domenica 29 settembre 2013

Mentre l'umido entra nelle ossa e appiccica tutto


Ho detto benvenuto all'autunno come ho attraversato gli ultimi cambiamenti di quest'anno. Con una placida indifferenza.
Me ne sono accorta dall'umido pesante che ovatta tutti i movimenti e i pensieri.
Dal vento che si insinua un po' ovunque.
Dalla mancanza di un caldo soffocante che si riflette sulle piastrelle bianche del posto dove lavoro.
Alterno momenti di pace universale a attimi farciti di manie di persecuzione.
Osservo di più e parlo di meno.
Metto segnalibri e sottolineo a matita.
Cerco di manipolare il tempo come voglio io, mettendo al rallentatore giorni di pigro entusiasmo. E tentando di occupare al meglio quelli di mesta disperazione, quelli in cui rapportarsi con me è piacevole come un pomeriggio con Uncle Scrooge della Favola di Natale di Dickens. 
Mi ascolto più spesso.
Tento di placare il ribollire nervoso delle mie viscere.
A volte ci riesco. Complici le pagine di alcuni libri, le colazioni al sole, qualche progetto, le lenzuola stropicciate delle mattine in cui regna la calma, il ritorno davanti a quello specchio e i primi passi sul linoleum nero, due corse col fiato spezzato e la faccia bollente.
Altre volte ci riesco meno.
Ma tendo ad essere più indulgente con me. 

domenica 1 settembre 2013

Fine di un'estate mai (veramente) iniziata

Era aprile e poi luglio.
Una corona d'alloro in testa e poi ferragosto in redazione.
Qualche giornata di mare e poi il primo settembre.
Tanta routine intramezzata da momenti sorprendenti.
Troppe mattine a stropicciarsi gli occhi dal sonno, qualcuna con un'aria diversa dalle altre.
Ristoranti giapponesi e cene di mare sulle terrazze.
Orli di crisi di nervi e crisi di nervi in cui si è saltati a piè pari.
Gelati tra l'asfalto e granite al limone appena spremuto.
Un rapporto estenuante con la Coop sotto l'ufficio.
Troppi caffè al banco e poco sonno.
Qualche pagina di libro sotto un ombrellone arancione.
Una signorina di 18 mesi a strapparmi di dosso il malumore con prepotenza.
Fotografie tra la sabbia.
Alcune spettacolari.
Altre molto meno.
Qualche film e parecchie risate.
Le ore piccole. A scrivere in redazione.
Le ore piccole. A chiacchierare.
Bancarelle di ogni sagra.
Occhiali da sole vintage e uno zainetto di pelle.
Che sa di stalla, ma adorabile comunque.
Un volo prenotato e una valigia aperta sotto il letto.
Poche idee per il futuro ma confuse.
Altrimenti non sarei io.
Ma, nonostante tutto, la meraviglia delle piccole cose che è ancora capace di sorprendere.

Pillole di un'estate alternativa.

giovedì 22 agosto 2013

22 agosto 2012

Un anno fa.
A parte il fatto che è da mesi che latito da qui.
A parte il fatto che la mia anima inquieta mi ha portata in nuove acque.
A parte il fatto che le abitudini sono dure a morire e scrivo sempre a ore improbabili.

Comunque, un anno fa mi godevo con spensieratezza i primi giorni a stelle e strisce. Vagavo per il mio appartamento con la leggerezza di chi non sa che, da lì a poco, avrebbe preso una decina di chili. Mi ingozzavo senza ritegno con il menefreghismo di chi pensava "tanto che in America si ingrassa è una leggenda". Sbagliato. Molto sbagliato.
Un anno fa ero probabilmente alla mia prima festa clandestina negli appartamenti dell'università, tra giocatori di football in calzino bianco alto fino a metà polpaccio, ciabatte e beveroni anabolizzanti in giro per casa. Che, giudicando dalle stazze, pareva funzionassero.
Un anno fa stavo per scoprire che spesso sarei tornata nella mia stanza alle cinque del mattino trovando la mia coinquilina a studiare. Nella stessa posizione in cui era alle dieci di sera.
Un anno fa stavo per scoprire come ravioli al vapore e spaghetti di soia non siano così male dopo una sbronza.
Un anno fa stavo probabilmente provando l'accoppiata birra&fourloko, una bevanda a metà tra la redbull e il bacardi. Con la certezza che mi sarei svegliata ogni mezz'ora la notte successiva con la tachicardia.
Un anno fa non sapevo che avrei fatto parecchie puntate all'health center. Facendomi amiche le infermiere.
E invece siamo già ad oggi.
La laurea un traguardo non più da attendere con ansia ma alle spalle.
Una nebulosa fitta all'orizzonte che, ogni tanto, sembra organizzarsi in una sfocata scritta "sei fottuta".
Per ora mi stropiccio gli occhi.

sabato 30 marzo 2013

Nel posto dove vivo

Devo parlarvi di Barcellona. Delle meraviglie che ho visto attraverso gli occhi di chi ci vive e non da chi è in vacanza. Dei profumi, degli odori, dei colori, del vento caldo, del colore del mare.

Ma, tornando, pensavo alle differenze tra il mondo che ho costruito nella mia testa, fin da quando ne ho ricordi, e il mondo dove ogni giorno metto piede, in precario equilibrio.

Pensavo che nel mondo che immaginavo da bambina, quello in cui la parola "governo" era solo la prima persona singolare del verbo che usavo per amministrare il mio regno di bambole, peluches, capricci e Piccini Picciò (darei un rene per giocarci ancora), le cose non andrebbero proprio come vanno ora.
Nel mondo dove la mia elastica mente prepuberale vorticava felice io pensavo a salvare tutti i miei peluches da un pseudo diluvio/incendio/terremoto universale, mettendoli in salvo tutti sul mio letto.
Con sdraiata mia nonna.
La ricoprivo di un manto di pelosi polverosi che pora donna come ha fatto a non odiarmi.
Nel mondo dove i miei pensieri di bambina ancora vivono lo spreco era orrore, in quel mondo dove mi hanno insegnato che le cose si buttano se si deve, non se non si vogliono più come un giocattolo vecchio.
Nel mondo dei miei occhi di bimba i più deboli, che al tempo erano proprio i peluches, magari anche quelli un po' più bruttini e spelacchiati, andavano aiutati, abbracciati, protetti.


E si vede che il mondo dove la mia mente turbolenta ancora viaggia indisturbata è il contrario di quello dove mi trovo a passeggiare ogni giorno.
Nel posto dove vivo le manifestazioni si fanno in piazza per supportare quattro assassini che hanno ammazzato di botte un ragazzo. Un ragazzo che forse era ubriaco, forse aveva fumato uno spinello, forse aveva sbagliato qualcosa, come tutti noi sbagliamo qualcosa. Un ragazzo che subito dopo la prima autopsia, coperto di sangue, si dava per morto per "conseguenze di alcool e droga", che notoriamente ti aprono ferite mortali in testa.
Nel posto dove vivo i politici dei partiti che io, noi, paghiamo, manifestano per quattro assassini sotto il comune dove la mamma della vittima lavora.
Nel posto dove vivo questi quattro poliziotti che vorrei ribadire sono in ogni caso assassini tanto quanto  il nostro Pistorius additato come un mostro, sono incoraggiati da molti perchè non scontino nemmeno sei mesi in carcere.

Nel posto dove vivo pubblicità di stracci per pulire sono ritenute indecenti e schifose, che ricordano o addirittura inneggiano il femminicidio.
Nel posto dove vivo ci indigniamo per una pubblicità che fa sorridere ma non per le prostitute minorenni pagate da padri di famiglia, vecchi, di cui alcuni anche pagati di nuovo da noi, che ci governano.
Nel posto dove vivo ci battiamo per far rimuovere questa pubblicità ma ci schifa la rumena picchiata perchè "ste cazzo di zingare che schifo".

Nel posto dove vivo non si scende in piazza per la pace, la musica, l'arte, l'amore, la cultura che sta cadendo a pezzi, l'istruzione, la sanità.
Nel posto dove vivo si scende in piazza per manifestare contro la giustizia.
Non per la giustizia. Contro.
Nel posto dove vivo un condannato per un reato caduto in prescrizione non è un pezzo di merda delinquente ma un povero uomo vittima di una giustizia cattiva che gli fa la bua.
Nel posto dove vivo essere amici di mafiosi non è un problema, purché uno sia bibliofilo. (Recentemente ha pure citato Plutarco)

Nel posto dove vivo chi è indagato per le stragi di mafia del 92-93 telefona al Capo Dello Stato per farsi spostare di Procura, e la gente si arrabbia perchè si sente la voce di Napolitano al telefono, non perchè è un favoritismo ingiusto, irreale, immotivato.

Nel posto dove vivo intasiamo bacheche di avvisi di cani e gatti abbandonati, maltrattati, malati, mentre in casa abbiamo pellicce, borse di pelle, mocassini di coccodrillo.
Nel posto dove vivo siamo animalisti e ambientalisti, ma poi vogliamo il TAV.
Nel posto dove vivo amiamo più gli animali delle persone.
Con convinzione.
Con rabbia.
Nel posto dove vivo non si riesce a considerare un animale un essere vivente degno di rispetto ma a sua volta degno di un rispetto diverso da quello riservato ad un essere umano.
Nel posto dove vivo la pietà per l'essere umano va sfumandosi.

Nel posto dove vivo si difende la famiglia.
Ma solo quella che ci fa comodo.
Nel posto dove vivo difende la famiglia chi ha tre mogli, due divorzi, una decina di figli e va a troie.
Nel posto dove vivo chi si ama da una vita ma non crede nel matrimonio è un poveraccio e non merita niente.
Nel posto dove vivo c'è ancora gente che si permette di decidere su cosa gli altri debbano fare col loro culo.
Nel posto dove vivo io sono volgare in questo post, ma tutti i parlamentari che dormono, giocano all'ipad, si insultano in parlamento, non lo sono.
Nel posto dove vivo chi vuole morire dignitosamente non può.
Nel posto dove vivo la religione dovrebbe significare amore e invece significa spesso chiusura mentale.

Il mio mondo al contrario è davvero molto più bello di così.
Dovreste farci un salto, ogni tanto.

sabato 16 marzo 2013

Venti di cambiamento (ma anche aliti di putrefazione)

Dovrei scrivere l'indice della tesi.
Ma oggi sono talmente in fermento che mi tocca segnarmi queste giornate di infervoramento sociale che mi divora e scriverci su.
Settimana densa di cambiamenti, per chi se li fosse persi: abbiamo un nuovo papa, abbiamo un presidente della Camera, tra poco forse anche uno del Senato, ho scritto la prima pagina di tesi.
Insomma, sono tutte cose da ricordare.
Ma andiamo per ordine.
Chi mi conosce sa che io sto alla Chiesa (e badate bene che esiste una differenza tra Chiesa e religione/spiritualità/divino/varieedeventuali) quanto Giovanardi sta ai gay la Satanché sta all'invecchiamento naturale. Ho eliminato la roba di Giovanardi perché non sono così spregevole. Forse.
Comunque, dicevo che non è che io mi lasci stregare spesso da messe, discorsi papali e omelie, ma mi sono ovviamente ritrovata davanti al televisore nel momento in cui hanno eletto lui, Horge, che chiamo per nome perché già lo sento amico, Francesco.
Va bene, avrò anche la lacrima facile, ma quest'uomo, spoglio dell'ostentazione della ricchezza a cui siamo sempre stati abituati, con quella sua parlata morbida, fluida (mi spiace, ma molto più affascinante di quella meccanica di Bene), la sua battuta che ha fatto sorridere mezzo Paese, la sua foto che circola per tutta la rete di lui in metropolitana (con anche un pelo pelissimo di scazzo perché sarà stata come la verde quando si passa da Cadorna) ha preso il mio arido cuore per la mano e mi ha commossa. Non che la mia concezione di Chiesa in realtà sia cambiata, ma il capo di una delle potenze più influenti del mondo e (purtroppo) del nostro Paese, sia più a misura di noi, degli uomini e delle donne che camminano per strada tutti i giorni, che dimostri che sì, anche lassù in alto si è disposti a fare dei sacrifici, che forse non tutti vogliono sempre e solo prenderci per il culo, un segnale di speranza lo dà.
Volevo solo dire una cosa agli indignati per il suo essere contrario ai matrimoni gay: ragazzi, sarà anche tollerante, moderno, avanguardista, ma è pur sempre il Papa. Capo di quella chiesa che ancora non digerisce il preservativo, capite? Non l'hanno preso a un concerto di Lady Gaga, era un po' scontato che avesse qualche riserva sul matrimonio omosessuale. L'indignazione dovrebbe indirizzarsi non tanto tantissimo a lui, ma alle istituzioni laiche. Al nostro Paese, laico. A chi ci governa, che è colui che dovrebbe invece essere pro matrimonio omosessuale. Ma che ve lo dico a fa'.

Oggi in tv, dopo il discorso dell'onorevole Boldrini, Presidente della Camera, Lupi ha detto che si è dimenticata una roba fondamentale. La famiglia. Grazie al quale si può dare lavoro ai giovani (?). Si è dimenticato non una famiglia gay. Perché a suo parere quella invece non è una famiglia. Mica conterà l'amore, in famiglia, no? Il voler stare insieme, costruire un futuro. No.
Brunetta ha definito la Boldrini come in mezzo ad "una fase confusa, barbara" Ora, tranquillizzandoci sul fatto che Brunetta è l'eccezione che conferma la regola che nella botte piccola sta il vino buono, mi soffermerei su quel "barbara".
Prima di tutto bisognerebbe assicurarsi che l'acustica sia buona in Parlamento, perché non sono certa che Brunetta abbia ascoltato lo stesso discorso che ho sentito io.
Avrei in mente davvero moltissimi aggettivi per il discorso della Boldrini, tra cui avanguardista, pacato, commovente, dotato di un italiano corretto, ma non barbaro. Come qualcuno oggi mi ha suggerito, questi individui non hanno nemmeno l'onestà intellettuale per complimentarsi con un avversario, per applaudire ad un successo che non è semplicemente la loro "piccola sconfitta" ma una vittoria per tutto il paese.
Una vittoria per la speranza di un paese stanco, con le palle dilaniate da le innumerevoli balle che per anni e anni ha dovuto sentirsi raccontare, un paese che vede suicidi quasi ogni giorno, che vede scandali, mazzette, processi come fossero ordinaria amministrazione. Un paese in cui chi si fa il culo si è sempre visto scavalcare dal più furbo, un paese sprofondato nelle acque torbide di una politica corrotta, venduta, comprata, patteggiata, e le parole del Presidente, che seppur ancora solo parole, prometto trasparenza in questa nuova politica, come fanno a suonare barbare, Renato?
Siamo proprio sicuri che non lasciare gente morire in mare sia una cosa barbara?
Nessuno qui sta giustificando atti di criminalità di stranieri, Renato. C'è una bella differenza, lo sai? Tra punire chi commette un crimine, e magari anche rimandarlo in carcere nel suo paese, e lasciarlo morire.
Forse non tutti abbiamo la sottigliezza di capirla, questa differenza.
Siamo sicuri che definire la nostra Costituzione come "la più bella del mondo" sia barbaro?
Dire che la politica dovrebbe tornare ad essere una speranza ed una passione è confuso, Renato?

Mi sono lasciata una perla per il finale.
A me leggere gli articoli di Libero mi fa sempre un gran cagare ridere.
Però poi mi incoraggio, da sola.
Se in giro c'è gente che scrive così, posso farcela anche io, un giorno.
Comunque, subito dopo il discorso alla Camera, Libero titola così:


COMUNISTI AL POTERE

La Boldrini è presidente della Camera ora Vendola ha il suo "contentino": una "rossa" a difesa degli immigrati

Che mi viene anche da pensare: se difendere i diritti umani vuol dire essere comunista, vado a comprarmi una maglietta del Che. 
Con la loro rinomata eleganza sbattono nell'articolo frasi che dovrebbero rendere spregevole il concetto di ricordare i morti in mare, di battersi per il diritti civili di tutti, per i rifugiati di guerra o politici, per chi chiede asilo. E la tristezza è che Libero non è il mio blog, che non se lo caga nessuno se non i miei o chi forzo a leggerlo (Ciao Giacomo!) ma è un giornale che forma l'opinione pubblica. 
La gente mi chiede perché voglio diventare parte di un sistema mediatico così cattivo, subdolo, manipolatore, in cui le palle non devi avercele quadre ma cubiche, e io rispondo che un po' mi piacerebbe cambiarlo. La presunzione di migliorare le cose non mi manca. Sarà un difetto?
Probabile.
Ma tanto son testarda e non mollo.




domenica 3 marzo 2013

Nuovi territori del bruciamento di ciccia


Da gennaio in poi parte ogni anno la solita corsa alla prova costume, la prova pantaloncino di pizzo, la prova canottierina scollata, quella che fa dannare milioni di donne, guardando con ansia bovina il calendario quando ormai si galoppa verso metà marzo e si hanno sulle spalle cosce svariati cuscinetti di ciccia non graditi. Che tu sia grassa quanto un fil di ferro ma ti veda come la sorella gemella che Ferrara non ha mai avuto, che tu sia fatta a forma di pera, che tu abbia il triplo mento come Peter Griffin, che tu abbia degli sbalzi di peso come Britney Spears nei tempi migliori, poco importa, le pugnette mentali ti accompagneranno sempre e per sempre, l’unica cosa di cui ho la certezza che abbia vita eterna è quindi la pugnetta sul peso. Che fare quindi?
Non voglio cadere nel banale proponendovi la dieta degli ultimi due mesi, dove sgranocchi miglio come le mie antiche cocorite (pace all’anima loro), ciucci un kiwi a cena e sostieni anche a gran voce di seguire una dieta equilibrata. Perché no, una dieta in cui salti i pasti, ti ingozzi anche di due barrette proteiche a metà pomeriggio e ingurgiti due o tre lassativi alla sera come fossero caramelle tuttiigusti+1 non è una dieta equilibrata, non lasciatevi convincere.
Nemmeno la fettina impanata di seitan, vegana al duemila percento, che sa di cartone gommoso, non è una grande alternativa. E per finire dichiarate guerra anche voi al tofu, che io sono sicura sia stucco di imbianchino spacciato per alimento vegano e salutare.

Quindi, sorvolando su tutto questo, volevo parlare del nuovo modo con cui esemplari di sesso femminile di tutto il mondo scuotono felici anche e bacini, sudando come in spiaggia a Riccione il 15 agosto, la faccia paonazza e i capelli incollati alla faccia come dopo una doccia. 

Volevo introdurvi tutti nel meraviglioso mondo della zumba.
L’approccio a zumba è semplice, poco impegnativo, ti senti una valletta di Passaparola in dieci secondi senza mai essere passata per i corridoi di zoccoland..di Mediaset.
Non necessiti di particolare abbigliamento, tanto in ogni caso sarai solo tu e un altro branco di irriducibili, in un range di età che va dai 20 ai 60. Inutile dire che se sei più verso i 20 hai anche il vantaggio di sentirti meglio di una ballerini di Amici.
Comunque, avendo io provato svariati corsi, posso assicurarvi che quelli tenuti dal manzo di turno sono decisamente più interessanti. Non tanto per lui, che nonostante in alcuni casi sia anche parecchio caruccio da osservare da dietro, ti guarda come un vegetariano guarderebbe un hamburger, ma perché l’approccio dell’uomo alla zumba è molto più goliardico. (E come non potrebbe, quando ci sono in gioco esseri pelomuniti tutto lo è)
Per farvi qualche esempio, con l’istruttore maschio si può (e si deve) nell’ordine: interrompere un pezzo per farselo tutto girando a braccetto come nelle sagre di paese, urlare “zumba!!1!” con grande entusiasmo alla fine di un passo, accompagnare ogni balletto da urletti incitatori, fare finta di suonare una chitarra mentre si alza la gamba verso la spalla, sentirsi dire “forza ragazze, shakerate quei sederi!!1!”. Nulla di più esilarante.

Sono quelle lezioni in cui ritrovi alla mezz’ora con la canottiera che sembra uscita fresca di lavatrice, i ciuffi di capelli incollati al collo e alla faccia, la bocca secca e la temperatura interna di 58 gradi con umidità al 99%. Ma non importa, perché al successivo “zumbaaaa!” dell’istruttore vedrai la signora accanto a te che scuote le tette come nel pezzo di Burlesque più in voga del momento, e non vorresti mai fare la figura del pesce lesso, a nemmeno 23 anni.
(In una delle palestre che ho provato avevo sempre accanto una donna sulla quarantina, bionda e liscia, palestrata al punto giusto, che non sbagliava mai un passo. Mi dava una merda incredibile. Soprannominata J.Lo per la pettinatura a codini che molto spesso sfoggiava)

Insomma, la zumba è l’ultima frontiera del sudore, per farti tornare a casa senza polmoni ma con l’animo leggero. E la cosa bella è che fa bene anche all’umore.
Provare per credere. 

mercoledì 27 febbraio 2013

Elenchi a caso

Penultimo giorno di febbraio, grigio, smog e traffico. Così ho pensato di bene di resistere alla tentazione di sfanculare il mondo ma ho incanalato tutte le mie energie negative per snocciolare un elenco a casaccio di cose per cui non posso fare a meno di sentirmi viva. E di sorridere.

Visto che oggi per scrivere un articolo avevo bisogno di ispirazione mi sono sparata Via del Campo in loop per tipo due ore, quindi la prima cosa sono le canzoni di Faber, l'odore di salino, camminare sulla spiaggia a piedi nudi, l'abbraccio dei miei quando torno a casa, il profumo della nonna, la soddisfazione di un 30 all'esame per cui avevi studiato come un pazzo, la soddisfazione di un 30 all'esame per cui non avevi studiato un cazzo, il profumo del caffè al mattino, la tua canzone preferita che passa alla radio, una cena con gli amici, il sushi, Claudio Santamaria, l'odore di grigliata nelle sere d'estate, la sudata ogni volta che esco dalla palestra, più distrutta ma soddisfatta, i complimenti per qualcosa che ti riesce bene, un tuo articolo pubblicato, svegliarsi prima della sveglia, le pantofole dopo una serata sui tacchi, le frittate della nonna, una cena di pesce in riva al mare, l'odore di casa dopo mesi fuori, il concerto che volevi da una vita, una sera a teatro, i jeans che desideravi in saldo, il film che volevi vedere da sempre in tv, l'odore di erba bagnata in montagna, trovare dei mirtilli e spappolarseli in bocca durante una passeggiata, le foto vecchie, i diari di quando eri bambina, il mare di Bergeggi, una chiacchierata con un'amica con cui non parlavi da tanto, una sbronza di quelle potenti, una giornata piena che ti lascia quel sapore in bocca di soddisfazione, i miglioramenti visibili in qualcosa che non credevi possibile, il tram che passa nel momento in cui arrivi alla fermata, il cielo azzurro quando apri la finestra al mattino, il profumo di lavatrice, la focaccia di Peisino, le canzoni dei Muse, i ricordi del Liceo, leggere un giornale davanti ad un caffè, la soddisfazione di quando superi i tuoi limiti, la camomilla prima di dormire, gli aperitivi estivi, lo shopping dopo un esame, lo smalto quando non ti si sbecca, la cassa vuota al supermercato, chi ti sorride e ringrazia perché gli hai tenuto la porta aperta, un bambino che ti sorride in coda alla cassa, le vecchie canzoni di Liga che mi ricordano i miei 12 anni, Stefano Accorsi, i film di Tarantino, le mie serie americane preferite, i libri di Ammaniti, andare a mangiare fuori senza averlo programmato, i viaggi in aereo, il treno quando è puntuale, la metro vuota, chi ti aiuta a tirar giù la valigia, le parole belle di un'amica.

E niente, provate a scrivere il vostro. Funziona.

martedì 19 febbraio 2013

Il breviario del RDM.



Per RDM intendo Regalo Di Merda.
Oggi stavo guidando, e nella profondità dei miei pensieri mi è capitato di pensare a quanti regali di merda ho ricevuto (ma sicuramente anche fatto) nella vita. Ora, mi pare il momento giusto di inserire u disclaimer: non c'è nessun riferimento specifico nel fiume di puttanate che scrivo, quindi se per caso una volta nella vita mi avete regalato una roba che mi fa schifo, non me la prendo con voi. Giuro. Perché probabilmente ho fatto un regalo di merda anche io a voi l'anno dopo.

Bon, detto questo, stavo appunto pensando a ogni ricorrenza, dal Natale al compleanno passando per l'Hannukkah, il mesiversario e l'onomastico. Quante volte abbiamo ricevuto una roba atroce, che non regaleremmo nemmeno a quel professore universitario che ci ha bocciato otto volte all'esame? Quante volte abbiamo fatto regali alla cazzo di cane, con buone intenzioni (o anche no), senza minimamente contare i gusti del destinatario. Lo so che l'avete fatto tutti.

Negli anni ho compreso cosa aborro ricevere come regalo, e cosa gli altri aborrono ricevere. Crediate che non abbia mai visto facce di disgusto (malamente) celate sotto sorrisini di gratitudine quando la mia amica che detesta il rosa si vede arrivare un'accoppiata cappello-sciarpa-guanti rosa cipria con fiocco sul fucsia? Quanti Natali quello zio che non vedi da quando ancora ti scaccolavi in pubblico (non vale per tutti, ho amici che lo fanno con soddisfazione ancora davanti al mondo) ti ha regalato maglioni di merda che hai riciclato all'amico del cuore al compleanno dopo? Quante volte hai visto quel cd dei Modà in offerta, che a te piacciono tanto, e senza battere ciglio lo hai regalato all'amica che ascolta solo i Metallica? (brutta immagine, lo so).

Quindi, dato che pure tra due mesi si avvicina il mio compleanno, voi, amici, parenti, che sarete obbligati dalla buona educazione e da tutto il bene che mi volete a farmi un regalo, beccatevi questi aneddoti e consigli nel mio primo Breviario Dei Regali Di Merda.

1. La trousse dei trucchi. Specificatamente quelle di Pupa. Ne sto collezionando alcune che diventeranno pezzi rari e antichi. Ho ricevuto, nell'ordine: una girandola, una puposka (pupa + matrioska. La genialità), una zebra apribile in venti (ma lì lo sforzo c'è stato, a me piace lo zebrato), una cupola rosa shocking, una mucca, orsetti vari. Questo regalo lo passo solo a mia nonna a cui dico che mi piace tantissimo perchè si impegna un sacco. Agli altri, no. Ci metto otto anni a usarle tutte, e per tutte intendo i colori fattibili, il verde pisello e il lucidalabbra giallo canarino non sono umanamente mettibili. Sappiatelo. Che finisca l'era della trousse. Amen.

2. Se non conoscete bene il destinatario - in questo caso me - andateci piano con i libri. Uno dei miei migliori amici (quello che si scaccola, per chiarirci) l'anno scorso mi ha regalato uno di quei libri della collezione di Tiffany. Non ricordo precisamente il titolo. Io che Tiffany lo vedo solo nel film con la Hepburn. Io che quando ci passo in via della Spiga praticamente mettono un cartello fuori con la mia faccia e scritto "Io non posso entrare". Inutile dire che non l'ho mai letto. Dovrei, solo per dovere di cronaca. Ma so che mi farei del male. Stessa cosa per cui se regalate a Giacomo un romanzo che non sia un thriller o un fantascientifico/fantastico siate certi che non solo non lo leggerà mai, ma potrebbe usarlo come carta igienica. Viceversa, se un giorno mi regalate una copia di otto chili del Signore degli Anelli, vi ci prendo a librate.

3.Le cose di Hello Kitty. Ora, io capisco che tutte noi siamo state bambine. Abbiamo fatto cose che percaritànonricordarmele, abbiamo avuto dubbi gusti come il pantalone a zampa d'elefante, la Nike tamarra e il ciuffo rosa a 14 anni, ma alla veneranda età di quasi 23 anni Hello Kitty non potete sventolarmelo sotto il naso. Ho avuto un portachiavi per la moto suo, una volta. L'ho fatto sparire qualche anno fa.

4. Le polo. Questa è una cosa proprio mia. Sarà che a mia madre piacciono tanto e la prendo sempre in giro sul fatto che sembri una mancata insegnante di ginnastica, che me ne sono messe talmente tante della Fred Perry alle superiori, ma la polo bacchettona proprio non mi va giù.

5. Le paillettes. Questo invece vale per la maggior parte del genere femminile. A meno che io non faccia parte di un circolo di Burlesque, o abbia una festa di carnevale imminente, la paillette no. Nel suo viscido lucidume non si riesce ad abbinare con una mazza, fa subito vicoli di via Pré se usata senza parsimonia e, se la destinataria ha passato i 15 anni da un pezzo, fa tanto ritorno alla gioventù mancata.

6. Il peluche. Teneri a dieci anni, romantici a 15, carini a 18. Li ho apprezzati, e guardo con tenerezza anche l'esercito di Cuccioli, pinguini, asinelli, Winnie the Pooh giganti, foche, coniglietti, Wall-e (sì, anche lui) che ho sull'ultima mensola della libreria (roba che se entrate in camera mia sembra di stare nel magico mondo di Barbie) ma dopo una certa età sono superati. Quindi, in generale, se ormai il tempo dei mesiversari e del "ti vuoi mettere con me?" è finito da un pezzo, glissiamo sul peluche.

Alla fine di questa (tutto sommato corta) lista di regali che sono proprio NO, ci sono tanti ma tanti regali che si possono fare (non solo a me, sto diffondendo il verbo, ma se volete a me io non mi lamento), alcuni vanno anche a seconda del grado di conoscenza: dei biglietti per il teatro, una cornice con una foto, un libro ben scelto (ricordo per chi se lo fosse perso, per me NO fantascienza, per dire eh), un massaggio (e qui chi si deve sentire in colpa CI SI SENTA), quella borsetta di H&M che dico sempre che la adoro ma non me la compro mai, un phon nuovo (questo a me che il mio ormai soffia aria tiepida, roba che il bue del presente scalda di più), un buono da Zara (per questo vi bacerei sulla fronte con schiocco molto rumoroso), una cena fuori, un corso di fotografia (se il destinatario non sa manco usare la Kodak con ancora il rullino forse no), un mazzo di fiori, una crema per il corpo, se proprio mi volete un sacco bene fate una colletta e aiutatemi a cambiare la Atos. Bon. Mi sembra di aver detto tutto.

Ma voi, che RDM avete ricevuto?

mercoledì 6 febbraio 2013

Assenze fisiche e mentali


Un mese e qualche spicciolo da quando ho rimesso piede in suolo italiano e ancora ho un sentimento dolceamaro, come se da una parte ancora aspettassi il giorno in cui riprenderò quell'aereo, quel pullman e mi farò scaricare di nuovo alla stazione del pullman di Albany.
Sapete che sono una persona malinconica, che vive di ricordi, magari una manciata di rimorsi ma davvero pochi rimpianti.

In tutto questo Marina é tornata lì, ogni giorno posso vedere come se la cava senza di noi, senza di me, in quel dormitorio dove qualcuno dorme nel mio letto, ha appeso foto sul mio muro, sta impregnando la mia stanza di un odore che non é il mio.
Che presuntuoso il genere umano. Quella stanza, prima di me, sarà stata occupata da decine di studenti, eppure la sento mia quasi più di quella di casa.
Quante decisioni, quante chiacchiere, quanti sogni, quante paranoie, quante sveglie stropicciate, quanti notte brave addormentata vestita, quanto odore di cinese é rimasto quella volta che ero talmente stanca che alle cinque del mattino l'ho portato in camera, mentre la mia coinquilina dormiva. [Che coinquilina di merda, che sono]
Quante docce fatte di corsa, dieci minuti prima di uscire, con una mano impegnata a mettermi il mascara e l'altra a reggere il phon.
Quante notti piene di impegno nel trovare la serratura, a farmi shh da sola mentre cercavo di cambiarmi al buio all'alba per non svegliarla.
Quante confidenze, fatte da menti diverse, da culture diverse, che poi alla fine si assomigliano tutte.
Quanti sogni, speranze, paure condivise, sempre le stesse. Che tu abbia vent'anni in Spagna, in Italia, in Irlanda o in Brasile, li porti allo stesso modo.
Dicevo, vedo Ma che mi manda foto su snapchat [la trovata dell'anno] immersa nelle lenzuola zebrate che le ho lasciato, che va alla lezione di zumba a cui andavamo insieme, che beve una birra ad DeJohn's e, anche solo per una giornata, vorrei avere il dono dell'ubiquità. Spostarmi lì, fare finta che nulla sia cambiato, e continuare il semestre nella 306.

Percepisco l'assenza fisica, materiale, dei suoi abbracci, del suo profumo ogni volta che si stava insieme a chiacchierare. Mi manca l'assenza fisica del suono della risata di Sara, della sua energia, del suo saltellare allegro, della sua voglia di fare e di mediare, quella voglia di mediare che a me é sempre mancata, io spirito inquieto e battagliero che non sono altro. Mi manca l'assenza fisica di Marina che é sempre in grado di rassicurarti, di farti sentire che sí, andrà davvero tutto bene. Che tante volte le cose vanno prese alla leggera, cosa che io riesco a fare davvero male. Mi manca l'assenza fisica di Alice e della sua praticità, delle innumerevoli chiacchierate sulle scale, del continuo confronto tra li e qui, tra quello che ci aspettavamo prima di partire e quello che abbiamo davvero trovato qui.
Mi manca il sorriso di Lorraine, quello dolce, quello timido all'inizio ma ripieno di un affetto genuino.
Mi manca anche sentirmi rincoglionita le prime settimane, quando preferivo stare zitta durante una chiacchierata a cena piuttosto che sbagliare il verbo in una frase.
Mi mancano le voci di tutti, gli accenti che ho sempre fatto una fatica boia a capire, i modi di dire.
Degli Stati Uniti mi manca il modo di vivere la vita più rilassato e più impegnato allo stesso tempo.
Mi manca quella noncuranza del giudizio altrui che qui ci impregna fino a farci soffocare.
Mi manca quell'orgoglio di camminare per strada per quello che si é, non per quello che si indossa o per il taglio di capelli.
Mi manca quella voglia di scoprirsi dentro perché del fuori poco interessa.
Mi manca quella curiosità che le persone hanno per il diverso, per il nuovo, lo straniero.
Alla fine cosa é davvero diverso, straniero, nel paese che ha più radici e allo stesso tempo non ne ha?
Nel paese che vive di differenze e le esalta?
Mi manca tantissimo quel genere di gentilezza e cortesia genuine che le persone hanno nel sangue.
Mi manca scontrare qualcuno col carrello da Walmart, chiedere scusa e sentirmi rispondere col sorriso che non importa.
Ho preso per sbaglio il carrello di una signora all'Esselunga a Milano, la settimana scorsa, [vuoto, n.b.] e ha pensato che volessi rubarle l'euro che c'era dentro. Le ho chiesto scusa ridendo, perché avevo fatto confusione.
Lei non mi ha nemmeno guardata, si é ripresa il carrello ed é filata via, convinta che fossi una poco di buono.
Sai com'é, anche il capello tinto di rosso alla sciura milanese un po' sa di pericoloso.
Scusate, questa mi é proprio scappata.
In ogni caso, dicevo che mi manca quel rispetto per il prossimo che qui non abbiamo.
Certo, ogni paese ha le sue piaghe e contraddizioni, l'America ha da fare i conti con tutte le ferite aperte causate dalla lobby delle armi e dal sentimento nazionalista insito nelle tradizioni. Ma le persone hanno allo stesso tempo un senso di solidarietà che qui noi ce lo sogniamo, qui, nel paese dove nessuno fa niente per niente.
Mi manca l'ospitalità che ho ricevuto, da persone che mi hanno aperto la loro casa per il Thanksgiving senza avermi mai vista prima.
Mi manca l'accortezza delle persone che aprono una porta prima di te in università che te la tengono aperta per farti passare.
Mi mancano gli studenti che ringraziano l'autista del bus del college ogni santa mattina.
E lui che saluta tutti, fa fermate apposta per chi glielo chiede.
Mi mancano i professori che trattano gli studenti come individui pensanti, con cui instaurano un rapporto più profondo rispetto a quello faccia faccia un'aula universitaria.
Mi manca la signora della mensa che si ricorda chi sei, ti fa i complimenti per un maglione nuovo e ti dice quanto é bella la mattinata di sole che si vede dalle ampie vetrate della Dining Hall.


Mi manca perdermi in un mondo che non é il mio, ma che forse spesso mi ha capito molto meglio di quello in cui posso girare a occhi chiusi.

venerdì 1 febbraio 2013

Il GM in tempo di campagna elettorale


Poteva mancare il post scritto dal sedile di un intercity Savona-Milano?
Potevate scamparvelo?
No.
Anche perché mi annoio.
E linguistica francese ha perso come alternativa allo scrivere.
In ogni caso, in questi giorni frenetici di mezzi traslochi, due giorni a casa e due a Milano, spese, ambientamento in nuove camere e vecchie aule universitarie, mi rendo conto che le elezioni stanno arrivando. E che io ho le idee un pelino confuse.

Ora, lungi da me aprire una discussione su vari orientamenti politici, io che potrei argomentarla nello stesso modo in cui Luca Giurato parla del travaso del basilico a Uno Mattina. (Ma c'é ancora? È vivo?)
Ma volevo fare un rapido resoconto di come noi vediamo la politica.
Noi inteso giovani, più o meno maturi, più o meno indipendenti, ma molto più dipendenti (non nel senso lavoratori, ma nel senso che dipendono da mammà)
A mio parere il GM (Giovane Medio) si distingue in due grandi categorie.
Quello che si interessa e quello a cui non frega un cazzo.
Semplice.

E devo ammettere che ne conosco molti di più della seconda categoria.
Di solito la prima categoria non ha nemmeno bisogno di smazzarsi ore di Ballarò, ServizioPubblico, OttoeMezzo e chi più ne ha più ne metta, perché già SA cosa vuole votare. Lo sa da una vita, conoscendo anche la storia e gli orientamenti di ciascun partito. Praticamente conoscevano Renzi da prima che facesse il politico (quindi quando aveva dodici anni), Berlusconi quando aveva ancora i capelli e Bossi quando diceva qualcosa che avesse un senso logico e sintattico (quindi forse mai?).
Sono quelle persone con cui di solito tu, il rincoglionito di turno, non oseresti mai aprire il discorso politico, perché sai già che perderesti in partenza.
Tu che hai in serbo due o tre frasette banali, magari anche tautologiche, per esprimere il tuo punto di vista, vieni travolto dalla retorica perfetta e da citazioni storiche/aneddoti/esempi/dati/tabelle come se non ci fosse un domani, roba che dopo cinque minuti ci rinunci e provi a parlarne con qualcuno che ne capisce meno di te.
L'altra categoria, molto più ampia, comprende la maggior parte dei GM che mi sono capitati a tiro. Nel senso che a qualcuno proprio non frega un cazzo. Che votano cosa vota mamma, (anzi papà, che l'uomo c'ha questa fama di capirsene meglio di politica. E figurati, noi al massimo leggiamo su Marie Claire quando esce l'ultimo modello della borsa di Marc Jacobs) chi ha il cartellone più bello, quello più figo (e qui però é difficile), proprio senza razzismo partitico.
Poi c'é anche il GM a cui non frega un cazzo, ma ha memorizzate nella RAM quelle due o tre nozioni base che lo orientano verso un partito piuttosto che un altro. Quelle imparate a Pontida, ad un comizio del PD, a una riunione dei Verdi (esistono ancora?) o forse da un quarto d'ora di intervista o video su Youtube. E hanno anche la risposta pronta in caso qualcuno intendesse farsi i cazzi loro con la domanda più temuta in tempo di campagna elettorale: "Ah voti Pierpetto e il suo partito per i diritti delle pantegane nella metro di Milano? Interessante, COME MAI?" E lì sbam, di solito uno cade dal pero e balbetta due o tre stronzate, scena che ricorda tanto le mie interrogazioni di letteratura latina al liceo, dove andavo un po' a naso, di improvvisazione.

Poi in realtà mi sento in dovere di aggiungere una terza categoria, che sta un po' in mezzo.
Nella quale io rientro a braccia aperte, a piene mani, alla cieca.
Quella del GM che alla soglia del 23 anni, della laurea, dello stage, dell'imminente lavor…disoccupazione, capisce che sì, forse é il momento di non fare solo il sudoku nell'ultima pagina di Metro ma di leggere anche le pagine prima o - addirittura - comprarsi un giornale e leggersi anche le notizie di attualità.
Quelli che tentano di capirci qualcosa di coalizioni, alleanze, propositi, promesse, debito pubblico, spread, BTP e bund, evasione fiscale, IMU, ICI e altre due o tre siglette.
Ma la missione é tutt'altro che semplice.
Il GM tende a informarsi su Internet. Che fa la sua porca figura, ovviamente. Tranne quando il GM si fa prendere per il naso da notizie false, verosimili, senza andare a verificare le fonti, e le condivide su facebook con forza battagliera, per poi essere smerdato in tempo da zero da chi appartiene alla prima categoria sopracitata.
Allora si passa alla tv.
Che é un bene no, mi dirai.
Ci sono tanti di quei programmi di approfondimento, in questo periodo, che uno potrebbe tranquillamente non staccarsi mai dalla poltrona.
Peccato che tu guardi il programma e non capisci un cazzo.
Tre ore di dibattito in cui sembra di stare all'assemblea d'istituto della prima liceo.
Due o tre che si scannano parlandosi sopra, di cui uno di solito é DiPietro che se anche parla da solo hai difficoltà a distinguere le parole, gli altri che fanno la faccia annoiata e si scaccolano, e mai uno che tiri fuori due dati seri.
Ci sono sempre e solo frasi come "secondo i miei dati.." cioé, ma fammi capire, i dati non sono oggettivi? Non sono l'unica cosa su cui non ci piove?
Non c'era quel famoso detto "La matematica non é un'opinione?"
A quanto pare in politica no.
Così battibeccano per ore e finiscono per insultarsi e mandarsi frecciatine, perdendo per esempio il punto principale, come chessò, la disoccupazione o l'IMU.
Poi ci sarebbero i giornali, che peraltro il GM repelle, a meno che non sia la Gazzetta.

Che sia quindi che il GM non ha grandi speranze?
La solita storia del lamentiamoci pure ma quando bisogna fare qualcosa io non mi sento responsabile?
Non sono una che appoggia la teoria choosy della Fornero, perché vedo quanto in tanti si facciano il culo quadro per avere un lavoro, per tenerselo e per giustificarsi col mondo se si ha voglia di arrivare in alto, chessò a fare un giorno il lavoro dei sogni, guardato con apprensione dai Grandi Capi, quello sguardo da "che tenerezza che mi fai, io il culo di cui non lo sposto finché non ho il pannolone, tu puoi sperare di portarmi il caffè per ancora vent'anni".
Che in questo paese la vecchiaia avanzi, insieme all'avarizia, alla sete di potere, alla preferenza per la via più corta e più furba invece che per il sudore della fronte, lo sapevamo già.
Che i giovani non siano catalogati come risorsa ma come qualcosa da sfruttare, pure.
Ma dall'altra parte tanti GM non riescono a vedere al di là del proprio naso, né vogliono provarci.



mercoledì 23 gennaio 2013

Quello che non ti aspetti

Mi ero ripromessa di scrivere sull'ultima settimana che ho passato in suolo statunitense, poi uno torna, si vede riappioppati i problemi che erano svaniti magicamente in quattro mesi di alienazione, e niente, non si ha avuto tempo.

Adesso lo si ha.
L'ultima settimana americana l'ho passata, indovinate voi dove?
Esatto.
In quello che è stato il crocevia di tutti i miei spostamenti in giro per gli stati, quello dove ho preso aerei, treni e pullman, dove ormai conoscevo a memoria Porth Authority, la stazione dei pullman, dove sono arrivata per l'ultima volta, in quei quattro mesi.

Ho passato il Natale a New York.
Per la prima volta, il giorno di Natale, ho visto New York addormentata, assopita, stropicciata.
I negozi chiusi, il vento forte di mare che trascinava foglie, cartacce, e pure senzatetto, qui e là, senza meta.
Persino il colosso di Macy's, in pieno centro, aveva le vetrine sfavillanti spente e le serrande abbassate.
Non male per la città che non dorme mai.
Ma in quel momento, vedendola spogliata dei suoi miti, della sua forza, delle sue luci, del suo vociare, con me e i pochi temerari che hanno sfidato la pioggia del 25 dicembre mista a neve per gironzolare all'aria aperta, mi sono sentita quasi a casa.
Il nesso sarà anche poco logico, ma la sensazione di sapere che ogni città si assopisce, si accoccola davanti al camino (che, peraltro, non ho mai avuto) dopo il pranzo di Natale, dove comunque una piccola minoranza preferisce andare al ristorante, soprattutto uomini d'affari russi e turisti, insomma questa sensazione, mi ha fatto sentire a casa.
Dove dopo pranzo alcuni valorosi escono di casa, più per esigenza di digerire che per voglia, e camminano lenti e imbottiti di cibo per le vie grigiognole senza nessun segno apparente di vita.
Perchè Natale è uguale a Savona come a New York.
Sono cose.

Ho sbirciato dentro finestre illuminate anche lì. Dentro Finestre moderne, con gli infissi scintillanti, in grandi grattacieli misto vetro, e cosa ci ho visto?
Una luce gialla, calda, in netto contrasto col nero lucido e freddo del guscio esterno, che faceva da contorno ad un enorme albero di Natale addobbato con cura.
Come poteva essere il mio.

Ora, sarò un cuore di panna, ma non ho mai potuto fare a meno di trovare il lato umano di tutte le città che ho visitato.
Il cuore pulsante, quello che va oltre al turismo, allo shopping, ai ristoranti in voga, ai locali dove si fa la coda fuori, alle viste famosi, ai musei e alle foto inflazionate. (Che ho fatto anche io, non preoccupatevi.)
Infatti, parlando di New York, ne avevo già parlato qui.
Quando inizi ad entrare in confidenza con una città, come con un'amica, non ti importa più di vederla ben truccata, con la piega, la tinta appena fatta, i vestiti stirati che sanno di detersivo.
Quando si entra in confidenza ci si vede in pigiama, col trucco un po' colato, con l'occhiaia che fa capolino.
Lo stesso mi succede con le città, e prima di New York mi era successo con Milano, con cui ho avuto il tempo di rapportarmi abbastanza a lungo, e passare dal detestare quella sua puzza sotto il naso, quel traffico impazzito e quella sua voglia di mostrarsi, ad amare dettagli più sottili, invisibili all'occhio famelico del turista.

E il cuore pulsante di New York l'ho trovato non sull'Empire State Building, non nel MoMa, non sulla crociera sull'Hudson (in ogni caso da togliere il fiato) ma nelle stradine del Greenwich Village, del Garment District, di Tribeca, di Chelsea. Dove ho trovato posticini piccoli e invitanti dove mangiare, anche il giorno di Natale, pochi negozi aperti e i resti di qualche mercatino di Natale. Sorseggiando Apple Cider bollente e tè allo zenzero e miele, così in contrasto col freddo pungente che arriva dall'oceano.

Il cuore pulsante l'ho trovato nella metropolitana, in quel budello infinito e puzzolente che si muove silenzioso sotto le strade di Manhattan, quando il 24 dicembre un gruppo di quattro uomini di mezza età di colore, muniti solo di cappello di Babbo Natale, hanno cantato Jingle Bells acappella con un'intonazione perfetta, un sorriso così aperto e bianco sui loro visi tesi e stanchi, con una gioia che faceva apertamente contrasto con le facce tese dei NewYorkesi. Il cuore pulsante è esploso quando tutto il vagone ha tolto le mani dai guanti, dalle tasche dei cappotti, per scoppiare in un applauso felice, genuino, non forzato, un applauso per quei due minuti di felicità e allegria genuina che sono così difficili da trovare in metropolitana all'ora di punta.

Come al solito, inutile descrivere la vista dall'Empire, i corridori professionali e non in Central Park, il Top of The Rock o le luci di Natale del Rockefeller Center.
A me piace la New York un pò così.
Che mi ricorda casa.








mercoledì 9 gennaio 2013

Pugnette più consapevoli

Primo post che non sia volante o in territorio a stelle e hamburger.
Di nuovo dalla mia scrivania, anche se tramite piccì nuovo.
Sono tornata da tipo due settimane, nel mio guscio, e l'unica cosa che mi pare di aver fatto è esser regredita.
Ho passato una settimana a rotolarmi nel letto fino alle 5 di mattina, col cervello che faceva la spaccata tra il nuovo continente e il vecchio, a svegliarmi a ore improbabili, a desinare a orari davvero poco umani, a non avere progetti. A rispondere alle domande delle persone con un "umphf" di circostanza, al pensare alla mia imminente laurea come una mucca pensa al momento del macello, a propormi ogni maledetta sera di dormire presto e svegliarmi presto per studiare, senza aver mantenuto il proposito manco una volta. Ho ritrovato un pò della voglia di fare, quella che ti fa sentire piena di vita, manco fossi Tonino Guerra e il suo ottimismo che è il profumo della vita, quando mi hanno portata nella nuova redazione per il giornale online con cui collaboro.
Perchè sì, sognare un fa mai male, no?
Ho avuto una di quelle giornate superproduttive conclusa con una lezione di zumba per buttare giù 'sta buzza da Homer Simpson che mi è venuta dopo svariati camion di Budwiser.
Ma sono stata in grado di cambiare umore nello stesso tempo con cui Sara Tommasi si cala le mutande, quindi tempo il mattino dopo, con sveglia ad un'ora improbabile, mi sono lasciata riportare nel mare di apatia in cui mi autoseppellisco spesso.
Insomma, sono sempre la solita svanita che mi fa incazzare. E più mi faccio incazzare più mi deprimo, più mi vittimizzo e più non combino nulla.
Era da un bel pò che non mi sentivo così, sarà che l'aria di casa per molte cose rinvigorisce (annuncio cum sommo gaudio che ho perso due chili) per altre mi stende a terra come solo un provincialismo semisnob può fare.
Da una parte mi ritrovo a camminare per le (tre strade) di casa con gli occhi che si meravigliano di dettagli che ci sono sempre stati e io non avevo mai notati, dall'altra ogni mattina mi sveglio con uno spleen esistenziale che manco Baudelaire nelle sue giornate peggiori.
Sarà che la coccola fa piacere, ammorbidisce, ci riporta all'infanzia, ci vizia e riempie i nostri vuoti, ma nello stesso tempo annienta le battaglie già vinte con l'indipendenza.
Assopisce il neurone, impigrisce.
Se non sono forzata dagli eventi, io mi lascio cullare dalla mia nullafacenza, senza ritorno, senza possibilità di redenzione.

Una cosa, però, ho imparato laggiù, in quel posto bruttino e provinciale che ho chiamato Casa per quattro mesi, che nessuna pigrizia, nessun vizio e nessuna brutta abitudine riuscirà a strapparmi via.
Che, prima di tutto, devo fare i conti con me.
Che poco importa fare i conti con gli altri, se prima di tutto non ci sei tu.
Che non c'è nessuno che io debba temere più di me, del mio giudizio e del mio benessere.
Cosa che non avevo mai calcolato.
Il mio giudizio era sempre una conseguenza degli eventi, della catena di persone che bisogna compiacere nella vita perché-sai-ormai-siamo-qui-e-dobbiamo-sorridere, dell'essere a posto davanti a chi sai che ti ha sempre giudicata e sempre lo farà, o forse lo farà solo nella tua testa.
Insomma, sono sempre stata in balia di una lunga serie di pugnette mentali che si fa sempre una fatica boia a lasciarsi alle spalle.
Non dico di averle seminate in terra statunitense e lasciate lì a beneficio del prossimo, perchè spesso me ne porto dietro ancora una svariata quantità, ma sono pugnette più consapevoli.


Saran traguardi, no?

Mentre l'umido entra nelle ossa e appiccica tutto


Ho detto benvenuto all'autunno come ho attraversato gli ultimi cambiamenti di quest'anno. Con una placida indifferenza.
Me ne sono accorta dall'umido pesante che ovatta tutti i movimenti e i pensieri.
Dal vento che si insinua un po' ovunque.
Dalla mancanza di un caldo soffocante che si riflette sulle piastrelle bianche del posto dove lavoro.
Alterno momenti di pace universale a attimi farciti di manie di persecuzione.
Osservo di più e parlo di meno.
Metto segnalibri e sottolineo a matita.
Cerco di manipolare il tempo come voglio io, mettendo al rallentatore giorni di pigro entusiasmo. E tentando di occupare al meglio quelli di mesta disperazione, quelli in cui rapportarsi con me è piacevole come un pomeriggio con Uncle Scrooge della Favola di Natale di Dickens. 
Mi ascolto più spesso.
Tento di placare il ribollire nervoso delle mie viscere.
A volte ci riesco. Complici le pagine di alcuni libri, le colazioni al sole, qualche progetto, le lenzuola stropicciate delle mattine in cui regna la calma, il ritorno davanti a quello specchio e i primi passi sul linoleum nero, due corse col fiato spezzato e la faccia bollente.
Altre volte ci riesco meno.
Ma tendo ad essere più indulgente con me. 

Fine di un'estate mai (veramente) iniziata

Era aprile e poi luglio.
Una corona d'alloro in testa e poi ferragosto in redazione.
Qualche giornata di mare e poi il primo settembre.
Tanta routine intramezzata da momenti sorprendenti.
Troppe mattine a stropicciarsi gli occhi dal sonno, qualcuna con un'aria diversa dalle altre.
Ristoranti giapponesi e cene di mare sulle terrazze.
Orli di crisi di nervi e crisi di nervi in cui si è saltati a piè pari.
Gelati tra l'asfalto e granite al limone appena spremuto.
Un rapporto estenuante con la Coop sotto l'ufficio.
Troppi caffè al banco e poco sonno.
Qualche pagina di libro sotto un ombrellone arancione.
Una signorina di 18 mesi a strapparmi di dosso il malumore con prepotenza.
Fotografie tra la sabbia.
Alcune spettacolari.
Altre molto meno.
Qualche film e parecchie risate.
Le ore piccole. A scrivere in redazione.
Le ore piccole. A chiacchierare.
Bancarelle di ogni sagra.
Occhiali da sole vintage e uno zainetto di pelle.
Che sa di stalla, ma adorabile comunque.
Un volo prenotato e una valigia aperta sotto il letto.
Poche idee per il futuro ma confuse.
Altrimenti non sarei io.
Ma, nonostante tutto, la meraviglia delle piccole cose che è ancora capace di sorprendere.

Pillole di un'estate alternativa.

22 agosto 2012

Un anno fa.
A parte il fatto che è da mesi che latito da qui.
A parte il fatto che la mia anima inquieta mi ha portata in nuove acque.
A parte il fatto che le abitudini sono dure a morire e scrivo sempre a ore improbabili.

Comunque, un anno fa mi godevo con spensieratezza i primi giorni a stelle e strisce. Vagavo per il mio appartamento con la leggerezza di chi non sa che, da lì a poco, avrebbe preso una decina di chili. Mi ingozzavo senza ritegno con il menefreghismo di chi pensava "tanto che in America si ingrassa è una leggenda". Sbagliato. Molto sbagliato.
Un anno fa ero probabilmente alla mia prima festa clandestina negli appartamenti dell'università, tra giocatori di football in calzino bianco alto fino a metà polpaccio, ciabatte e beveroni anabolizzanti in giro per casa. Che, giudicando dalle stazze, pareva funzionassero.
Un anno fa stavo per scoprire che spesso sarei tornata nella mia stanza alle cinque del mattino trovando la mia coinquilina a studiare. Nella stessa posizione in cui era alle dieci di sera.
Un anno fa stavo per scoprire come ravioli al vapore e spaghetti di soia non siano così male dopo una sbronza.
Un anno fa stavo probabilmente provando l'accoppiata birra&fourloko, una bevanda a metà tra la redbull e il bacardi. Con la certezza che mi sarei svegliata ogni mezz'ora la notte successiva con la tachicardia.
Un anno fa non sapevo che avrei fatto parecchie puntate all'health center. Facendomi amiche le infermiere.
E invece siamo già ad oggi.
La laurea un traguardo non più da attendere con ansia ma alle spalle.
Una nebulosa fitta all'orizzonte che, ogni tanto, sembra organizzarsi in una sfocata scritta "sei fottuta".
Per ora mi stropiccio gli occhi.

Nel posto dove vivo

Devo parlarvi di Barcellona. Delle meraviglie che ho visto attraverso gli occhi di chi ci vive e non da chi è in vacanza. Dei profumi, degli odori, dei colori, del vento caldo, del colore del mare.

Ma, tornando, pensavo alle differenze tra il mondo che ho costruito nella mia testa, fin da quando ne ho ricordi, e il mondo dove ogni giorno metto piede, in precario equilibrio.

Pensavo che nel mondo che immaginavo da bambina, quello in cui la parola "governo" era solo la prima persona singolare del verbo che usavo per amministrare il mio regno di bambole, peluches, capricci e Piccini Picciò (darei un rene per giocarci ancora), le cose non andrebbero proprio come vanno ora.
Nel mondo dove la mia elastica mente prepuberale vorticava felice io pensavo a salvare tutti i miei peluches da un pseudo diluvio/incendio/terremoto universale, mettendoli in salvo tutti sul mio letto.
Con sdraiata mia nonna.
La ricoprivo di un manto di pelosi polverosi che pora donna come ha fatto a non odiarmi.
Nel mondo dove i miei pensieri di bambina ancora vivono lo spreco era orrore, in quel mondo dove mi hanno insegnato che le cose si buttano se si deve, non se non si vogliono più come un giocattolo vecchio.
Nel mondo dei miei occhi di bimba i più deboli, che al tempo erano proprio i peluches, magari anche quelli un po' più bruttini e spelacchiati, andavano aiutati, abbracciati, protetti.


E si vede che il mondo dove la mia mente turbolenta ancora viaggia indisturbata è il contrario di quello dove mi trovo a passeggiare ogni giorno.
Nel posto dove vivo le manifestazioni si fanno in piazza per supportare quattro assassini che hanno ammazzato di botte un ragazzo. Un ragazzo che forse era ubriaco, forse aveva fumato uno spinello, forse aveva sbagliato qualcosa, come tutti noi sbagliamo qualcosa. Un ragazzo che subito dopo la prima autopsia, coperto di sangue, si dava per morto per "conseguenze di alcool e droga", che notoriamente ti aprono ferite mortali in testa.
Nel posto dove vivo i politici dei partiti che io, noi, paghiamo, manifestano per quattro assassini sotto il comune dove la mamma della vittima lavora.
Nel posto dove vivo questi quattro poliziotti che vorrei ribadire sono in ogni caso assassini tanto quanto  il nostro Pistorius additato come un mostro, sono incoraggiati da molti perchè non scontino nemmeno sei mesi in carcere.

Nel posto dove vivo pubblicità di stracci per pulire sono ritenute indecenti e schifose, che ricordano o addirittura inneggiano il femminicidio.
Nel posto dove vivo ci indigniamo per una pubblicità che fa sorridere ma non per le prostitute minorenni pagate da padri di famiglia, vecchi, di cui alcuni anche pagati di nuovo da noi, che ci governano.
Nel posto dove vivo ci battiamo per far rimuovere questa pubblicità ma ci schifa la rumena picchiata perchè "ste cazzo di zingare che schifo".

Nel posto dove vivo non si scende in piazza per la pace, la musica, l'arte, l'amore, la cultura che sta cadendo a pezzi, l'istruzione, la sanità.
Nel posto dove vivo si scende in piazza per manifestare contro la giustizia.
Non per la giustizia. Contro.
Nel posto dove vivo un condannato per un reato caduto in prescrizione non è un pezzo di merda delinquente ma un povero uomo vittima di una giustizia cattiva che gli fa la bua.
Nel posto dove vivo essere amici di mafiosi non è un problema, purché uno sia bibliofilo. (Recentemente ha pure citato Plutarco)

Nel posto dove vivo chi è indagato per le stragi di mafia del 92-93 telefona al Capo Dello Stato per farsi spostare di Procura, e la gente si arrabbia perchè si sente la voce di Napolitano al telefono, non perchè è un favoritismo ingiusto, irreale, immotivato.

Nel posto dove vivo intasiamo bacheche di avvisi di cani e gatti abbandonati, maltrattati, malati, mentre in casa abbiamo pellicce, borse di pelle, mocassini di coccodrillo.
Nel posto dove vivo siamo animalisti e ambientalisti, ma poi vogliamo il TAV.
Nel posto dove vivo amiamo più gli animali delle persone.
Con convinzione.
Con rabbia.
Nel posto dove vivo non si riesce a considerare un animale un essere vivente degno di rispetto ma a sua volta degno di un rispetto diverso da quello riservato ad un essere umano.
Nel posto dove vivo la pietà per l'essere umano va sfumandosi.

Nel posto dove vivo si difende la famiglia.
Ma solo quella che ci fa comodo.
Nel posto dove vivo difende la famiglia chi ha tre mogli, due divorzi, una decina di figli e va a troie.
Nel posto dove vivo chi si ama da una vita ma non crede nel matrimonio è un poveraccio e non merita niente.
Nel posto dove vivo c'è ancora gente che si permette di decidere su cosa gli altri debbano fare col loro culo.
Nel posto dove vivo io sono volgare in questo post, ma tutti i parlamentari che dormono, giocano all'ipad, si insultano in parlamento, non lo sono.
Nel posto dove vivo chi vuole morire dignitosamente non può.
Nel posto dove vivo la religione dovrebbe significare amore e invece significa spesso chiusura mentale.

Il mio mondo al contrario è davvero molto più bello di così.
Dovreste farci un salto, ogni tanto.

Venti di cambiamento (ma anche aliti di putrefazione)

Dovrei scrivere l'indice della tesi.
Ma oggi sono talmente in fermento che mi tocca segnarmi queste giornate di infervoramento sociale che mi divora e scriverci su.
Settimana densa di cambiamenti, per chi se li fosse persi: abbiamo un nuovo papa, abbiamo un presidente della Camera, tra poco forse anche uno del Senato, ho scritto la prima pagina di tesi.
Insomma, sono tutte cose da ricordare.
Ma andiamo per ordine.
Chi mi conosce sa che io sto alla Chiesa (e badate bene che esiste una differenza tra Chiesa e religione/spiritualità/divino/varieedeventuali) quanto Giovanardi sta ai gay la Satanché sta all'invecchiamento naturale. Ho eliminato la roba di Giovanardi perché non sono così spregevole. Forse.
Comunque, dicevo che non è che io mi lasci stregare spesso da messe, discorsi papali e omelie, ma mi sono ovviamente ritrovata davanti al televisore nel momento in cui hanno eletto lui, Horge, che chiamo per nome perché già lo sento amico, Francesco.
Va bene, avrò anche la lacrima facile, ma quest'uomo, spoglio dell'ostentazione della ricchezza a cui siamo sempre stati abituati, con quella sua parlata morbida, fluida (mi spiace, ma molto più affascinante di quella meccanica di Bene), la sua battuta che ha fatto sorridere mezzo Paese, la sua foto che circola per tutta la rete di lui in metropolitana (con anche un pelo pelissimo di scazzo perché sarà stata come la verde quando si passa da Cadorna) ha preso il mio arido cuore per la mano e mi ha commossa. Non che la mia concezione di Chiesa in realtà sia cambiata, ma il capo di una delle potenze più influenti del mondo e (purtroppo) del nostro Paese, sia più a misura di noi, degli uomini e delle donne che camminano per strada tutti i giorni, che dimostri che sì, anche lassù in alto si è disposti a fare dei sacrifici, che forse non tutti vogliono sempre e solo prenderci per il culo, un segnale di speranza lo dà.
Volevo solo dire una cosa agli indignati per il suo essere contrario ai matrimoni gay: ragazzi, sarà anche tollerante, moderno, avanguardista, ma è pur sempre il Papa. Capo di quella chiesa che ancora non digerisce il preservativo, capite? Non l'hanno preso a un concerto di Lady Gaga, era un po' scontato che avesse qualche riserva sul matrimonio omosessuale. L'indignazione dovrebbe indirizzarsi non tanto tantissimo a lui, ma alle istituzioni laiche. Al nostro Paese, laico. A chi ci governa, che è colui che dovrebbe invece essere pro matrimonio omosessuale. Ma che ve lo dico a fa'.

Oggi in tv, dopo il discorso dell'onorevole Boldrini, Presidente della Camera, Lupi ha detto che si è dimenticata una roba fondamentale. La famiglia. Grazie al quale si può dare lavoro ai giovani (?). Si è dimenticato non una famiglia gay. Perché a suo parere quella invece non è una famiglia. Mica conterà l'amore, in famiglia, no? Il voler stare insieme, costruire un futuro. No.
Brunetta ha definito la Boldrini come in mezzo ad "una fase confusa, barbara" Ora, tranquillizzandoci sul fatto che Brunetta è l'eccezione che conferma la regola che nella botte piccola sta il vino buono, mi soffermerei su quel "barbara".
Prima di tutto bisognerebbe assicurarsi che l'acustica sia buona in Parlamento, perché non sono certa che Brunetta abbia ascoltato lo stesso discorso che ho sentito io.
Avrei in mente davvero moltissimi aggettivi per il discorso della Boldrini, tra cui avanguardista, pacato, commovente, dotato di un italiano corretto, ma non barbaro. Come qualcuno oggi mi ha suggerito, questi individui non hanno nemmeno l'onestà intellettuale per complimentarsi con un avversario, per applaudire ad un successo che non è semplicemente la loro "piccola sconfitta" ma una vittoria per tutto il paese.
Una vittoria per la speranza di un paese stanco, con le palle dilaniate da le innumerevoli balle che per anni e anni ha dovuto sentirsi raccontare, un paese che vede suicidi quasi ogni giorno, che vede scandali, mazzette, processi come fossero ordinaria amministrazione. Un paese in cui chi si fa il culo si è sempre visto scavalcare dal più furbo, un paese sprofondato nelle acque torbide di una politica corrotta, venduta, comprata, patteggiata, e le parole del Presidente, che seppur ancora solo parole, prometto trasparenza in questa nuova politica, come fanno a suonare barbare, Renato?
Siamo proprio sicuri che non lasciare gente morire in mare sia una cosa barbara?
Nessuno qui sta giustificando atti di criminalità di stranieri, Renato. C'è una bella differenza, lo sai? Tra punire chi commette un crimine, e magari anche rimandarlo in carcere nel suo paese, e lasciarlo morire.
Forse non tutti abbiamo la sottigliezza di capirla, questa differenza.
Siamo sicuri che definire la nostra Costituzione come "la più bella del mondo" sia barbaro?
Dire che la politica dovrebbe tornare ad essere una speranza ed una passione è confuso, Renato?

Mi sono lasciata una perla per il finale.
A me leggere gli articoli di Libero mi fa sempre un gran cagare ridere.
Però poi mi incoraggio, da sola.
Se in giro c'è gente che scrive così, posso farcela anche io, un giorno.
Comunque, subito dopo il discorso alla Camera, Libero titola così:


COMUNISTI AL POTERE

La Boldrini è presidente della Camera ora Vendola ha il suo "contentino": una "rossa" a difesa degli immigrati

Che mi viene anche da pensare: se difendere i diritti umani vuol dire essere comunista, vado a comprarmi una maglietta del Che. 
Con la loro rinomata eleganza sbattono nell'articolo frasi che dovrebbero rendere spregevole il concetto di ricordare i morti in mare, di battersi per il diritti civili di tutti, per i rifugiati di guerra o politici, per chi chiede asilo. E la tristezza è che Libero non è il mio blog, che non se lo caga nessuno se non i miei o chi forzo a leggerlo (Ciao Giacomo!) ma è un giornale che forma l'opinione pubblica. 
La gente mi chiede perché voglio diventare parte di un sistema mediatico così cattivo, subdolo, manipolatore, in cui le palle non devi avercele quadre ma cubiche, e io rispondo che un po' mi piacerebbe cambiarlo. La presunzione di migliorare le cose non mi manca. Sarà un difetto?
Probabile.
Ma tanto son testarda e non mollo.




Nuovi territori del bruciamento di ciccia


Da gennaio in poi parte ogni anno la solita corsa alla prova costume, la prova pantaloncino di pizzo, la prova canottierina scollata, quella che fa dannare milioni di donne, guardando con ansia bovina il calendario quando ormai si galoppa verso metà marzo e si hanno sulle spalle cosce svariati cuscinetti di ciccia non graditi. Che tu sia grassa quanto un fil di ferro ma ti veda come la sorella gemella che Ferrara non ha mai avuto, che tu sia fatta a forma di pera, che tu abbia il triplo mento come Peter Griffin, che tu abbia degli sbalzi di peso come Britney Spears nei tempi migliori, poco importa, le pugnette mentali ti accompagneranno sempre e per sempre, l’unica cosa di cui ho la certezza che abbia vita eterna è quindi la pugnetta sul peso. Che fare quindi?
Non voglio cadere nel banale proponendovi la dieta degli ultimi due mesi, dove sgranocchi miglio come le mie antiche cocorite (pace all’anima loro), ciucci un kiwi a cena e sostieni anche a gran voce di seguire una dieta equilibrata. Perché no, una dieta in cui salti i pasti, ti ingozzi anche di due barrette proteiche a metà pomeriggio e ingurgiti due o tre lassativi alla sera come fossero caramelle tuttiigusti+1 non è una dieta equilibrata, non lasciatevi convincere.
Nemmeno la fettina impanata di seitan, vegana al duemila percento, che sa di cartone gommoso, non è una grande alternativa. E per finire dichiarate guerra anche voi al tofu, che io sono sicura sia stucco di imbianchino spacciato per alimento vegano e salutare.

Quindi, sorvolando su tutto questo, volevo parlare del nuovo modo con cui esemplari di sesso femminile di tutto il mondo scuotono felici anche e bacini, sudando come in spiaggia a Riccione il 15 agosto, la faccia paonazza e i capelli incollati alla faccia come dopo una doccia. 

Volevo introdurvi tutti nel meraviglioso mondo della zumba.
L’approccio a zumba è semplice, poco impegnativo, ti senti una valletta di Passaparola in dieci secondi senza mai essere passata per i corridoi di zoccoland..di Mediaset.
Non necessiti di particolare abbigliamento, tanto in ogni caso sarai solo tu e un altro branco di irriducibili, in un range di età che va dai 20 ai 60. Inutile dire che se sei più verso i 20 hai anche il vantaggio di sentirti meglio di una ballerini di Amici.
Comunque, avendo io provato svariati corsi, posso assicurarvi che quelli tenuti dal manzo di turno sono decisamente più interessanti. Non tanto per lui, che nonostante in alcuni casi sia anche parecchio caruccio da osservare da dietro, ti guarda come un vegetariano guarderebbe un hamburger, ma perché l’approccio dell’uomo alla zumba è molto più goliardico. (E come non potrebbe, quando ci sono in gioco esseri pelomuniti tutto lo è)
Per farvi qualche esempio, con l’istruttore maschio si può (e si deve) nell’ordine: interrompere un pezzo per farselo tutto girando a braccetto come nelle sagre di paese, urlare “zumba!!1!” con grande entusiasmo alla fine di un passo, accompagnare ogni balletto da urletti incitatori, fare finta di suonare una chitarra mentre si alza la gamba verso la spalla, sentirsi dire “forza ragazze, shakerate quei sederi!!1!”. Nulla di più esilarante.

Sono quelle lezioni in cui ritrovi alla mezz’ora con la canottiera che sembra uscita fresca di lavatrice, i ciuffi di capelli incollati al collo e alla faccia, la bocca secca e la temperatura interna di 58 gradi con umidità al 99%. Ma non importa, perché al successivo “zumbaaaa!” dell’istruttore vedrai la signora accanto a te che scuote le tette come nel pezzo di Burlesque più in voga del momento, e non vorresti mai fare la figura del pesce lesso, a nemmeno 23 anni.
(In una delle palestre che ho provato avevo sempre accanto una donna sulla quarantina, bionda e liscia, palestrata al punto giusto, che non sbagliava mai un passo. Mi dava una merda incredibile. Soprannominata J.Lo per la pettinatura a codini che molto spesso sfoggiava)

Insomma, la zumba è l’ultima frontiera del sudore, per farti tornare a casa senza polmoni ma con l’animo leggero. E la cosa bella è che fa bene anche all’umore.
Provare per credere. 

Elenchi a caso

Penultimo giorno di febbraio, grigio, smog e traffico. Così ho pensato di bene di resistere alla tentazione di sfanculare il mondo ma ho incanalato tutte le mie energie negative per snocciolare un elenco a casaccio di cose per cui non posso fare a meno di sentirmi viva. E di sorridere.

Visto che oggi per scrivere un articolo avevo bisogno di ispirazione mi sono sparata Via del Campo in loop per tipo due ore, quindi la prima cosa sono le canzoni di Faber, l'odore di salino, camminare sulla spiaggia a piedi nudi, l'abbraccio dei miei quando torno a casa, il profumo della nonna, la soddisfazione di un 30 all'esame per cui avevi studiato come un pazzo, la soddisfazione di un 30 all'esame per cui non avevi studiato un cazzo, il profumo del caffè al mattino, la tua canzone preferita che passa alla radio, una cena con gli amici, il sushi, Claudio Santamaria, l'odore di grigliata nelle sere d'estate, la sudata ogni volta che esco dalla palestra, più distrutta ma soddisfatta, i complimenti per qualcosa che ti riesce bene, un tuo articolo pubblicato, svegliarsi prima della sveglia, le pantofole dopo una serata sui tacchi, le frittate della nonna, una cena di pesce in riva al mare, l'odore di casa dopo mesi fuori, il concerto che volevi da una vita, una sera a teatro, i jeans che desideravi in saldo, il film che volevi vedere da sempre in tv, l'odore di erba bagnata in montagna, trovare dei mirtilli e spappolarseli in bocca durante una passeggiata, le foto vecchie, i diari di quando eri bambina, il mare di Bergeggi, una chiacchierata con un'amica con cui non parlavi da tanto, una sbronza di quelle potenti, una giornata piena che ti lascia quel sapore in bocca di soddisfazione, i miglioramenti visibili in qualcosa che non credevi possibile, il tram che passa nel momento in cui arrivi alla fermata, il cielo azzurro quando apri la finestra al mattino, il profumo di lavatrice, la focaccia di Peisino, le canzoni dei Muse, i ricordi del Liceo, leggere un giornale davanti ad un caffè, la soddisfazione di quando superi i tuoi limiti, la camomilla prima di dormire, gli aperitivi estivi, lo shopping dopo un esame, lo smalto quando non ti si sbecca, la cassa vuota al supermercato, chi ti sorride e ringrazia perché gli hai tenuto la porta aperta, un bambino che ti sorride in coda alla cassa, le vecchie canzoni di Liga che mi ricordano i miei 12 anni, Stefano Accorsi, i film di Tarantino, le mie serie americane preferite, i libri di Ammaniti, andare a mangiare fuori senza averlo programmato, i viaggi in aereo, il treno quando è puntuale, la metro vuota, chi ti aiuta a tirar giù la valigia, le parole belle di un'amica.

E niente, provate a scrivere il vostro. Funziona.

Il breviario del RDM.



Per RDM intendo Regalo Di Merda.
Oggi stavo guidando, e nella profondità dei miei pensieri mi è capitato di pensare a quanti regali di merda ho ricevuto (ma sicuramente anche fatto) nella vita. Ora, mi pare il momento giusto di inserire u disclaimer: non c'è nessun riferimento specifico nel fiume di puttanate che scrivo, quindi se per caso una volta nella vita mi avete regalato una roba che mi fa schifo, non me la prendo con voi. Giuro. Perché probabilmente ho fatto un regalo di merda anche io a voi l'anno dopo.

Bon, detto questo, stavo appunto pensando a ogni ricorrenza, dal Natale al compleanno passando per l'Hannukkah, il mesiversario e l'onomastico. Quante volte abbiamo ricevuto una roba atroce, che non regaleremmo nemmeno a quel professore universitario che ci ha bocciato otto volte all'esame? Quante volte abbiamo fatto regali alla cazzo di cane, con buone intenzioni (o anche no), senza minimamente contare i gusti del destinatario. Lo so che l'avete fatto tutti.

Negli anni ho compreso cosa aborro ricevere come regalo, e cosa gli altri aborrono ricevere. Crediate che non abbia mai visto facce di disgusto (malamente) celate sotto sorrisini di gratitudine quando la mia amica che detesta il rosa si vede arrivare un'accoppiata cappello-sciarpa-guanti rosa cipria con fiocco sul fucsia? Quanti Natali quello zio che non vedi da quando ancora ti scaccolavi in pubblico (non vale per tutti, ho amici che lo fanno con soddisfazione ancora davanti al mondo) ti ha regalato maglioni di merda che hai riciclato all'amico del cuore al compleanno dopo? Quante volte hai visto quel cd dei Modà in offerta, che a te piacciono tanto, e senza battere ciglio lo hai regalato all'amica che ascolta solo i Metallica? (brutta immagine, lo so).

Quindi, dato che pure tra due mesi si avvicina il mio compleanno, voi, amici, parenti, che sarete obbligati dalla buona educazione e da tutto il bene che mi volete a farmi un regalo, beccatevi questi aneddoti e consigli nel mio primo Breviario Dei Regali Di Merda.

1. La trousse dei trucchi. Specificatamente quelle di Pupa. Ne sto collezionando alcune che diventeranno pezzi rari e antichi. Ho ricevuto, nell'ordine: una girandola, una puposka (pupa + matrioska. La genialità), una zebra apribile in venti (ma lì lo sforzo c'è stato, a me piace lo zebrato), una cupola rosa shocking, una mucca, orsetti vari. Questo regalo lo passo solo a mia nonna a cui dico che mi piace tantissimo perchè si impegna un sacco. Agli altri, no. Ci metto otto anni a usarle tutte, e per tutte intendo i colori fattibili, il verde pisello e il lucidalabbra giallo canarino non sono umanamente mettibili. Sappiatelo. Che finisca l'era della trousse. Amen.

2. Se non conoscete bene il destinatario - in questo caso me - andateci piano con i libri. Uno dei miei migliori amici (quello che si scaccola, per chiarirci) l'anno scorso mi ha regalato uno di quei libri della collezione di Tiffany. Non ricordo precisamente il titolo. Io che Tiffany lo vedo solo nel film con la Hepburn. Io che quando ci passo in via della Spiga praticamente mettono un cartello fuori con la mia faccia e scritto "Io non posso entrare". Inutile dire che non l'ho mai letto. Dovrei, solo per dovere di cronaca. Ma so che mi farei del male. Stessa cosa per cui se regalate a Giacomo un romanzo che non sia un thriller o un fantascientifico/fantastico siate certi che non solo non lo leggerà mai, ma potrebbe usarlo come carta igienica. Viceversa, se un giorno mi regalate una copia di otto chili del Signore degli Anelli, vi ci prendo a librate.

3.Le cose di Hello Kitty. Ora, io capisco che tutte noi siamo state bambine. Abbiamo fatto cose che percaritànonricordarmele, abbiamo avuto dubbi gusti come il pantalone a zampa d'elefante, la Nike tamarra e il ciuffo rosa a 14 anni, ma alla veneranda età di quasi 23 anni Hello Kitty non potete sventolarmelo sotto il naso. Ho avuto un portachiavi per la moto suo, una volta. L'ho fatto sparire qualche anno fa.

4. Le polo. Questa è una cosa proprio mia. Sarà che a mia madre piacciono tanto e la prendo sempre in giro sul fatto che sembri una mancata insegnante di ginnastica, che me ne sono messe talmente tante della Fred Perry alle superiori, ma la polo bacchettona proprio non mi va giù.

5. Le paillettes. Questo invece vale per la maggior parte del genere femminile. A meno che io non faccia parte di un circolo di Burlesque, o abbia una festa di carnevale imminente, la paillette no. Nel suo viscido lucidume non si riesce ad abbinare con una mazza, fa subito vicoli di via Pré se usata senza parsimonia e, se la destinataria ha passato i 15 anni da un pezzo, fa tanto ritorno alla gioventù mancata.

6. Il peluche. Teneri a dieci anni, romantici a 15, carini a 18. Li ho apprezzati, e guardo con tenerezza anche l'esercito di Cuccioli, pinguini, asinelli, Winnie the Pooh giganti, foche, coniglietti, Wall-e (sì, anche lui) che ho sull'ultima mensola della libreria (roba che se entrate in camera mia sembra di stare nel magico mondo di Barbie) ma dopo una certa età sono superati. Quindi, in generale, se ormai il tempo dei mesiversari e del "ti vuoi mettere con me?" è finito da un pezzo, glissiamo sul peluche.

Alla fine di questa (tutto sommato corta) lista di regali che sono proprio NO, ci sono tanti ma tanti regali che si possono fare (non solo a me, sto diffondendo il verbo, ma se volete a me io non mi lamento), alcuni vanno anche a seconda del grado di conoscenza: dei biglietti per il teatro, una cornice con una foto, un libro ben scelto (ricordo per chi se lo fosse perso, per me NO fantascienza, per dire eh), un massaggio (e qui chi si deve sentire in colpa CI SI SENTA), quella borsetta di H&M che dico sempre che la adoro ma non me la compro mai, un phon nuovo (questo a me che il mio ormai soffia aria tiepida, roba che il bue del presente scalda di più), un buono da Zara (per questo vi bacerei sulla fronte con schiocco molto rumoroso), una cena fuori, un corso di fotografia (se il destinatario non sa manco usare la Kodak con ancora il rullino forse no), un mazzo di fiori, una crema per il corpo, se proprio mi volete un sacco bene fate una colletta e aiutatemi a cambiare la Atos. Bon. Mi sembra di aver detto tutto.

Ma voi, che RDM avete ricevuto?

Assenze fisiche e mentali


Un mese e qualche spicciolo da quando ho rimesso piede in suolo italiano e ancora ho un sentimento dolceamaro, come se da una parte ancora aspettassi il giorno in cui riprenderò quell'aereo, quel pullman e mi farò scaricare di nuovo alla stazione del pullman di Albany.
Sapete che sono una persona malinconica, che vive di ricordi, magari una manciata di rimorsi ma davvero pochi rimpianti.

In tutto questo Marina é tornata lì, ogni giorno posso vedere come se la cava senza di noi, senza di me, in quel dormitorio dove qualcuno dorme nel mio letto, ha appeso foto sul mio muro, sta impregnando la mia stanza di un odore che non é il mio.
Che presuntuoso il genere umano. Quella stanza, prima di me, sarà stata occupata da decine di studenti, eppure la sento mia quasi più di quella di casa.
Quante decisioni, quante chiacchiere, quanti sogni, quante paranoie, quante sveglie stropicciate, quanti notte brave addormentata vestita, quanto odore di cinese é rimasto quella volta che ero talmente stanca che alle cinque del mattino l'ho portato in camera, mentre la mia coinquilina dormiva. [Che coinquilina di merda, che sono]
Quante docce fatte di corsa, dieci minuti prima di uscire, con una mano impegnata a mettermi il mascara e l'altra a reggere il phon.
Quante notti piene di impegno nel trovare la serratura, a farmi shh da sola mentre cercavo di cambiarmi al buio all'alba per non svegliarla.
Quante confidenze, fatte da menti diverse, da culture diverse, che poi alla fine si assomigliano tutte.
Quanti sogni, speranze, paure condivise, sempre le stesse. Che tu abbia vent'anni in Spagna, in Italia, in Irlanda o in Brasile, li porti allo stesso modo.
Dicevo, vedo Ma che mi manda foto su snapchat [la trovata dell'anno] immersa nelle lenzuola zebrate che le ho lasciato, che va alla lezione di zumba a cui andavamo insieme, che beve una birra ad DeJohn's e, anche solo per una giornata, vorrei avere il dono dell'ubiquità. Spostarmi lì, fare finta che nulla sia cambiato, e continuare il semestre nella 306.

Percepisco l'assenza fisica, materiale, dei suoi abbracci, del suo profumo ogni volta che si stava insieme a chiacchierare. Mi manca l'assenza fisica del suono della risata di Sara, della sua energia, del suo saltellare allegro, della sua voglia di fare e di mediare, quella voglia di mediare che a me é sempre mancata, io spirito inquieto e battagliero che non sono altro. Mi manca l'assenza fisica di Marina che é sempre in grado di rassicurarti, di farti sentire che sí, andrà davvero tutto bene. Che tante volte le cose vanno prese alla leggera, cosa che io riesco a fare davvero male. Mi manca l'assenza fisica di Alice e della sua praticità, delle innumerevoli chiacchierate sulle scale, del continuo confronto tra li e qui, tra quello che ci aspettavamo prima di partire e quello che abbiamo davvero trovato qui.
Mi manca il sorriso di Lorraine, quello dolce, quello timido all'inizio ma ripieno di un affetto genuino.
Mi manca anche sentirmi rincoglionita le prime settimane, quando preferivo stare zitta durante una chiacchierata a cena piuttosto che sbagliare il verbo in una frase.
Mi mancano le voci di tutti, gli accenti che ho sempre fatto una fatica boia a capire, i modi di dire.
Degli Stati Uniti mi manca il modo di vivere la vita più rilassato e più impegnato allo stesso tempo.
Mi manca quella noncuranza del giudizio altrui che qui ci impregna fino a farci soffocare.
Mi manca quell'orgoglio di camminare per strada per quello che si é, non per quello che si indossa o per il taglio di capelli.
Mi manca quella voglia di scoprirsi dentro perché del fuori poco interessa.
Mi manca quella curiosità che le persone hanno per il diverso, per il nuovo, lo straniero.
Alla fine cosa é davvero diverso, straniero, nel paese che ha più radici e allo stesso tempo non ne ha?
Nel paese che vive di differenze e le esalta?
Mi manca tantissimo quel genere di gentilezza e cortesia genuine che le persone hanno nel sangue.
Mi manca scontrare qualcuno col carrello da Walmart, chiedere scusa e sentirmi rispondere col sorriso che non importa.
Ho preso per sbaglio il carrello di una signora all'Esselunga a Milano, la settimana scorsa, [vuoto, n.b.] e ha pensato che volessi rubarle l'euro che c'era dentro. Le ho chiesto scusa ridendo, perché avevo fatto confusione.
Lei non mi ha nemmeno guardata, si é ripresa il carrello ed é filata via, convinta che fossi una poco di buono.
Sai com'é, anche il capello tinto di rosso alla sciura milanese un po' sa di pericoloso.
Scusate, questa mi é proprio scappata.
In ogni caso, dicevo che mi manca quel rispetto per il prossimo che qui non abbiamo.
Certo, ogni paese ha le sue piaghe e contraddizioni, l'America ha da fare i conti con tutte le ferite aperte causate dalla lobby delle armi e dal sentimento nazionalista insito nelle tradizioni. Ma le persone hanno allo stesso tempo un senso di solidarietà che qui noi ce lo sogniamo, qui, nel paese dove nessuno fa niente per niente.
Mi manca l'ospitalità che ho ricevuto, da persone che mi hanno aperto la loro casa per il Thanksgiving senza avermi mai vista prima.
Mi manca l'accortezza delle persone che aprono una porta prima di te in università che te la tengono aperta per farti passare.
Mi mancano gli studenti che ringraziano l'autista del bus del college ogni santa mattina.
E lui che saluta tutti, fa fermate apposta per chi glielo chiede.
Mi mancano i professori che trattano gli studenti come individui pensanti, con cui instaurano un rapporto più profondo rispetto a quello faccia faccia un'aula universitaria.
Mi manca la signora della mensa che si ricorda chi sei, ti fa i complimenti per un maglione nuovo e ti dice quanto é bella la mattinata di sole che si vede dalle ampie vetrate della Dining Hall.


Mi manca perdermi in un mondo che non é il mio, ma che forse spesso mi ha capito molto meglio di quello in cui posso girare a occhi chiusi.

Il GM in tempo di campagna elettorale


Poteva mancare il post scritto dal sedile di un intercity Savona-Milano?
Potevate scamparvelo?
No.
Anche perché mi annoio.
E linguistica francese ha perso come alternativa allo scrivere.
In ogni caso, in questi giorni frenetici di mezzi traslochi, due giorni a casa e due a Milano, spese, ambientamento in nuove camere e vecchie aule universitarie, mi rendo conto che le elezioni stanno arrivando. E che io ho le idee un pelino confuse.

Ora, lungi da me aprire una discussione su vari orientamenti politici, io che potrei argomentarla nello stesso modo in cui Luca Giurato parla del travaso del basilico a Uno Mattina. (Ma c'é ancora? È vivo?)
Ma volevo fare un rapido resoconto di come noi vediamo la politica.
Noi inteso giovani, più o meno maturi, più o meno indipendenti, ma molto più dipendenti (non nel senso lavoratori, ma nel senso che dipendono da mammà)
A mio parere il GM (Giovane Medio) si distingue in due grandi categorie.
Quello che si interessa e quello a cui non frega un cazzo.
Semplice.

E devo ammettere che ne conosco molti di più della seconda categoria.
Di solito la prima categoria non ha nemmeno bisogno di smazzarsi ore di Ballarò, ServizioPubblico, OttoeMezzo e chi più ne ha più ne metta, perché già SA cosa vuole votare. Lo sa da una vita, conoscendo anche la storia e gli orientamenti di ciascun partito. Praticamente conoscevano Renzi da prima che facesse il politico (quindi quando aveva dodici anni), Berlusconi quando aveva ancora i capelli e Bossi quando diceva qualcosa che avesse un senso logico e sintattico (quindi forse mai?).
Sono quelle persone con cui di solito tu, il rincoglionito di turno, non oseresti mai aprire il discorso politico, perché sai già che perderesti in partenza.
Tu che hai in serbo due o tre frasette banali, magari anche tautologiche, per esprimere il tuo punto di vista, vieni travolto dalla retorica perfetta e da citazioni storiche/aneddoti/esempi/dati/tabelle come se non ci fosse un domani, roba che dopo cinque minuti ci rinunci e provi a parlarne con qualcuno che ne capisce meno di te.
L'altra categoria, molto più ampia, comprende la maggior parte dei GM che mi sono capitati a tiro. Nel senso che a qualcuno proprio non frega un cazzo. Che votano cosa vota mamma, (anzi papà, che l'uomo c'ha questa fama di capirsene meglio di politica. E figurati, noi al massimo leggiamo su Marie Claire quando esce l'ultimo modello della borsa di Marc Jacobs) chi ha il cartellone più bello, quello più figo (e qui però é difficile), proprio senza razzismo partitico.
Poi c'é anche il GM a cui non frega un cazzo, ma ha memorizzate nella RAM quelle due o tre nozioni base che lo orientano verso un partito piuttosto che un altro. Quelle imparate a Pontida, ad un comizio del PD, a una riunione dei Verdi (esistono ancora?) o forse da un quarto d'ora di intervista o video su Youtube. E hanno anche la risposta pronta in caso qualcuno intendesse farsi i cazzi loro con la domanda più temuta in tempo di campagna elettorale: "Ah voti Pierpetto e il suo partito per i diritti delle pantegane nella metro di Milano? Interessante, COME MAI?" E lì sbam, di solito uno cade dal pero e balbetta due o tre stronzate, scena che ricorda tanto le mie interrogazioni di letteratura latina al liceo, dove andavo un po' a naso, di improvvisazione.

Poi in realtà mi sento in dovere di aggiungere una terza categoria, che sta un po' in mezzo.
Nella quale io rientro a braccia aperte, a piene mani, alla cieca.
Quella del GM che alla soglia del 23 anni, della laurea, dello stage, dell'imminente lavor…disoccupazione, capisce che sì, forse é il momento di non fare solo il sudoku nell'ultima pagina di Metro ma di leggere anche le pagine prima o - addirittura - comprarsi un giornale e leggersi anche le notizie di attualità.
Quelli che tentano di capirci qualcosa di coalizioni, alleanze, propositi, promesse, debito pubblico, spread, BTP e bund, evasione fiscale, IMU, ICI e altre due o tre siglette.
Ma la missione é tutt'altro che semplice.
Il GM tende a informarsi su Internet. Che fa la sua porca figura, ovviamente. Tranne quando il GM si fa prendere per il naso da notizie false, verosimili, senza andare a verificare le fonti, e le condivide su facebook con forza battagliera, per poi essere smerdato in tempo da zero da chi appartiene alla prima categoria sopracitata.
Allora si passa alla tv.
Che é un bene no, mi dirai.
Ci sono tanti di quei programmi di approfondimento, in questo periodo, che uno potrebbe tranquillamente non staccarsi mai dalla poltrona.
Peccato che tu guardi il programma e non capisci un cazzo.
Tre ore di dibattito in cui sembra di stare all'assemblea d'istituto della prima liceo.
Due o tre che si scannano parlandosi sopra, di cui uno di solito é DiPietro che se anche parla da solo hai difficoltà a distinguere le parole, gli altri che fanno la faccia annoiata e si scaccolano, e mai uno che tiri fuori due dati seri.
Ci sono sempre e solo frasi come "secondo i miei dati.." cioé, ma fammi capire, i dati non sono oggettivi? Non sono l'unica cosa su cui non ci piove?
Non c'era quel famoso detto "La matematica non é un'opinione?"
A quanto pare in politica no.
Così battibeccano per ore e finiscono per insultarsi e mandarsi frecciatine, perdendo per esempio il punto principale, come chessò, la disoccupazione o l'IMU.
Poi ci sarebbero i giornali, che peraltro il GM repelle, a meno che non sia la Gazzetta.

Che sia quindi che il GM non ha grandi speranze?
La solita storia del lamentiamoci pure ma quando bisogna fare qualcosa io non mi sento responsabile?
Non sono una che appoggia la teoria choosy della Fornero, perché vedo quanto in tanti si facciano il culo quadro per avere un lavoro, per tenerselo e per giustificarsi col mondo se si ha voglia di arrivare in alto, chessò a fare un giorno il lavoro dei sogni, guardato con apprensione dai Grandi Capi, quello sguardo da "che tenerezza che mi fai, io il culo di cui non lo sposto finché non ho il pannolone, tu puoi sperare di portarmi il caffè per ancora vent'anni".
Che in questo paese la vecchiaia avanzi, insieme all'avarizia, alla sete di potere, alla preferenza per la via più corta e più furba invece che per il sudore della fronte, lo sapevamo già.
Che i giovani non siano catalogati come risorsa ma come qualcosa da sfruttare, pure.
Ma dall'altra parte tanti GM non riescono a vedere al di là del proprio naso, né vogliono provarci.



Quello che non ti aspetti

Mi ero ripromessa di scrivere sull'ultima settimana che ho passato in suolo statunitense, poi uno torna, si vede riappioppati i problemi che erano svaniti magicamente in quattro mesi di alienazione, e niente, non si ha avuto tempo.

Adesso lo si ha.
L'ultima settimana americana l'ho passata, indovinate voi dove?
Esatto.
In quello che è stato il crocevia di tutti i miei spostamenti in giro per gli stati, quello dove ho preso aerei, treni e pullman, dove ormai conoscevo a memoria Porth Authority, la stazione dei pullman, dove sono arrivata per l'ultima volta, in quei quattro mesi.

Ho passato il Natale a New York.
Per la prima volta, il giorno di Natale, ho visto New York addormentata, assopita, stropicciata.
I negozi chiusi, il vento forte di mare che trascinava foglie, cartacce, e pure senzatetto, qui e là, senza meta.
Persino il colosso di Macy's, in pieno centro, aveva le vetrine sfavillanti spente e le serrande abbassate.
Non male per la città che non dorme mai.
Ma in quel momento, vedendola spogliata dei suoi miti, della sua forza, delle sue luci, del suo vociare, con me e i pochi temerari che hanno sfidato la pioggia del 25 dicembre mista a neve per gironzolare all'aria aperta, mi sono sentita quasi a casa.
Il nesso sarà anche poco logico, ma la sensazione di sapere che ogni città si assopisce, si accoccola davanti al camino (che, peraltro, non ho mai avuto) dopo il pranzo di Natale, dove comunque una piccola minoranza preferisce andare al ristorante, soprattutto uomini d'affari russi e turisti, insomma questa sensazione, mi ha fatto sentire a casa.
Dove dopo pranzo alcuni valorosi escono di casa, più per esigenza di digerire che per voglia, e camminano lenti e imbottiti di cibo per le vie grigiognole senza nessun segno apparente di vita.
Perchè Natale è uguale a Savona come a New York.
Sono cose.

Ho sbirciato dentro finestre illuminate anche lì. Dentro Finestre moderne, con gli infissi scintillanti, in grandi grattacieli misto vetro, e cosa ci ho visto?
Una luce gialla, calda, in netto contrasto col nero lucido e freddo del guscio esterno, che faceva da contorno ad un enorme albero di Natale addobbato con cura.
Come poteva essere il mio.

Ora, sarò un cuore di panna, ma non ho mai potuto fare a meno di trovare il lato umano di tutte le città che ho visitato.
Il cuore pulsante, quello che va oltre al turismo, allo shopping, ai ristoranti in voga, ai locali dove si fa la coda fuori, alle viste famosi, ai musei e alle foto inflazionate. (Che ho fatto anche io, non preoccupatevi.)
Infatti, parlando di New York, ne avevo già parlato qui.
Quando inizi ad entrare in confidenza con una città, come con un'amica, non ti importa più di vederla ben truccata, con la piega, la tinta appena fatta, i vestiti stirati che sanno di detersivo.
Quando si entra in confidenza ci si vede in pigiama, col trucco un po' colato, con l'occhiaia che fa capolino.
Lo stesso mi succede con le città, e prima di New York mi era successo con Milano, con cui ho avuto il tempo di rapportarmi abbastanza a lungo, e passare dal detestare quella sua puzza sotto il naso, quel traffico impazzito e quella sua voglia di mostrarsi, ad amare dettagli più sottili, invisibili all'occhio famelico del turista.

E il cuore pulsante di New York l'ho trovato non sull'Empire State Building, non nel MoMa, non sulla crociera sull'Hudson (in ogni caso da togliere il fiato) ma nelle stradine del Greenwich Village, del Garment District, di Tribeca, di Chelsea. Dove ho trovato posticini piccoli e invitanti dove mangiare, anche il giorno di Natale, pochi negozi aperti e i resti di qualche mercatino di Natale. Sorseggiando Apple Cider bollente e tè allo zenzero e miele, così in contrasto col freddo pungente che arriva dall'oceano.

Il cuore pulsante l'ho trovato nella metropolitana, in quel budello infinito e puzzolente che si muove silenzioso sotto le strade di Manhattan, quando il 24 dicembre un gruppo di quattro uomini di mezza età di colore, muniti solo di cappello di Babbo Natale, hanno cantato Jingle Bells acappella con un'intonazione perfetta, un sorriso così aperto e bianco sui loro visi tesi e stanchi, con una gioia che faceva apertamente contrasto con le facce tese dei NewYorkesi. Il cuore pulsante è esploso quando tutto il vagone ha tolto le mani dai guanti, dalle tasche dei cappotti, per scoppiare in un applauso felice, genuino, non forzato, un applauso per quei due minuti di felicità e allegria genuina che sono così difficili da trovare in metropolitana all'ora di punta.

Come al solito, inutile descrivere la vista dall'Empire, i corridori professionali e non in Central Park, il Top of The Rock o le luci di Natale del Rockefeller Center.
A me piace la New York un pò così.
Che mi ricorda casa.








Pugnette più consapevoli

Primo post che non sia volante o in territorio a stelle e hamburger.
Di nuovo dalla mia scrivania, anche se tramite piccì nuovo.
Sono tornata da tipo due settimane, nel mio guscio, e l'unica cosa che mi pare di aver fatto è esser regredita.
Ho passato una settimana a rotolarmi nel letto fino alle 5 di mattina, col cervello che faceva la spaccata tra il nuovo continente e il vecchio, a svegliarmi a ore improbabili, a desinare a orari davvero poco umani, a non avere progetti. A rispondere alle domande delle persone con un "umphf" di circostanza, al pensare alla mia imminente laurea come una mucca pensa al momento del macello, a propormi ogni maledetta sera di dormire presto e svegliarmi presto per studiare, senza aver mantenuto il proposito manco una volta. Ho ritrovato un pò della voglia di fare, quella che ti fa sentire piena di vita, manco fossi Tonino Guerra e il suo ottimismo che è il profumo della vita, quando mi hanno portata nella nuova redazione per il giornale online con cui collaboro.
Perchè sì, sognare un fa mai male, no?
Ho avuto una di quelle giornate superproduttive conclusa con una lezione di zumba per buttare giù 'sta buzza da Homer Simpson che mi è venuta dopo svariati camion di Budwiser.
Ma sono stata in grado di cambiare umore nello stesso tempo con cui Sara Tommasi si cala le mutande, quindi tempo il mattino dopo, con sveglia ad un'ora improbabile, mi sono lasciata riportare nel mare di apatia in cui mi autoseppellisco spesso.
Insomma, sono sempre la solita svanita che mi fa incazzare. E più mi faccio incazzare più mi deprimo, più mi vittimizzo e più non combino nulla.
Era da un bel pò che non mi sentivo così, sarà che l'aria di casa per molte cose rinvigorisce (annuncio cum sommo gaudio che ho perso due chili) per altre mi stende a terra come solo un provincialismo semisnob può fare.
Da una parte mi ritrovo a camminare per le (tre strade) di casa con gli occhi che si meravigliano di dettagli che ci sono sempre stati e io non avevo mai notati, dall'altra ogni mattina mi sveglio con uno spleen esistenziale che manco Baudelaire nelle sue giornate peggiori.
Sarà che la coccola fa piacere, ammorbidisce, ci riporta all'infanzia, ci vizia e riempie i nostri vuoti, ma nello stesso tempo annienta le battaglie già vinte con l'indipendenza.
Assopisce il neurone, impigrisce.
Se non sono forzata dagli eventi, io mi lascio cullare dalla mia nullafacenza, senza ritorno, senza possibilità di redenzione.

Una cosa, però, ho imparato laggiù, in quel posto bruttino e provinciale che ho chiamato Casa per quattro mesi, che nessuna pigrizia, nessun vizio e nessuna brutta abitudine riuscirà a strapparmi via.
Che, prima di tutto, devo fare i conti con me.
Che poco importa fare i conti con gli altri, se prima di tutto non ci sei tu.
Che non c'è nessuno che io debba temere più di me, del mio giudizio e del mio benessere.
Cosa che non avevo mai calcolato.
Il mio giudizio era sempre una conseguenza degli eventi, della catena di persone che bisogna compiacere nella vita perché-sai-ormai-siamo-qui-e-dobbiamo-sorridere, dell'essere a posto davanti a chi sai che ti ha sempre giudicata e sempre lo farà, o forse lo farà solo nella tua testa.
Insomma, sono sempre stata in balia di una lunga serie di pugnette mentali che si fa sempre una fatica boia a lasciarsi alle spalle.
Non dico di averle seminate in terra statunitense e lasciate lì a beneficio del prossimo, perchè spesso me ne porto dietro ancora una svariata quantità, ma sono pugnette più consapevoli.


Saran traguardi, no?