giovedì 22 marzo 2012

Hamburgerlandia

Fa tanto "Babe va in città". In effetti mi sento un pò Babe. Maialino coraggioso che dalla tranquilla fattoria si avventura nella grande città. Che poi la città sia Albany, piiiiiiccola capitale dello stato di New York (manco voi lo sapevate, deh?), poco importa. Che oggi abbia intravisto la simpatica tizia dell'altro corso che mi ha fottuto il posto a San Francisco, nemmeno. Perchè, cari amici tutti, parto. Cioè, non ora. Nè domani. A fine agosto, si, ma a me a giorni alterni pare di dover prendere baracca e burattini e traslarmi dall'altra parte dell'oceano.
Da vera maniaca del controllo e un tantino ossessivo-compulsiva, già mi sono fatta un giro sugli orari dei corsi del fall semester (altro che qui, che gli orari dei corsi li indovini il giorno prima al totocalcio), i voli, i possibili alloggi. Ogni cellula del mio corpo freme e vorrebbe sapere tutto subito, organizzare tutto all'istante e avere la tranquillità di aver fatto tutto alla perfezione. Perchè se avete avuto a che fare con Hamburgerlandia nella vostra vita sapete quanto i suoi simpatici abitanti siano una delle popolazioni più esigenti nell'universo conosciuto. Prima di partire si assicurano che tu non abbia partecipato al genocidio nazista del '45, che non partecipi ad attività terroristiche e che non contribuisci al commercio nero di bambini. Come? Chiedendotelo. Dei geni, in pratica. Voglio trovare quello che scrive sì.
Una volta messo piede sul suolo del Nuovo Mondo passi circa otto anni in coda alla dogana, dove ti chiedono le cose più svariate e senza senso, come che mestieri fanno i tuoi, chi sei venuto a trovare e perchè, quanti soldi ti sei portato e il tuo colore preferito. No, l'ultima non è vera. Le altre purtroppo sì.
Se poi sfortunatamente hai bisogno di un Visto, ti toccheranno appuntamenti frequenti con il consolato americano che riceve una volta ogni martedì dispari del mese, vuole tutti i documenti che la tua anagrafe e la tua banca possono offrirgli e anche un rene. Per sicurezza. Che simpatici. Essere un exchange student non è mai stato così facile.

A parte queste piacevoli operazioni burocratiche, il tempo speso daydreaming è aumentato del duecento percento. Cosa io abbia provato quando ho letto la mail dell'università che mi assegnava la destinazione, non ve lo so spiegare con esattezza. Cioè no, il primo pensiero è stato. "Ma cazzo, non è SF". Ok. Non è proprio l'aneddoto da raccontare ai posteri, lo so. Secondariamente ho chiamato chiunque annunciando la novella e ho atteso che i miei si riprendessero dall'esaurimento (se sopravvivono all'ammontare dei costi, avrò la certezza che sono immortali). Non sapevo nemmeno io se dire che ero felice o no. Fino a quel momento è stato tutto vago, una cosa che poteva succedere come no. Lì era scritto nero su bianco. Con anche un minaccioso: vedi di confermare entro una settimana. Non con queste esatte parole, ma il succo era quello. Insomma, una cosa un pò pressante. Era reale. Lì, che mi fissava. E io fissavo la mail.
Da allora cambio idea ogni dieci secondi, ho confermato dopo tre o quattro giorni sapendo che in fondo sarei partita. La cosa mi terrorizza e mi elettrizza allo stesso tempo. Ho paura che io e le mie paranoie, le mie ansie, non troveremmo il nostro posto in quella cittadina sull'Hudson. Che non ci sentiremo a nostro agio. Dall'altra, sono già con un piede su un aereo. Ogni tanto mi trovo a fare una lista mentale della roba da mettere in valigia, del numero di giacche e di scarpe. Immagino momenti che vivrò, persone che incontrerò, che per ora ancora mancano di volti. Mi focalizzo sui grandi dettagli, in pratica. Vivo di mille sensazioni contrastanti, che vanno dalla gioia infinita alla disperazione mentale tanto che ho paura che possa esplodere. I saluti in aereoporto già mi straziano il cuore. Detesto i saluti. Non riesco mai a staccarmi, ogni gesto non può essere l'ultimo. Maledetta sensibilità mia.
Cosa significherà tutto questo per me, non ve lo so dire. Non so nemmeno cosa significhi adesso. Non so nemmeno come vivere la mia futura partenza. Per ora mi limito al mio daydreaming.

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Hamburgerlandia

Fa tanto "Babe va in città". In effetti mi sento un pò Babe. Maialino coraggioso che dalla tranquilla fattoria si avventura nella grande città. Che poi la città sia Albany, piiiiiiccola capitale dello stato di New York (manco voi lo sapevate, deh?), poco importa. Che oggi abbia intravisto la simpatica tizia dell'altro corso che mi ha fottuto il posto a San Francisco, nemmeno. Perchè, cari amici tutti, parto. Cioè, non ora. Nè domani. A fine agosto, si, ma a me a giorni alterni pare di dover prendere baracca e burattini e traslarmi dall'altra parte dell'oceano.
Da vera maniaca del controllo e un tantino ossessivo-compulsiva, già mi sono fatta un giro sugli orari dei corsi del fall semester (altro che qui, che gli orari dei corsi li indovini il giorno prima al totocalcio), i voli, i possibili alloggi. Ogni cellula del mio corpo freme e vorrebbe sapere tutto subito, organizzare tutto all'istante e avere la tranquillità di aver fatto tutto alla perfezione. Perchè se avete avuto a che fare con Hamburgerlandia nella vostra vita sapete quanto i suoi simpatici abitanti siano una delle popolazioni più esigenti nell'universo conosciuto. Prima di partire si assicurano che tu non abbia partecipato al genocidio nazista del '45, che non partecipi ad attività terroristiche e che non contribuisci al commercio nero di bambini. Come? Chiedendotelo. Dei geni, in pratica. Voglio trovare quello che scrive sì.
Una volta messo piede sul suolo del Nuovo Mondo passi circa otto anni in coda alla dogana, dove ti chiedono le cose più svariate e senza senso, come che mestieri fanno i tuoi, chi sei venuto a trovare e perchè, quanti soldi ti sei portato e il tuo colore preferito. No, l'ultima non è vera. Le altre purtroppo sì.
Se poi sfortunatamente hai bisogno di un Visto, ti toccheranno appuntamenti frequenti con il consolato americano che riceve una volta ogni martedì dispari del mese, vuole tutti i documenti che la tua anagrafe e la tua banca possono offrirgli e anche un rene. Per sicurezza. Che simpatici. Essere un exchange student non è mai stato così facile.

A parte queste piacevoli operazioni burocratiche, il tempo speso daydreaming è aumentato del duecento percento. Cosa io abbia provato quando ho letto la mail dell'università che mi assegnava la destinazione, non ve lo so spiegare con esattezza. Cioè no, il primo pensiero è stato. "Ma cazzo, non è SF". Ok. Non è proprio l'aneddoto da raccontare ai posteri, lo so. Secondariamente ho chiamato chiunque annunciando la novella e ho atteso che i miei si riprendessero dall'esaurimento (se sopravvivono all'ammontare dei costi, avrò la certezza che sono immortali). Non sapevo nemmeno io se dire che ero felice o no. Fino a quel momento è stato tutto vago, una cosa che poteva succedere come no. Lì era scritto nero su bianco. Con anche un minaccioso: vedi di confermare entro una settimana. Non con queste esatte parole, ma il succo era quello. Insomma, una cosa un pò pressante. Era reale. Lì, che mi fissava. E io fissavo la mail.
Da allora cambio idea ogni dieci secondi, ho confermato dopo tre o quattro giorni sapendo che in fondo sarei partita. La cosa mi terrorizza e mi elettrizza allo stesso tempo. Ho paura che io e le mie paranoie, le mie ansie, non troveremmo il nostro posto in quella cittadina sull'Hudson. Che non ci sentiremo a nostro agio. Dall'altra, sono già con un piede su un aereo. Ogni tanto mi trovo a fare una lista mentale della roba da mettere in valigia, del numero di giacche e di scarpe. Immagino momenti che vivrò, persone che incontrerò, che per ora ancora mancano di volti. Mi focalizzo sui grandi dettagli, in pratica. Vivo di mille sensazioni contrastanti, che vanno dalla gioia infinita alla disperazione mentale tanto che ho paura che possa esplodere. I saluti in aereoporto già mi straziano il cuore. Detesto i saluti. Non riesco mai a staccarmi, ogni gesto non può essere l'ultimo. Maledetta sensibilità mia.
Cosa significherà tutto questo per me, non ve lo so dire. Non so nemmeno cosa significhi adesso. Non so nemmeno come vivere la mia futura partenza. Per ora mi limito al mio daydreaming.

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