venerdì 6 luglio 2012

Addii e mancanze

Stanotte penso di aver passato l'ultima notte nel mio monoloculo di Milano. Qui a fianco un angolo di quella che è stata la mia spartana cucina insieme al Danno [ Per scoprire chi è il danno, se ti sei appena sintonizzato, leggi QUI ] per più o meno un anno della mia futile esistenza. Mancavano le tende, a quell'epoca, ora ci sono, lo giuro. Per il resto, sì, è vuotina. Ma il punto non è quello. Il punto è che tra una settimana impacchetterò quel poco di mio che c'è rimasto e ficcherò praticamente tutto l'ultimo anno della mia vita in qualche scatolone e due occhiate rapide finali alle stanze.
Detesto gli arrivederci, i saluti, figuriamoci gli addii. Odio salutare, dover lasciare indietro, dimenticare, lasciare che il tempo offuschi i ricordi e sfumi i contorni delle cose. Ho lasciato un anno fa l'appartamento in cui ho vissuto i primi due anni di università e ora se chiudo gli occhi ricordo ancora bene alcuni odori, alcuni angoli, ma so che qualcosa, piano piano, sta sfumando e perderò irrimediabilmente dettagli fondamentali. Ma insomma, tutto cambia nella vita? E ora, dopo quello vecchio, tocca abbandonare questo.
Il mio terzo anno di università è perfettamente richiudibile dentro un bilocale con cucina, balcone, bagnetto e camera. Calza alla perfezione. Credo inizierò a stendere un patetico elenco random di tutto quello che potrei etichettare e catalogare per stiparlo in quelle mura.

Le innumerevoli, nebbiose e freschine serate in cui io e il Danno abbiamo mangiato cinese recuperato in rosticceria sotto casa, per poi riguardare "Tu la conosci Claudia" e ripetere le battute a memoria, oppure piagnucolare con "Ho voglia di te", che ci ricordava tremendamente la nostra adolescenza (Sì, ai tempi mi era piaciuto, eqquindi?! ).

Le innumerevoli notti passate insonni, a rigirarsi nel letto con gli occhi sbarrati per i motivi più disparati, i tappi nelle orecchie, il rumore della strada, lo sciacquone del cesso che non si schiaccia con un bottone ma che si gira con una manovella.

I pranzi e le cene cucinate nel loculo, lasciando odore di porro per tutta la casa ( un metro per due, credo ), i tentativi di sushi con Lui, i risotti alla zucca della Knor con Lei, le domeniche sere ad aspettarla, il gossip riassuntivo della settimana, le sue cicche di sigarette lasciate ovunque.

La mia fobia del gas lasciato aperto e il mio ricontrollare i fornelli ( forse questo lo lascerei volentieri andare ), il suo prendermi per il culo.

Il giapponese sotto casa e le volte in cui a pranzo mi sono sentita libera di andarci a pranzare da sola, le cene sushi con Lui o le abbuffate sushi e fritto con Lei.

Le innumerevoli e interminabili chiamate Skype con Lui,a orari improponibili, le litigate con uno schermo, i pugni sbattuti sul tavolo e le urla che avranno segnato la vicina per sempre. Il nostro anniversario passato davanti a Skype, Lui pranzo e io cena.

La partenza e il ritorno da Londra, il mio primo viaggio da sola, libera, spogliata della maggior parte dei miei pudori, delle mie ansie e delle mie paranoie.

Le lenzuola zebrate che sanno di noi, le innumerevoli pagine studiate su quel tavolo abbarbicata alla sedia, gli infiniti caffè con il latte freddo o la panna, i miei tentativi di andare in palestra a fare pilates.

Le serate, il ritornare a casa scalza dopo aver tolto i tacche nel cortile, il mal di testa, i raffreddori, il freddo, la nebbia, il caldo quando si scioglie l'asfalto, le colazioni di fretta e con lo stomaco annodato prima di ogni maledetto esame. Lo studio silenzioso mio e del danno in sessione d'esame.

Innumerevoli puntate di serie americane, di Cortesie per gli Ospiti, di cucina con Buddy, di Malattie imbarazzanti. Decine di telefonate in lacrime ai Miei, decine di incazzature.

La volta in cui ho spostato il materasso urlando, le mie lacrime ranicchiata sul coperchio del wc, la pioggia, la grandine. La portinaia, la Sabi. Gli operai costanti, il supermercato sotto casa, il signore che vende i giornali, sempre gli stessi, sempre con lo stesso sorriso stampato in faccia e il "Ciao bella", a cui ho comprato un paio di giornali sorridendo.

Le cene cucinate da me e cucinate da Lui, antipasti di serate chiuse, piccole, semplici, in quel bilocale. Tutto quello quelle mura hanno sentito, e che non racconteranno a nessuno.

Un altro anno della mia vita vissuto così, riflettendoci troppo su come al mio solito, overanalysing. Un altro anno scivolato sulla mia pelle senza che potessi premere per un attimo il tasto pausa. Impacchettato e portato via. Ma un pezzo di quell'anno rimarrà sempre in Corso Genova 25.

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Addii e mancanze

Stanotte penso di aver passato l'ultima notte nel mio monoloculo di Milano. Qui a fianco un angolo di quella che è stata la mia spartana cucina insieme al Danno [ Per scoprire chi è il danno, se ti sei appena sintonizzato, leggi QUI ] per più o meno un anno della mia futile esistenza. Mancavano le tende, a quell'epoca, ora ci sono, lo giuro. Per il resto, sì, è vuotina. Ma il punto non è quello. Il punto è che tra una settimana impacchetterò quel poco di mio che c'è rimasto e ficcherò praticamente tutto l'ultimo anno della mia vita in qualche scatolone e due occhiate rapide finali alle stanze.
Detesto gli arrivederci, i saluti, figuriamoci gli addii. Odio salutare, dover lasciare indietro, dimenticare, lasciare che il tempo offuschi i ricordi e sfumi i contorni delle cose. Ho lasciato un anno fa l'appartamento in cui ho vissuto i primi due anni di università e ora se chiudo gli occhi ricordo ancora bene alcuni odori, alcuni angoli, ma so che qualcosa, piano piano, sta sfumando e perderò irrimediabilmente dettagli fondamentali. Ma insomma, tutto cambia nella vita? E ora, dopo quello vecchio, tocca abbandonare questo.
Il mio terzo anno di università è perfettamente richiudibile dentro un bilocale con cucina, balcone, bagnetto e camera. Calza alla perfezione. Credo inizierò a stendere un patetico elenco random di tutto quello che potrei etichettare e catalogare per stiparlo in quelle mura.

Le innumerevoli, nebbiose e freschine serate in cui io e il Danno abbiamo mangiato cinese recuperato in rosticceria sotto casa, per poi riguardare "Tu la conosci Claudia" e ripetere le battute a memoria, oppure piagnucolare con "Ho voglia di te", che ci ricordava tremendamente la nostra adolescenza (Sì, ai tempi mi era piaciuto, eqquindi?! ).

Le innumerevoli notti passate insonni, a rigirarsi nel letto con gli occhi sbarrati per i motivi più disparati, i tappi nelle orecchie, il rumore della strada, lo sciacquone del cesso che non si schiaccia con un bottone ma che si gira con una manovella.

I pranzi e le cene cucinate nel loculo, lasciando odore di porro per tutta la casa ( un metro per due, credo ), i tentativi di sushi con Lui, i risotti alla zucca della Knor con Lei, le domeniche sere ad aspettarla, il gossip riassuntivo della settimana, le sue cicche di sigarette lasciate ovunque.

La mia fobia del gas lasciato aperto e il mio ricontrollare i fornelli ( forse questo lo lascerei volentieri andare ), il suo prendermi per il culo.

Il giapponese sotto casa e le volte in cui a pranzo mi sono sentita libera di andarci a pranzare da sola, le cene sushi con Lui o le abbuffate sushi e fritto con Lei.

Le innumerevoli e interminabili chiamate Skype con Lui,a orari improponibili, le litigate con uno schermo, i pugni sbattuti sul tavolo e le urla che avranno segnato la vicina per sempre. Il nostro anniversario passato davanti a Skype, Lui pranzo e io cena.

La partenza e il ritorno da Londra, il mio primo viaggio da sola, libera, spogliata della maggior parte dei miei pudori, delle mie ansie e delle mie paranoie.

Le lenzuola zebrate che sanno di noi, le innumerevoli pagine studiate su quel tavolo abbarbicata alla sedia, gli infiniti caffè con il latte freddo o la panna, i miei tentativi di andare in palestra a fare pilates.

Le serate, il ritornare a casa scalza dopo aver tolto i tacche nel cortile, il mal di testa, i raffreddori, il freddo, la nebbia, il caldo quando si scioglie l'asfalto, le colazioni di fretta e con lo stomaco annodato prima di ogni maledetto esame. Lo studio silenzioso mio e del danno in sessione d'esame.

Innumerevoli puntate di serie americane, di Cortesie per gli Ospiti, di cucina con Buddy, di Malattie imbarazzanti. Decine di telefonate in lacrime ai Miei, decine di incazzature.

La volta in cui ho spostato il materasso urlando, le mie lacrime ranicchiata sul coperchio del wc, la pioggia, la grandine. La portinaia, la Sabi. Gli operai costanti, il supermercato sotto casa, il signore che vende i giornali, sempre gli stessi, sempre con lo stesso sorriso stampato in faccia e il "Ciao bella", a cui ho comprato un paio di giornali sorridendo.

Le cene cucinate da me e cucinate da Lui, antipasti di serate chiuse, piccole, semplici, in quel bilocale. Tutto quello quelle mura hanno sentito, e che non racconteranno a nessuno.

Un altro anno della mia vita vissuto così, riflettendoci troppo su come al mio solito, overanalysing. Un altro anno scivolato sulla mia pelle senza che potessi premere per un attimo il tasto pausa. Impacchettato e portato via. Ma un pezzo di quell'anno rimarrà sempre in Corso Genova 25.

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