mercoledì 14 novembre 2012

Obamatown - Neverending trip



Dateci un weekend, ottanta dollari e infinite 8 ore totali di pullman e andiamo in capo al mondo.
O meglio, nella capitale degli Stati Uniti.
Sei e mezza di mattina, tre tonne imbacuccate come fossimo al polo, un taxi, una stazione dei pullman.
Un pò di nanna sconnessa fino a New York.
Due passi fino all'altra stazione dei pullman.
E poi via, pigiate negli ultimi sedili di un Megabus verso l'infinito e oltre.
Roba che io non riesco a dormire nel mio letto, figuriamoci su un sedile del bus.
Abbiamo attraversato il New Jersey, un pezzo di Pennsylvania, il Delaware e il Maryland.
Mi sono sentita molto Jack Kerouac in On The Road, peccato che al posto della macchina mi è toccato il pullman. Ma almeno avevo il wifi. I vantaggi di viaggiare nell'era di Steve Jobs.
Sfiorato lo sclero dopo un'ora in più di ritardo, mettiamo piede fuori dalla stazione.
Premetto che chi di voi è stato a Washignton mi ha detto: mah, robetta. Fa schifino.
E io con la gioia di un ornitorinco ho trascinato le mie membra in un posto che pensavo facesse schifino.
Ma la vita ha voluto sorprendermi, e o a me piacciono le cose brutte, o Washington è davvero bella.
Cioè, tenete conto che io vivo ad Albany.
Dove credo abbiano preso spunto per tutti i personaggi di Prison Break.
(Per la cronaca, tutto il personale che lavora alla dining hall è ex carcerato. Seriamente)
Quindi, immaginatemi nella capitale ricca del paese più orgoglioso di sé stesso al mondo.
Nessun grattacielo, solo grandezza.
Palazzi messi un pò lì a caso, imponenti, vicino a casette a due piani che ricordano tanto una Londra per bene.
E poi lei, la Casa Bianca.
Minuscola.
Voi vi aspettate una roba gigantesca ma la foto che vedete qui sopra è stata zoomata diecimila volte.
Ma il suo effetto lo fa stesso.






E poi uno spazio enorme, infinito, che sa di respiro e di storia.
Cosa non facile da trovare in America, soprattutto per noi abituati a Roma e ai suoi millenni di brividi storici.
Qui la cosa più vecchia che hanno è il Thanksgiving.
Comunque, dicevo, sa davvero di storia.
Camminavo lungo l'immensa fontana del Lincoln memorial e mi immaginavo Martin Luther King fare il suo discorso.
Perchè sono idiota nell'anima, ma poi mi commuovo per queste cose.
Ho in mente le foto in bianco nero di quel posto immenso, gremito di gente, con un uomo che la tiene in pugno dicendo di avere un sogno. E sbam. Mi emoziono come una bambina.
Il tempio che sembra romano, la statua enorme di Lincoln.
E poi l'obelisco.
Immenso, circondato da innumerevoli bandiere statunitensi.
Roba che nemmeno noi quando abbiamo vinto i mondiali.
Ed è subito Dan Brown e la storia dei massoni.
Certo che quando voglio faccio proprio la mia porca figura di persona colta.
Abbiamo visto il Capitol.
E il monumento a Martin Luther King.
E quello alla guerra del Vietnam.
Abbiamo chiacchierato con i veterani. Sulle loro magliette c'è scritto "Every day is a bonus".
E hanno ragione.Si impara anche così, in una ventosa mattinata turistica a Washington.
E infine il lago artificiale, e sull'altra sponda il Jefferson memorial.
Altro tempio, altro premio.
Un'altra statua.
Un altro silenzio e un'altra riflessione.
Gli americani quando si impegnano mi strappano il cuore.

Abbiamo fatto foto, mangiato in un ristorante spagnolo, scoperto le vie lussuose della capitale.
Ci hanno offerto il gelato all'Hard Rock Cafè perchè eravamo internazionali.
Abbiamo fatto colazione col Washington post e il sole caldo in faccia.
Un ottantenne di nome Luigi, americano ma di origini spagnole ci ha chiesto se abbiamo partecipato a Miss Universo.
Abbiamo mangiato cinese alle quattro del mattino.
Abbiamo riso, ballato, bevuto qualche birra, sognato insieme.
Abbiamo condiviso tutto quello che si può condividere.
Il bello di questa esperienza e di questi viaggi è che ti avvicinano alle persone, di botto.
Così, di corsa, ti costringono ad aprirti, a farti vedere, a lasciarti scoprire.
Velocemente.
Senza aver tempo di pensare.
Ti legano agli altri in un modo che non accade spesso.
Quando sei catapultata in un altro mondo, con un'altra lingua, senza nessun appoggio, sei più vulnerabile.
E trovare qualcuno che ti copra le spalle è una sensazione meravigliosa.


E poi nulla, abbiamo fatto qualche foto con le attrazioni locali.
(Possiamo fare una foto con voi? EH? Roba che manco le quattordicenni con Justin Bieber. Ma tant'è.)

2 commenti:

  1. Io quando ero lì mi ero emozionata a pensare a Forrest Gump.. Siamo proprio le solite malinconiche - romantiche :)

    Dani
    ps: prima o poi la smetto di commentare

    RispondiElimina
  2. "Abbiamo riso, ballato, bevuto qualche birra, sognato insieme.
    Abbiamo condiviso tutto quello che si può condividere."

    I love this two sentences.
    I miss us three together! <3

    Love you too much!

    sara.

    RispondiElimina

Obamatown - Neverending trip



Dateci un weekend, ottanta dollari e infinite 8 ore totali di pullman e andiamo in capo al mondo.
O meglio, nella capitale degli Stati Uniti.
Sei e mezza di mattina, tre tonne imbacuccate come fossimo al polo, un taxi, una stazione dei pullman.
Un pò di nanna sconnessa fino a New York.
Due passi fino all'altra stazione dei pullman.
E poi via, pigiate negli ultimi sedili di un Megabus verso l'infinito e oltre.
Roba che io non riesco a dormire nel mio letto, figuriamoci su un sedile del bus.
Abbiamo attraversato il New Jersey, un pezzo di Pennsylvania, il Delaware e il Maryland.
Mi sono sentita molto Jack Kerouac in On The Road, peccato che al posto della macchina mi è toccato il pullman. Ma almeno avevo il wifi. I vantaggi di viaggiare nell'era di Steve Jobs.
Sfiorato lo sclero dopo un'ora in più di ritardo, mettiamo piede fuori dalla stazione.
Premetto che chi di voi è stato a Washignton mi ha detto: mah, robetta. Fa schifino.
E io con la gioia di un ornitorinco ho trascinato le mie membra in un posto che pensavo facesse schifino.
Ma la vita ha voluto sorprendermi, e o a me piacciono le cose brutte, o Washington è davvero bella.
Cioè, tenete conto che io vivo ad Albany.
Dove credo abbiano preso spunto per tutti i personaggi di Prison Break.
(Per la cronaca, tutto il personale che lavora alla dining hall è ex carcerato. Seriamente)
Quindi, immaginatemi nella capitale ricca del paese più orgoglioso di sé stesso al mondo.
Nessun grattacielo, solo grandezza.
Palazzi messi un pò lì a caso, imponenti, vicino a casette a due piani che ricordano tanto una Londra per bene.
E poi lei, la Casa Bianca.
Minuscola.
Voi vi aspettate una roba gigantesca ma la foto che vedete qui sopra è stata zoomata diecimila volte.
Ma il suo effetto lo fa stesso.






E poi uno spazio enorme, infinito, che sa di respiro e di storia.
Cosa non facile da trovare in America, soprattutto per noi abituati a Roma e ai suoi millenni di brividi storici.
Qui la cosa più vecchia che hanno è il Thanksgiving.
Comunque, dicevo, sa davvero di storia.
Camminavo lungo l'immensa fontana del Lincoln memorial e mi immaginavo Martin Luther King fare il suo discorso.
Perchè sono idiota nell'anima, ma poi mi commuovo per queste cose.
Ho in mente le foto in bianco nero di quel posto immenso, gremito di gente, con un uomo che la tiene in pugno dicendo di avere un sogno. E sbam. Mi emoziono come una bambina.
Il tempio che sembra romano, la statua enorme di Lincoln.
E poi l'obelisco.
Immenso, circondato da innumerevoli bandiere statunitensi.
Roba che nemmeno noi quando abbiamo vinto i mondiali.
Ed è subito Dan Brown e la storia dei massoni.
Certo che quando voglio faccio proprio la mia porca figura di persona colta.
Abbiamo visto il Capitol.
E il monumento a Martin Luther King.
E quello alla guerra del Vietnam.
Abbiamo chiacchierato con i veterani. Sulle loro magliette c'è scritto "Every day is a bonus".
E hanno ragione.Si impara anche così, in una ventosa mattinata turistica a Washington.
E infine il lago artificiale, e sull'altra sponda il Jefferson memorial.
Altro tempio, altro premio.
Un'altra statua.
Un altro silenzio e un'altra riflessione.
Gli americani quando si impegnano mi strappano il cuore.

Abbiamo fatto foto, mangiato in un ristorante spagnolo, scoperto le vie lussuose della capitale.
Ci hanno offerto il gelato all'Hard Rock Cafè perchè eravamo internazionali.
Abbiamo fatto colazione col Washington post e il sole caldo in faccia.
Un ottantenne di nome Luigi, americano ma di origini spagnole ci ha chiesto se abbiamo partecipato a Miss Universo.
Abbiamo mangiato cinese alle quattro del mattino.
Abbiamo riso, ballato, bevuto qualche birra, sognato insieme.
Abbiamo condiviso tutto quello che si può condividere.
Il bello di questa esperienza e di questi viaggi è che ti avvicinano alle persone, di botto.
Così, di corsa, ti costringono ad aprirti, a farti vedere, a lasciarti scoprire.
Velocemente.
Senza aver tempo di pensare.
Ti legano agli altri in un modo che non accade spesso.
Quando sei catapultata in un altro mondo, con un'altra lingua, senza nessun appoggio, sei più vulnerabile.
E trovare qualcuno che ti copra le spalle è una sensazione meravigliosa.


E poi nulla, abbiamo fatto qualche foto con le attrazioni locali.
(Possiamo fare una foto con voi? EH? Roba che manco le quattordicenni con Justin Bieber. Ma tant'è.)

2 commenti:

  1. Io quando ero lì mi ero emozionata a pensare a Forrest Gump.. Siamo proprio le solite malinconiche - romantiche :)

    Dani
    ps: prima o poi la smetto di commentare

    RispondiElimina
  2. "Abbiamo riso, ballato, bevuto qualche birra, sognato insieme.
    Abbiamo condiviso tutto quello che si può condividere."

    I love this two sentences.
    I miss us three together! <3

    Love you too much!

    sara.

    RispondiElimina