parte opposta. Scopro in persone sconosciute angoli familiari, sicuri, confortevoli. Nelle parole, nei sorrisi, nei gesti. Mi sento a casa anche se un costante nodo alla gola fa capolino ogni tanto.
Credo di non aver ancora realizzato che starò qui per altri quattro mesi. Il mio cervello ha superato il grande salto nel vuoto del distacco e ora sembra anestetizzato, oppure un pò in botta dopo un'operazione all'appendicite.
La cosa bella di tutto questo è che in soli tre giorni di full time english quando parlo italiano mi vengono fuori parole inglesi e ogni tanto faccio un casino della serie "Si sarebbe bello, potremmo arrange something"
C'è un'anima americana dentro di me, me lo sento. Such an american thing.
Qui è tutto come nei telefilm, gli americani sono come nei telefilm, il cibo, oggi ho persino visto la BALLROOM nell'università. La ballroom, capite?
Mi ci manca uno school prom con tanto di punch e poi volo nel paradiso di Smallville, Seven Heaven e Dawson's Creek.

In questi tre giorni ho fatto più cose di quante ne faccia di solito in un mese: una orientation con tanto di cartellino con nome e nazionalità, uno shopping da fare invidia a pazzi per la spesa da Walmart, un giro al Crossgates (il big big big mall), colazione in università con pancakes, frutta e maple syrup, un hamburger in terrazza per pranzo in università, qualche birra in downtown, un giro sulle rive dell'Hudson, uno spettacolo di magia e quattrocentomila scambi culturali guardando negli occhi mille mondi diversi.
Più conosco il mondo, più lo adoro.

Egnente, gli americani sono molto american. Tutto è molto a stelle e strisce. Per dire:
1. L'aria condizionata è una costante. Che fuori ci siano trenta gradi o meno dieci.
2. Nei supermercati lo spazio riservato alla frutta e verdura è un milionesimo.
3. La gente compra davvero taniche di maionese da 3litri. Rileggete, tre litri.
4. Lo shampoo ed ogni altro detergente sono di dimensioni cosmiche.
5. Le linguine con salsa agrodolce e peperoni NON sono commestibili.
6. I guidatori di autobus ti salutano con un sorriso e un "have a good one".
7. Le flip flops sono le scarpe della vita.
8. Se urti per sbaglio qualcuno e chiedi scusa, ti sorride e ti dice scusa a sua volta.
9. Ogni giorno è buono per fare uscire una nuova coca cola ad un gusto assurdo.
10. Gli americani si emozionano per i maghi in erba.


Così è come mi sento dopo tre giorni americani. Ora che ci penso, grazie al cielo non ho scritto la sera che sono arrivata. Il mio umore non era esattamente dei migliori, dopo nove ore di volo, tre di pullman intermezzate da una viaggetto in metropolitana di New York, una chiave bloccata nella serratura e niente lenzuola nè cuscino.

Ma la cosa spettacolare è che sto sopravvivendo, e, per ora, alla grande.

Grandi giorni e calma piatta

Sembra ieri. Il giorno in cui ho ricevuto quella mail con la conferma di essere stata presa per l'America. Sembra ieri e invece domani è qui e stanotte mi mobilito verso Malpensa. La cosa strana è che è come se una settimana fa mi abbiano sedata con una dose pesante di antidepressivo. Mi spiego. Vivo ogni cosa con un'intensità atroce, che sia bella o brutta. Molto spesso tendo a donare ancora più intensità a quelle brutte. Ma comunque. Mi crogiolo nei pensieri, nei se, nei ma, vedo il bicchiere non mezzo vuoto ma rotto, prima di dormire sono perseguitata da fantasie e masturbazioni mentali. E invece in questi giorni nulla. Un pò di casino organizzativo, al massimo. Saluto persone come se non avessi fatto altro nella vita, abbraccio, sorrido. Vado a cene, dormo magari tardi ma senza distorcermi la visione del mondo con le mie stesse mani. E io mi conosco, non è da me. Prendere le cose con serenità. E me ne lamento pure? In effetti.

Ma le acque chete sono le più pericolose. E mi aspetto una sorpresona da me stessa coi fiocchi. Egnente, mi aspettavo brividi e piagnucolii, fervida immaginazione e notti insonni. Il massimo che ho registrato è stato qualche addormentamento tardivo. Il potere delle aspettative. Tu sei lì, pensi e ripensi per giorni, mesi, a quel grande giorno, e quando arriva ti si stampa in faccia un grande BOH.
Insomma, l'irrequietezza che mi contraddistingue pare si sia sciolta al sole di agosto.

Sono qui in un mare di valigie, a farmi una doccia fredda ogni dieci minuti, a ricontare i documenti, come se nulla fosse. Un giorno come un altro. E domani a quest'ora starò svolazzando probabilmente sopra l'oceano.


Chi mi ha svuotata delle mie paranoie? Mi sento un pò persa, maledizione.

Tutto si muove rapido

Oggi mancano ufficialmente due settimane. Egnente, non riesco a farmene una ragione. Nel senso che razionalmente so tutto: il mio volo, la mia futura casa, le mie future coinquiline. Ho studiato a memoria la piantina del campus, dell'appartamento, il mio orario delle lezioni. Penso tanto, troppo. So che tra due settimane vivrò nello stato di New York, mi ingozzerò di Bagel e trotterellerò sulle rive dell'Hudson, ma è un pò come se stessi seguendo il percorso di un'altra. Come se infondo all'areoporto ci andrò, ma solo per salutare quella che parte. Per fare ciao ciao con la manina, voltarmi e ritornare in macchina e poi a casa. Nel mio letto. Con le mie luci, i miei odori, le mie ore. Il mio tempo e il mio spazio. Qui è tutto fottutamente mio. Mi dico che mancano due settimane, che ho quasi tutto pronto, ed è la stessa cosa che ripeto a tutti, con lo stesso tono, gli stessi sorrisi e gli stessi gesti. Racconto come se riportassi un pettegolezzo o la storia di qualcun'altro. E d'improvviso invidio tutti, che il 20 agosto si sveglieranno sempre nello stesso posto e con la stessa vita. E loro invidiano me. Che buffa che è la vita. Lì, è un'altra vita. Un altro mondo, un'altra lingua, un altro tutto. A volte mi sorprendo a fantasticare, felice come una bambina il giorno di Natale. A volte mi sorprendo con un nodo alla gola e una sensazione di claustrofobia, di soffocamento. Che non sia capace di godermi nulla? Più che possibile, se non probabile.

Ho paura. Di tutto. Una fottuta paura di tutto, che mi paralizza, mi blocca dal produrre qualsiasi pensiero razionale. Di qualsiasi barlume di positività. Ma in fondo, questo viaggio lo faccio per questo. Per spogliarmi delle mie paure, per lasciarle sull'areo e abbandonarle mentre mi volto. Questo viaggio lo faccio per fare pace con me, per mitigarmi al vento dell'oceano. Per smussare gli angoli che non mi piacciono, per rimproverarmi silenziosamente e darmi una pacca sulla spalla ogni volta che supero un ostacolo. Lo faccio per svuotarmi i polmoni dell'aria malsana che respiro ogni tanto. Per guardare tutto con occhi nuovi. Per apprezzare tanto le novità come le cose che già mi appartengono. Questo viaggio lo faccio per dimostrarmi che posso. Posso e non solo nei pensieri, ma posso sul serio. Senza l'aiuto di nessuno, nel mio silenzio e nei miei pianti. Nel mio panico sordo e in quella sensazione all'altezza dello stomaco che a volte me lo stringe fino a farmi smettere di respirare. Voglio poter riprendere il controllo di me stessa in ogni momento, cosa che non ho più tanto spesso. Voglio potermi sentire potente, nel pieno delle mie facoltà. Voglio tornare e sentirmi orgogliosa di me stessa. So quanto sarà difficile, ma so anche che posso farcela.

Quando ho un tentennamento, rileggo questa frase, così tremendamente poetica e allo stesso tempo duramente reale.

Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite. Mark Twain








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