mercoledì 6 febbraio 2013

Assenze fisiche e mentali


Un mese e qualche spicciolo da quando ho rimesso piede in suolo italiano e ancora ho un sentimento dolceamaro, come se da una parte ancora aspettassi il giorno in cui riprenderò quell'aereo, quel pullman e mi farò scaricare di nuovo alla stazione del pullman di Albany.
Sapete che sono una persona malinconica, che vive di ricordi, magari una manciata di rimorsi ma davvero pochi rimpianti.

In tutto questo Marina é tornata lì, ogni giorno posso vedere come se la cava senza di noi, senza di me, in quel dormitorio dove qualcuno dorme nel mio letto, ha appeso foto sul mio muro, sta impregnando la mia stanza di un odore che non é il mio.
Che presuntuoso il genere umano. Quella stanza, prima di me, sarà stata occupata da decine di studenti, eppure la sento mia quasi più di quella di casa.
Quante decisioni, quante chiacchiere, quanti sogni, quante paranoie, quante sveglie stropicciate, quanti notte brave addormentata vestita, quanto odore di cinese é rimasto quella volta che ero talmente stanca che alle cinque del mattino l'ho portato in camera, mentre la mia coinquilina dormiva. [Che coinquilina di merda, che sono]
Quante docce fatte di corsa, dieci minuti prima di uscire, con una mano impegnata a mettermi il mascara e l'altra a reggere il phon.
Quante notti piene di impegno nel trovare la serratura, a farmi shh da sola mentre cercavo di cambiarmi al buio all'alba per non svegliarla.
Quante confidenze, fatte da menti diverse, da culture diverse, che poi alla fine si assomigliano tutte.
Quanti sogni, speranze, paure condivise, sempre le stesse. Che tu abbia vent'anni in Spagna, in Italia, in Irlanda o in Brasile, li porti allo stesso modo.
Dicevo, vedo Ma che mi manda foto su snapchat [la trovata dell'anno] immersa nelle lenzuola zebrate che le ho lasciato, che va alla lezione di zumba a cui andavamo insieme, che beve una birra ad DeJohn's e, anche solo per una giornata, vorrei avere il dono dell'ubiquità. Spostarmi lì, fare finta che nulla sia cambiato, e continuare il semestre nella 306.

Percepisco l'assenza fisica, materiale, dei suoi abbracci, del suo profumo ogni volta che si stava insieme a chiacchierare. Mi manca l'assenza fisica del suono della risata di Sara, della sua energia, del suo saltellare allegro, della sua voglia di fare e di mediare, quella voglia di mediare che a me é sempre mancata, io spirito inquieto e battagliero che non sono altro. Mi manca l'assenza fisica di Marina che é sempre in grado di rassicurarti, di farti sentire che sí, andrà davvero tutto bene. Che tante volte le cose vanno prese alla leggera, cosa che io riesco a fare davvero male. Mi manca l'assenza fisica di Alice e della sua praticità, delle innumerevoli chiacchierate sulle scale, del continuo confronto tra li e qui, tra quello che ci aspettavamo prima di partire e quello che abbiamo davvero trovato qui.
Mi manca il sorriso di Lorraine, quello dolce, quello timido all'inizio ma ripieno di un affetto genuino.
Mi manca anche sentirmi rincoglionita le prime settimane, quando preferivo stare zitta durante una chiacchierata a cena piuttosto che sbagliare il verbo in una frase.
Mi mancano le voci di tutti, gli accenti che ho sempre fatto una fatica boia a capire, i modi di dire.
Degli Stati Uniti mi manca il modo di vivere la vita più rilassato e più impegnato allo stesso tempo.
Mi manca quella noncuranza del giudizio altrui che qui ci impregna fino a farci soffocare.
Mi manca quell'orgoglio di camminare per strada per quello che si é, non per quello che si indossa o per il taglio di capelli.
Mi manca quella voglia di scoprirsi dentro perché del fuori poco interessa.
Mi manca quella curiosità che le persone hanno per il diverso, per il nuovo, lo straniero.
Alla fine cosa é davvero diverso, straniero, nel paese che ha più radici e allo stesso tempo non ne ha?
Nel paese che vive di differenze e le esalta?
Mi manca tantissimo quel genere di gentilezza e cortesia genuine che le persone hanno nel sangue.
Mi manca scontrare qualcuno col carrello da Walmart, chiedere scusa e sentirmi rispondere col sorriso che non importa.
Ho preso per sbaglio il carrello di una signora all'Esselunga a Milano, la settimana scorsa, [vuoto, n.b.] e ha pensato che volessi rubarle l'euro che c'era dentro. Le ho chiesto scusa ridendo, perché avevo fatto confusione.
Lei non mi ha nemmeno guardata, si é ripresa il carrello ed é filata via, convinta che fossi una poco di buono.
Sai com'é, anche il capello tinto di rosso alla sciura milanese un po' sa di pericoloso.
Scusate, questa mi é proprio scappata.
In ogni caso, dicevo che mi manca quel rispetto per il prossimo che qui non abbiamo.
Certo, ogni paese ha le sue piaghe e contraddizioni, l'America ha da fare i conti con tutte le ferite aperte causate dalla lobby delle armi e dal sentimento nazionalista insito nelle tradizioni. Ma le persone hanno allo stesso tempo un senso di solidarietà che qui noi ce lo sogniamo, qui, nel paese dove nessuno fa niente per niente.
Mi manca l'ospitalità che ho ricevuto, da persone che mi hanno aperto la loro casa per il Thanksgiving senza avermi mai vista prima.
Mi manca l'accortezza delle persone che aprono una porta prima di te in università che te la tengono aperta per farti passare.
Mi mancano gli studenti che ringraziano l'autista del bus del college ogni santa mattina.
E lui che saluta tutti, fa fermate apposta per chi glielo chiede.
Mi mancano i professori che trattano gli studenti come individui pensanti, con cui instaurano un rapporto più profondo rispetto a quello faccia faccia un'aula universitaria.
Mi manca la signora della mensa che si ricorda chi sei, ti fa i complimenti per un maglione nuovo e ti dice quanto é bella la mattinata di sole che si vede dalle ampie vetrate della Dining Hall.


Mi manca perdermi in un mondo che non é il mio, ma che forse spesso mi ha capito molto meglio di quello in cui posso girare a occhi chiusi.

1 commento:

Assenze fisiche e mentali


Un mese e qualche spicciolo da quando ho rimesso piede in suolo italiano e ancora ho un sentimento dolceamaro, come se da una parte ancora aspettassi il giorno in cui riprenderò quell'aereo, quel pullman e mi farò scaricare di nuovo alla stazione del pullman di Albany.
Sapete che sono una persona malinconica, che vive di ricordi, magari una manciata di rimorsi ma davvero pochi rimpianti.

In tutto questo Marina é tornata lì, ogni giorno posso vedere come se la cava senza di noi, senza di me, in quel dormitorio dove qualcuno dorme nel mio letto, ha appeso foto sul mio muro, sta impregnando la mia stanza di un odore che non é il mio.
Che presuntuoso il genere umano. Quella stanza, prima di me, sarà stata occupata da decine di studenti, eppure la sento mia quasi più di quella di casa.
Quante decisioni, quante chiacchiere, quanti sogni, quante paranoie, quante sveglie stropicciate, quanti notte brave addormentata vestita, quanto odore di cinese é rimasto quella volta che ero talmente stanca che alle cinque del mattino l'ho portato in camera, mentre la mia coinquilina dormiva. [Che coinquilina di merda, che sono]
Quante docce fatte di corsa, dieci minuti prima di uscire, con una mano impegnata a mettermi il mascara e l'altra a reggere il phon.
Quante notti piene di impegno nel trovare la serratura, a farmi shh da sola mentre cercavo di cambiarmi al buio all'alba per non svegliarla.
Quante confidenze, fatte da menti diverse, da culture diverse, che poi alla fine si assomigliano tutte.
Quanti sogni, speranze, paure condivise, sempre le stesse. Che tu abbia vent'anni in Spagna, in Italia, in Irlanda o in Brasile, li porti allo stesso modo.
Dicevo, vedo Ma che mi manda foto su snapchat [la trovata dell'anno] immersa nelle lenzuola zebrate che le ho lasciato, che va alla lezione di zumba a cui andavamo insieme, che beve una birra ad DeJohn's e, anche solo per una giornata, vorrei avere il dono dell'ubiquità. Spostarmi lì, fare finta che nulla sia cambiato, e continuare il semestre nella 306.

Percepisco l'assenza fisica, materiale, dei suoi abbracci, del suo profumo ogni volta che si stava insieme a chiacchierare. Mi manca l'assenza fisica del suono della risata di Sara, della sua energia, del suo saltellare allegro, della sua voglia di fare e di mediare, quella voglia di mediare che a me é sempre mancata, io spirito inquieto e battagliero che non sono altro. Mi manca l'assenza fisica di Marina che é sempre in grado di rassicurarti, di farti sentire che sí, andrà davvero tutto bene. Che tante volte le cose vanno prese alla leggera, cosa che io riesco a fare davvero male. Mi manca l'assenza fisica di Alice e della sua praticità, delle innumerevoli chiacchierate sulle scale, del continuo confronto tra li e qui, tra quello che ci aspettavamo prima di partire e quello che abbiamo davvero trovato qui.
Mi manca il sorriso di Lorraine, quello dolce, quello timido all'inizio ma ripieno di un affetto genuino.
Mi manca anche sentirmi rincoglionita le prime settimane, quando preferivo stare zitta durante una chiacchierata a cena piuttosto che sbagliare il verbo in una frase.
Mi mancano le voci di tutti, gli accenti che ho sempre fatto una fatica boia a capire, i modi di dire.
Degli Stati Uniti mi manca il modo di vivere la vita più rilassato e più impegnato allo stesso tempo.
Mi manca quella noncuranza del giudizio altrui che qui ci impregna fino a farci soffocare.
Mi manca quell'orgoglio di camminare per strada per quello che si é, non per quello che si indossa o per il taglio di capelli.
Mi manca quella voglia di scoprirsi dentro perché del fuori poco interessa.
Mi manca quella curiosità che le persone hanno per il diverso, per il nuovo, lo straniero.
Alla fine cosa é davvero diverso, straniero, nel paese che ha più radici e allo stesso tempo non ne ha?
Nel paese che vive di differenze e le esalta?
Mi manca tantissimo quel genere di gentilezza e cortesia genuine che le persone hanno nel sangue.
Mi manca scontrare qualcuno col carrello da Walmart, chiedere scusa e sentirmi rispondere col sorriso che non importa.
Ho preso per sbaglio il carrello di una signora all'Esselunga a Milano, la settimana scorsa, [vuoto, n.b.] e ha pensato che volessi rubarle l'euro che c'era dentro. Le ho chiesto scusa ridendo, perché avevo fatto confusione.
Lei non mi ha nemmeno guardata, si é ripresa il carrello ed é filata via, convinta che fossi una poco di buono.
Sai com'é, anche il capello tinto di rosso alla sciura milanese un po' sa di pericoloso.
Scusate, questa mi é proprio scappata.
In ogni caso, dicevo che mi manca quel rispetto per il prossimo che qui non abbiamo.
Certo, ogni paese ha le sue piaghe e contraddizioni, l'America ha da fare i conti con tutte le ferite aperte causate dalla lobby delle armi e dal sentimento nazionalista insito nelle tradizioni. Ma le persone hanno allo stesso tempo un senso di solidarietà che qui noi ce lo sogniamo, qui, nel paese dove nessuno fa niente per niente.
Mi manca l'ospitalità che ho ricevuto, da persone che mi hanno aperto la loro casa per il Thanksgiving senza avermi mai vista prima.
Mi manca l'accortezza delle persone che aprono una porta prima di te in università che te la tengono aperta per farti passare.
Mi mancano gli studenti che ringraziano l'autista del bus del college ogni santa mattina.
E lui che saluta tutti, fa fermate apposta per chi glielo chiede.
Mi mancano i professori che trattano gli studenti come individui pensanti, con cui instaurano un rapporto più profondo rispetto a quello faccia faccia un'aula universitaria.
Mi manca la signora della mensa che si ricorda chi sei, ti fa i complimenti per un maglione nuovo e ti dice quanto é bella la mattinata di sole che si vede dalle ampie vetrate della Dining Hall.


Mi manca perdermi in un mondo che non é il mio, ma che forse spesso mi ha capito molto meglio di quello in cui posso girare a occhi chiusi.

1 commento: