martedì 23 settembre 2014

Tutto sul tetto


C'è una cosa, in particolare, che amo delle città. Oltre ai volti, le strade, le piazze, l'atmosfera, le facciate. Quello che mi fa innamorare di una città sono i tetti. Spesso dimenticati, bistrattati, ricevono uno sguardo distratto mentre si cerca di capire se quei due nuvoloni neri porteranno pioggia o no. Invece io alzo subito il naso al cielo e cerco di scorgere tutto quello che sta sopra. Terrazze nascoste in misere e grigie alternanze di palazzotti semi nuovi, tetti di tegole, alcuni con le travi a vista, grigi, rossi, dritti, sghimbesci, in un mosaico di colori, forme e bellezze che dà ad ogni città un profilo unico. Ho amato quelli squadrati, di cemento e acciaio, nudi di Downtown Manhattan, quelli di tegole, spesso di legno, delle perliferie di Albany, quelli dalle mille tonalità di grigio fumo e quegli abbaini dalle forme perfette di Parigi, quelli multiformi e seriosi di Milano, e oggi ho amato quelli inconfondibili di Genova. Musica, nessuna cartina, un passo dopo l'altro nell'incredibile umanità che si incontra nelle budella più crude della città. Un occhio sui vicoli, un occhio alla striscia di cielo che si vedeva in cima per scorgere uno scorcio, un filo di tetto, vedere cosa c'è al di là. Ancora più su. Così ad ogni piazza, ogni slargo, ogni salita, la soddisfazione di scorgere una terrazza minuscola, incastonata tra quattro palazzine di altezze diverse, con qualche pianta un dondolo e i rampicanti che si sono impossessati della ringhiera. Che gioia i tetti, questa volta allineati come tanti soldatini sull'attenti, che si vedono dando le spalle a palazzo Ducale, in piazza Matteotti. Vere e proprie foreste coltivate dalla terrazza di un attico, tende a righe, antenne di qualche televisione che chissà chi starà guardando. C'è così tanta vita tra i tetti di Genova. E immaginarla dà un senso di energia, di essere parte di qualcosa, di un'umanità che sotto quei tetti pulsa e freme. 

Tutto sul tetto


C'è una cosa, in particolare, che amo delle città. Oltre ai volti, le strade, le piazze, l'atmosfera, le facciate. Quello che mi fa innamorare di una città sono i tetti. Spesso dimenticati, bistrattati, ricevono uno sguardo distratto mentre si cerca di capire se quei due nuvoloni neri porteranno pioggia o no. Invece io alzo subito il naso al cielo e cerco di scorgere tutto quello che sta sopra. Terrazze nascoste in misere e grigie alternanze di palazzotti semi nuovi, tetti di tegole, alcuni con le travi a vista, grigi, rossi, dritti, sghimbesci, in un mosaico di colori, forme e bellezze che dà ad ogni città un profilo unico. Ho amato quelli squadrati, di cemento e acciaio, nudi di Downtown Manhattan, quelli di tegole, spesso di legno, delle perliferie di Albany, quelli dalle mille tonalità di grigio fumo e quegli abbaini dalle forme perfette di Parigi, quelli multiformi e seriosi di Milano, e oggi ho amato quelli inconfondibili di Genova. Musica, nessuna cartina, un passo dopo l'altro nell'incredibile umanità che si incontra nelle budella più crude della città. Un occhio sui vicoli, un occhio alla striscia di cielo che si vedeva in cima per scorgere uno scorcio, un filo di tetto, vedere cosa c'è al di là. Ancora più su. Così ad ogni piazza, ogni slargo, ogni salita, la soddisfazione di scorgere una terrazza minuscola, incastonata tra quattro palazzine di altezze diverse, con qualche pianta un dondolo e i rampicanti che si sono impossessati della ringhiera. Che gioia i tetti, questa volta allineati come tanti soldatini sull'attenti, che si vedono dando le spalle a palazzo Ducale, in piazza Matteotti. Vere e proprie foreste coltivate dalla terrazza di un attico, tende a righe, antenne di qualche televisione che chissà chi starà guardando. C'è così tanta vita tra i tetti di Genova. E immaginarla dà un senso di energia, di essere parte di qualcosa, di un'umanità che sotto quei tetti pulsa e freme.