martedì 16 dicembre 2014

E' Natale e io corro

-L'adorabile foto è di Gail Albert Halaban-

Al liceo studiando Bergson ho sempre trovato geniale la divisione tra tempo esteriore e tempo interiore, lui e la sua precisione così francese a spiegarci con estrema razionalità e filosofia che il tempo scandito dalle lancette dell'orologio è ben diverso da quello percepito da ogni individuo. 


D'accordissimo. 

Al tempo però fissavo solo con impazienza il display del mio telefonino pregando che passasse in fretta l'ora di chimica perché non capivo una mazza. 


Tutto qui. 

Crescendo ho pensato come Bergson non abbia mai parlato, però, di tutto quel tempo vissuto alla rinfusa, senza che passi lentamente né velocemente, nel quale si viene sballottati qua e là tipo la giostra delle tazze a Disneyland, peraltro con la stessa sensazione di vomito imminente. 
Quel tempo in cui in un attimo ti ritrovi da una città ad un'altra senza ricordare il sedile del treno che hai appena preso, perché eri troppo occupata a ripassare per quell'esame che hai tra due gior no, in realtà hai passato metà del tempo a sbirciare nelle case altrui, quelle affacciate sulla ferrovia, sempre le stesse in cui sbirci ad ogni viaggio, una volta con le tende scostate e la luce gialla del lampadario alla sera, all'ora di cena, e una volta con la signora in grembiule che spazza il poggiolo. 



Bergson non ha mai parlato del tempo che passa veloce non perché sia necessariamente un bel momento, ma perché il cervello non riesce a soffermarsi, a capirlo, a gustarlo. 

Il cervello diciamo che non riesce punto. 
E allora la vita scorre un po' così, in quella non-beatitudine di chi non capisce, di chi non afferra quell'unico particolare che potrebbe far capire tutto. (The story of our lives, insomma) 
Scorre che ieri ero in una farmacia corsa a blaterare qualcosa in francese per avere una pomata contro le punture di medusa e domani è Natale, un semestre di università è passato e torno a dare esami come se nell'ultimo anno e mezzo non avessi fatto altro e invece ho fatto tutt'altro, e nei ritagli di tempo bazzico per negozi scintillanti e orrendamente addobbati cercando regali, tra le facce perplesse e spaesate degli uomini e quelle rapaci e pronte ad accaparrarsi l'ultima occasione delle donne. 
Menomale che esistono, gli uomini sotto Natale. 

Quasi tremano nelle Feltrinelli, da Zara, da Tiger, nascondendosi tra gli scaffali come i cani durante un temporale, con quell'occhio piegato all'ingiù dei bassethound e le mani intrecciate dietro la schiena, a volte con qualche sacchetto rosso e oro in mano, chiedendosi cosa diamine si cucinerà il quel fornetto del reparto smalti, forse un toast formato mignon, quanti brillantini debba avere un'agenda per piacere alla fidanzata o di che colore debbano essere i cuori del plaid di pile per la madre. 
Un po' tristi un po' con il mio sguardo del liceo nell'ora di chimica, con quella tipica espressione da "speriamo passi presto".
Menomale che esistono perché sono solidale con loro.
Ma per poco.
Perché sono già sulla cyclette a sudare via la focaccia del pomeriggio. 
E' Natale e io corro. 

E' Natale e io corro

-L'adorabile foto è di Gail Albert Halaban-

Al liceo studiando Bergson ho sempre trovato geniale la divisione tra tempo esteriore e tempo interiore, lui e la sua precisione così francese a spiegarci con estrema razionalità e filosofia che il tempo scandito dalle lancette dell'orologio è ben diverso da quello percepito da ogni individuo. 


D'accordissimo. 

Al tempo però fissavo solo con impazienza il display del mio telefonino pregando che passasse in fretta l'ora di chimica perché non capivo una mazza. 


Tutto qui. 

Crescendo ho pensato come Bergson non abbia mai parlato, però, di tutto quel tempo vissuto alla rinfusa, senza che passi lentamente né velocemente, nel quale si viene sballottati qua e là tipo la giostra delle tazze a Disneyland, peraltro con la stessa sensazione di vomito imminente. 
Quel tempo in cui in un attimo ti ritrovi da una città ad un'altra senza ricordare il sedile del treno che hai appena preso, perché eri troppo occupata a ripassare per quell'esame che hai tra due gior no, in realtà hai passato metà del tempo a sbirciare nelle case altrui, quelle affacciate sulla ferrovia, sempre le stesse in cui sbirci ad ogni viaggio, una volta con le tende scostate e la luce gialla del lampadario alla sera, all'ora di cena, e una volta con la signora in grembiule che spazza il poggiolo. 



Bergson non ha mai parlato del tempo che passa veloce non perché sia necessariamente un bel momento, ma perché il cervello non riesce a soffermarsi, a capirlo, a gustarlo. 

Il cervello diciamo che non riesce punto. 
E allora la vita scorre un po' così, in quella non-beatitudine di chi non capisce, di chi non afferra quell'unico particolare che potrebbe far capire tutto. (The story of our lives, insomma) 
Scorre che ieri ero in una farmacia corsa a blaterare qualcosa in francese per avere una pomata contro le punture di medusa e domani è Natale, un semestre di università è passato e torno a dare esami come se nell'ultimo anno e mezzo non avessi fatto altro e invece ho fatto tutt'altro, e nei ritagli di tempo bazzico per negozi scintillanti e orrendamente addobbati cercando regali, tra le facce perplesse e spaesate degli uomini e quelle rapaci e pronte ad accaparrarsi l'ultima occasione delle donne. 
Menomale che esistono, gli uomini sotto Natale. 

Quasi tremano nelle Feltrinelli, da Zara, da Tiger, nascondendosi tra gli scaffali come i cani durante un temporale, con quell'occhio piegato all'ingiù dei bassethound e le mani intrecciate dietro la schiena, a volte con qualche sacchetto rosso e oro in mano, chiedendosi cosa diamine si cucinerà il quel fornetto del reparto smalti, forse un toast formato mignon, quanti brillantini debba avere un'agenda per piacere alla fidanzata o di che colore debbano essere i cuori del plaid di pile per la madre. 
Un po' tristi un po' con il mio sguardo del liceo nell'ora di chimica, con quella tipica espressione da "speriamo passi presto".
Menomale che esistono perché sono solidale con loro.
Ma per poco.
Perché sono già sulla cyclette a sudare via la focaccia del pomeriggio. 
E' Natale e io corro.