mercoledì 26 novembre 2014

La mia violenza.


Era il 25 novembre, è stato il 25 novembre. 
Un 2 e un 5 pieni sino all'orlo di parole forti, eleganti, determinate. 
Niente violenza. 
Niente violenza sulle donne. 

Consapevolezza. Forza di reagire.

E già è parecchio inquietante che ci sia il bisogno di ricordarsi, un giorno all'anno, che legnare le donne, ma soprattutto chiunque, non è carino. È un po' peggio di dimenticarsi l'anniversario.
Ma il risvolto che più fa rabbrividire, quello che scivola tra le pieghe dei luoghi comuni e dei volti di donna con l'occhio nero spalmati su tutti i muri, quello che si nasconde dietro le campagne mediatiche sui social, adorabili con i propri hashtag, anni luce prima dei convegni con gli psicologi e gli assistenti sociali, è quello degli altri 364 giorni.
Quelli della vita quotidiana, quelli prima di una relazione, quelli prima di.
La mia violenza, ma anche la tua, la sua, quella della mia farmacista, è così banale e perfettamente mascherata che non ha le forme della violenza. 

Non lascia lividi, non spinge giù dalle scale, non telefona di notte a tutte le ore minacciandomi. 

Non ha le sembianze del femminicidio, che se word me lo dà errore un diamine di motivo ci sarà.

Ma lascia l'amaro in bocca quando in treno il signore di mezza età, seduto di fronte a me, con la ventiquattrore di pelle e il cellulare in mano lo alza con nonchalance, altezza volto, e finge di concentrarsi su un messaggio. Finché non si sente distintamente un click tipico della fotografia.
Lascia l'amaro in bocca quando i consigli della sessuologa sbandierati sulle riviste sostengono che per mantenere alta la libido di coppia siano le nostre, di chiappe, a dover essere stringate e circondate da fili di lustrini, anche a gennaio, e le nostre, di gambe, perfettamente depilate, e le nostre, di sopracciglia, che non prendano possesso dell'intera faccia come quella della -pur meravigliosa- adorabile Frida Kahlo.
Lascia l'amaro in bocca quando le calze nere e il tacco che indosso con -ben poca- disinvoltura per una cena elegante sembrano essere il corrispondente segnico di un cartello con scritto "la calza nera l'ho messa per te, buon uomo che mi fissi sul pullman".
Lascia l'amaro in bocca quando nel tuo lavoro e in una presentazione "come sei carina sul palco" mentre i tuoi colleghi "come sono professionali".

Lascia l'amaro in bocca quando si pensa che l'umanità intera, uomini e donne, dovrebbe ragionare a fondo sul fatto di questa mania di catalogare il sesso femminile quello "debole". E soprattutto decidere se lo sia sempre, in ogni circostanza, o solo quando fa comodo (agli uni e agli altri).

E' sesso debole solo quando ci si fa offrire l'aperitivo o si entra gratis nei locali ma è sesso forte quando si chiede la parità sul lavoro. E al contrario è parità dei sessi quando la valigia me la devo camallare per sei rampe di scale in stazione Principe senza che un buon samaritano muscoloso mi presti le sue braccia, ma non lo è quando invece guido, che, in quanto donna, direziono il mio automezzo ad canis cazzum. Lascia l'amaro in bocca quando sembra che la parola sindaca, assessora e avvocatessa siano la priorità nel mondo lavorativo, culturale e sociale dei paesi avanzati.

Quando basterebbe molto meno.

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La mia violenza.


Era il 25 novembre, è stato il 25 novembre. 
Un 2 e un 5 pieni sino all'orlo di parole forti, eleganti, determinate. 
Niente violenza. 
Niente violenza sulle donne. 

Consapevolezza. Forza di reagire.

E già è parecchio inquietante che ci sia il bisogno di ricordarsi, un giorno all'anno, che legnare le donne, ma soprattutto chiunque, non è carino. È un po' peggio di dimenticarsi l'anniversario.
Ma il risvolto che più fa rabbrividire, quello che scivola tra le pieghe dei luoghi comuni e dei volti di donna con l'occhio nero spalmati su tutti i muri, quello che si nasconde dietro le campagne mediatiche sui social, adorabili con i propri hashtag, anni luce prima dei convegni con gli psicologi e gli assistenti sociali, è quello degli altri 364 giorni.
Quelli della vita quotidiana, quelli prima di una relazione, quelli prima di.
La mia violenza, ma anche la tua, la sua, quella della mia farmacista, è così banale e perfettamente mascherata che non ha le forme della violenza. 

Non lascia lividi, non spinge giù dalle scale, non telefona di notte a tutte le ore minacciandomi. 

Non ha le sembianze del femminicidio, che se word me lo dà errore un diamine di motivo ci sarà.

Ma lascia l'amaro in bocca quando in treno il signore di mezza età, seduto di fronte a me, con la ventiquattrore di pelle e il cellulare in mano lo alza con nonchalance, altezza volto, e finge di concentrarsi su un messaggio. Finché non si sente distintamente un click tipico della fotografia.
Lascia l'amaro in bocca quando i consigli della sessuologa sbandierati sulle riviste sostengono che per mantenere alta la libido di coppia siano le nostre, di chiappe, a dover essere stringate e circondate da fili di lustrini, anche a gennaio, e le nostre, di gambe, perfettamente depilate, e le nostre, di sopracciglia, che non prendano possesso dell'intera faccia come quella della -pur meravigliosa- adorabile Frida Kahlo.
Lascia l'amaro in bocca quando le calze nere e il tacco che indosso con -ben poca- disinvoltura per una cena elegante sembrano essere il corrispondente segnico di un cartello con scritto "la calza nera l'ho messa per te, buon uomo che mi fissi sul pullman".
Lascia l'amaro in bocca quando nel tuo lavoro e in una presentazione "come sei carina sul palco" mentre i tuoi colleghi "come sono professionali".

Lascia l'amaro in bocca quando si pensa che l'umanità intera, uomini e donne, dovrebbe ragionare a fondo sul fatto di questa mania di catalogare il sesso femminile quello "debole". E soprattutto decidere se lo sia sempre, in ogni circostanza, o solo quando fa comodo (agli uni e agli altri).

E' sesso debole solo quando ci si fa offrire l'aperitivo o si entra gratis nei locali ma è sesso forte quando si chiede la parità sul lavoro. E al contrario è parità dei sessi quando la valigia me la devo camallare per sei rampe di scale in stazione Principe senza che un buon samaritano muscoloso mi presti le sue braccia, ma non lo è quando invece guido, che, in quanto donna, direziono il mio automezzo ad canis cazzum. Lascia l'amaro in bocca quando sembra che la parola sindaca, assessora e avvocatessa siano la priorità nel mondo lavorativo, culturale e sociale dei paesi avanzati.

Quando basterebbe molto meno.

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