domenica 25 gennaio 2015

"Charlie?" ovvero qualche bilancio


Non che di solito abbia un filo conduttore nella mia testa. 
Ma stavolta ho aperto blogger un po' per noia, un po' perché ultimamente chiunque è diventato opinionista del web e io non ho più detto una mazza, un po' perché in questa domenica sera ventosa e silenziosa l'alternativa sarebbe stato il candeggiare i bordi della mia finestra, intrisi di una muffa pelosetta e sulle 50 sfumature di grigio. 
Chi ha il sadomaso, chi i parassiti. 
Quindi. La muffa sta ancora lì.
E le mie dita qui, un po' incerte, con l'indice che va a battere ripetutamente sul tasto canc.
Ma mi sembrava un po' d'obbligo, questa cosa di tirare le somme. 
Tirare le somme del tempo che passa, della libertà d'espressione, di questo inverno bislacco, dell'anno appena trascorso (sì, ci ho messo un po' ad elaborare il bilancio e lo snocciolo il 25gennaio) e di questo nuovo ridente 2015 che si è appena aperto davanti a noi. 
Sarà che il passaggio da quel "14" a quel "15" a me ricorda tanto quello tra i 14 e i 15 anni, quando ero ancora digiuna delle tonnellate di sigarette fumate sino a qualche anno fa, quando i miei capelli erano ancora vergini di tinte e soprattutto c'erano (spoiler: non sono ancora pelata, li ho solo tagliati), quando non avevo preso più chili di una gravidanza in cinque mesi, quando ancora pensavo che la professione che avrei voluto intraprendere sin da pargola fosse un misto tra Tiziano Terzani e Bob Woodward e invece i tempi sono un pelino cambiati, sarà che ero anche una fulgida stella nell'universo degli adolescenti in crisi ma in fondo teneramente piena di speranze, ma quest'anno mi ricorda proprio quel periodo.
E no, non perché ho deciso di riesumare i jeans a zampa d'elefante della Fornarina
Ma perché questo passaggio 14-15 è pieno delle stesse speranze, mutate, stropicciate, ridimensionate, forse parecchio disilluse, ma pur sempre speranze. 
Questo passaggio è avvenuto senza troppe aspettative, senza grandi preparativi.
Senza perizomi rossi.
Senza buttare dalla finestra qualcosa di vecchio.
Senza la frenesia che precede l'organizzazione di un cambiamento epocale.
Ma con qualche amico in più, un po' di focaccia e dei calici da vino da sedici euro.
Eppure qualcosa si deve essere mosso.
Qualcosa proprio lì, tra le costole, tra lo sterno e il fegato, in mezzo ai reni. 
Qualcosa di pesante, intricato ed annodato.
Che si è spostato altrove. (Forse sui fianchi?)
Si è mosso e ha emesso una risata.

Nel frattempo c'è stata Frida, qualche rigurgito di una signorina mora sul mio maglione, del cibo cinese, un gratta e vinci, qualche crisi di nervi, qualche chilo di peperonata (toglietemi tutto, ma non il pepper), qualche sogno premonitore, un grembiule, il miracolo del pane che lievita, un 36, un po' di Messico, un po' di Ungheria, un po' di Modena e un po' di Polonia, senza nemmeno spostarsi. 
E c'è stato Charlie. 
Che per me Charlie era pelato e con una maglietta gialla.
E invece Charlie con l'accento sulla "i" è entrato con prorompenza nelle nostre vite, proprio il giorno in cui il mondo ha scoperto la libertà d'espressione.
In tutto questo ho solo una domanda: poniamo che io, indossando i colori del Genoa e con una trombetta da stadio in mano mi rechi, appunto, allo stadio. Al derby. All'uscita della curva sud. (N.B. Ho scelto Sampdoria e Genoa solo perché vagamente ne ricordo i colori e i giocatori, non per razzismo calcistico). E con il mio migliore estro artistico disegni un cartello, che espongo ben in evidenza in mano, con un'immagine stilizzata di un nuovo calciatore e la didascalia "Eto sterco". E con suddetto cartello tra le mie manine sante, mi ponga ben di fronte agli ultras ripetendogli anche a voce il concetto di cui sopra. 
Possiamo ragionevolmente supporre che nel migliore dei casi io vinca uno stupro e nel peggiore qualche pietrata in mezzo agli occhi? Possiamo.
Ora. 
La domanda è la seguente: sono loro degli animali senza pietà o io un pochino demente e provocatoria, o entrambi? E' stata, la mia, libertà di espressione? 

La posso piantare?
Sì. 



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"Charlie?" ovvero qualche bilancio


Non che di solito abbia un filo conduttore nella mia testa. 
Ma stavolta ho aperto blogger un po' per noia, un po' perché ultimamente chiunque è diventato opinionista del web e io non ho più detto una mazza, un po' perché in questa domenica sera ventosa e silenziosa l'alternativa sarebbe stato il candeggiare i bordi della mia finestra, intrisi di una muffa pelosetta e sulle 50 sfumature di grigio. 
Chi ha il sadomaso, chi i parassiti. 
Quindi. La muffa sta ancora lì.
E le mie dita qui, un po' incerte, con l'indice che va a battere ripetutamente sul tasto canc.
Ma mi sembrava un po' d'obbligo, questa cosa di tirare le somme. 
Tirare le somme del tempo che passa, della libertà d'espressione, di questo inverno bislacco, dell'anno appena trascorso (sì, ci ho messo un po' ad elaborare il bilancio e lo snocciolo il 25gennaio) e di questo nuovo ridente 2015 che si è appena aperto davanti a noi. 
Sarà che il passaggio da quel "14" a quel "15" a me ricorda tanto quello tra i 14 e i 15 anni, quando ero ancora digiuna delle tonnellate di sigarette fumate sino a qualche anno fa, quando i miei capelli erano ancora vergini di tinte e soprattutto c'erano (spoiler: non sono ancora pelata, li ho solo tagliati), quando non avevo preso più chili di una gravidanza in cinque mesi, quando ancora pensavo che la professione che avrei voluto intraprendere sin da pargola fosse un misto tra Tiziano Terzani e Bob Woodward e invece i tempi sono un pelino cambiati, sarà che ero anche una fulgida stella nell'universo degli adolescenti in crisi ma in fondo teneramente piena di speranze, ma quest'anno mi ricorda proprio quel periodo.
E no, non perché ho deciso di riesumare i jeans a zampa d'elefante della Fornarina
Ma perché questo passaggio 14-15 è pieno delle stesse speranze, mutate, stropicciate, ridimensionate, forse parecchio disilluse, ma pur sempre speranze. 
Questo passaggio è avvenuto senza troppe aspettative, senza grandi preparativi.
Senza perizomi rossi.
Senza buttare dalla finestra qualcosa di vecchio.
Senza la frenesia che precede l'organizzazione di un cambiamento epocale.
Ma con qualche amico in più, un po' di focaccia e dei calici da vino da sedici euro.
Eppure qualcosa si deve essere mosso.
Qualcosa proprio lì, tra le costole, tra lo sterno e il fegato, in mezzo ai reni. 
Qualcosa di pesante, intricato ed annodato.
Che si è spostato altrove. (Forse sui fianchi?)
Si è mosso e ha emesso una risata.

Nel frattempo c'è stata Frida, qualche rigurgito di una signorina mora sul mio maglione, del cibo cinese, un gratta e vinci, qualche crisi di nervi, qualche chilo di peperonata (toglietemi tutto, ma non il pepper), qualche sogno premonitore, un grembiule, il miracolo del pane che lievita, un 36, un po' di Messico, un po' di Ungheria, un po' di Modena e un po' di Polonia, senza nemmeno spostarsi. 
E c'è stato Charlie. 
Che per me Charlie era pelato e con una maglietta gialla.
E invece Charlie con l'accento sulla "i" è entrato con prorompenza nelle nostre vite, proprio il giorno in cui il mondo ha scoperto la libertà d'espressione.
In tutto questo ho solo una domanda: poniamo che io, indossando i colori del Genoa e con una trombetta da stadio in mano mi rechi, appunto, allo stadio. Al derby. All'uscita della curva sud. (N.B. Ho scelto Sampdoria e Genoa solo perché vagamente ne ricordo i colori e i giocatori, non per razzismo calcistico). E con il mio migliore estro artistico disegni un cartello, che espongo ben in evidenza in mano, con un'immagine stilizzata di un nuovo calciatore e la didascalia "Eto sterco". E con suddetto cartello tra le mie manine sante, mi ponga ben di fronte agli ultras ripetendogli anche a voce il concetto di cui sopra. 
Possiamo ragionevolmente supporre che nel migliore dei casi io vinca uno stupro e nel peggiore qualche pietrata in mezzo agli occhi? Possiamo.
Ora. 
La domanda è la seguente: sono loro degli animali senza pietà o io un pochino demente e provocatoria, o entrambi? E' stata, la mia, libertà di espressione? 

La posso piantare?
Sì. 



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