martedì 31 marzo 2015

E tu, da che parte stai?


La perfezione ha un non so che di inquietante. 
Un po' come il corpo di Christian Bale in American Psycho, un Ken splendido splendente prima che quella tuttofare di Barbie gli rovinasse la vita. 
La perfezione ha quel fascino morboso di un incidente stradale per cui rallenti fin quasi a tamponare la macchina davanti solo per vedere quello spiraglio di tragedia, quel rivolo di sangue, quel casco frantumato sull'asfalto. 
La perfezione suscita l'invidia rovente di chi invece proprio non ci arriva. 
La perfezione ha quel ruolo di linea di demarcazione tra quello che si è e quella roba bellissima che si potrebbe essere, avere, fare, dire, sembrare, apparire, metteteci un verbo a caso.
E allora via, bianco e nero, bello e brutto, la vita si divide in una -appunto perfetta- ottica dicotomica e o sei di qui o sei di lì. 
Un muro di Berlino emozionale per cui le sfumature non esistono. 

Che poi la quotidianità sarebbe così facile dividerla in giusto e sbagliato.
Vero e falso.
Bello e brutto. 
Amico e nemico. 
Che poi uno tende un po' a farla, sta linea a mò di tabella Excel. 
Di qui quello che sì, sta con me. 
Di lì quello che, diamine, non va bene, non è giusto, non è vero. 
Chi mangia carne di là (scusate, è che sotto Pasqua la crociata dell'agnello va di moda, e se lo ricorda anche la Brambilla), chi non la mangia sta con me. 
Chi tifa e chi no, chi è religioso e chi è ateo, chi crede nel nucleare e chi no, chi ha paura dei musulmani (?) e chi no. 
Non c'è spazio per altro. 
Quello che rimane tra le pieghe del bianco e del nero sparisce, inglobato nelle due fazioni ben differenziate e opposte, senza dialogo, senza possibilità di discussione. 
Basta scegliere da che parte stare. 
E poi via, si imparano due o tre regole sulla propria squadra, e si gioca. 
Colpi bassi inclusi. 
Una continua lotta dove il ring ha perso qualsiasi forma. 
Senza spazio né tempo, ormai è così facile dire la propria. 
Lo sto facendo pure io adesso, e figurarsi. 

Eppure tutto questo è inquietante. 
Quasi quanto un centinaio di commenti sotto alla foto di un cane riportato al canile da una padrona che "ha scoperto di essere incinta". 
Tanti, gli auguri alla neomamma. 
"Abortisci"
"Spero che tuo figlio ti sputa"
"Stessa fine dovrai fare, tuo figlio ti abbandonerà e morirai sola"
"Un altra che si fa mettere in cinta e spero che muore"
E dulcis in fundo "ci puo sempre essere caduta spontanea dalle scale"
Non so se il nesso tra la consecutio temporum e la violenza verbale sia scientificamente provato, ma come ricerca sociologica fa parecchio paura. 
Noi e voi.
I buoni e i cattivi. 
Il bene e il male. 
Tutto il resto è adrenalina.

(Di sicuro non grammatica)



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E tu, da che parte stai?


La perfezione ha un non so che di inquietante. 
Un po' come il corpo di Christian Bale in American Psycho, un Ken splendido splendente prima che quella tuttofare di Barbie gli rovinasse la vita. 
La perfezione ha quel fascino morboso di un incidente stradale per cui rallenti fin quasi a tamponare la macchina davanti solo per vedere quello spiraglio di tragedia, quel rivolo di sangue, quel casco frantumato sull'asfalto. 
La perfezione suscita l'invidia rovente di chi invece proprio non ci arriva. 
La perfezione ha quel ruolo di linea di demarcazione tra quello che si è e quella roba bellissima che si potrebbe essere, avere, fare, dire, sembrare, apparire, metteteci un verbo a caso.
E allora via, bianco e nero, bello e brutto, la vita si divide in una -appunto perfetta- ottica dicotomica e o sei di qui o sei di lì. 
Un muro di Berlino emozionale per cui le sfumature non esistono. 

Che poi la quotidianità sarebbe così facile dividerla in giusto e sbagliato.
Vero e falso.
Bello e brutto. 
Amico e nemico. 
Che poi uno tende un po' a farla, sta linea a mò di tabella Excel. 
Di qui quello che sì, sta con me. 
Di lì quello che, diamine, non va bene, non è giusto, non è vero. 
Chi mangia carne di là (scusate, è che sotto Pasqua la crociata dell'agnello va di moda, e se lo ricorda anche la Brambilla), chi non la mangia sta con me. 
Chi tifa e chi no, chi è religioso e chi è ateo, chi crede nel nucleare e chi no, chi ha paura dei musulmani (?) e chi no. 
Non c'è spazio per altro. 
Quello che rimane tra le pieghe del bianco e del nero sparisce, inglobato nelle due fazioni ben differenziate e opposte, senza dialogo, senza possibilità di discussione. 
Basta scegliere da che parte stare. 
E poi via, si imparano due o tre regole sulla propria squadra, e si gioca. 
Colpi bassi inclusi. 
Una continua lotta dove il ring ha perso qualsiasi forma. 
Senza spazio né tempo, ormai è così facile dire la propria. 
Lo sto facendo pure io adesso, e figurarsi. 

Eppure tutto questo è inquietante. 
Quasi quanto un centinaio di commenti sotto alla foto di un cane riportato al canile da una padrona che "ha scoperto di essere incinta". 
Tanti, gli auguri alla neomamma. 
"Abortisci"
"Spero che tuo figlio ti sputa"
"Stessa fine dovrai fare, tuo figlio ti abbandonerà e morirai sola"
"Un altra che si fa mettere in cinta e spero che muore"
E dulcis in fundo "ci puo sempre essere caduta spontanea dalle scale"
Non so se il nesso tra la consecutio temporum e la violenza verbale sia scientificamente provato, ma come ricerca sociologica fa parecchio paura. 
Noi e voi.
I buoni e i cattivi. 
Il bene e il male. 
Tutto il resto è adrenalina.

(Di sicuro non grammatica)



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