lunedì 13 febbraio 2012

Quel che resta di Firenze

Ieri, sul frecciarossa di ritorno a Milano, seduta nella mia carrozza ristorante (storie di treni soppressi e di altri troppo pieni..), guardavo l'Emilia sepolta dalla neve e pensavo a cosa questi tre piccolissimi giorni a Firenze mi hanno lasciato impresso.
Quel che mi resta di Firenze è sicuramente un gran freddo, un pò di timido sole, un vento decisamente troppo potente e un bel pò di raffreddore. Ma queste cose sono solo la cornice, quello che bisogna scalfire per arrivare a quello che in realtà mi toglie il fiato ogni volta che ci penso.
 Quel che mi resta di Firenze sono le stradine, quasi tutte pedonali, la sua aria austera e di altri tempi, la sua aria piena di segreti da svelare. E' il suo imponente duomo con il Cupolone, in quella piazza brulicante di turisti, imperterriti anche nel gelo di febbraio. Quel che mi resta sono i colori, che la natura e l'uomo sembrano aver dipinto insieme. Un'amalgama di colori pastello, tenui e delicati, tutto si armonizza in un'immagine sola e l'occhio non può fare a meno che percepire una cosa sola. Quel che resta di Firenze sono le piazze, una più bella dell'altra. Piccoli e grandi scrigni che si aprono da stradine impervie. Spazi aperti in cui esplodono persone, giostre e mercatini. Quel che mi rimane sono i profumi di dolci di fronte alle pasticcerie, di sapori antichi quando il passo ti porta di fronte ad antiche trattorie, o fiaschetterie, come capita spesso di leggere sui cartelli.  Quel che mi rimane sono il rumore dell'Arno che scorre placido sotto il ponte vecchio.


 Quel che mi rimane di Firenze è il sole, pallido e timido di febbraio, che la inonda mentre la guardo da Piazzale Michelangelo. Mi sembra di dominarla tutta, da lassù, e sembra che si metta in posa, come se al posto di una fotografia le stessi facendo un dipinto. Ed è proprio quello che mi rimane, di lei, da lassù: un dipinto. Una serie di fotografia scattate con dita tremanti dal freddo, che sono tutto fuor che fotografie. Sono dipinti in acquarelli, in matita, in colori a olio. Le sfumature del cielo sono fatte con ampie pennellate, mentre quelle del cupolone con minuziosa perizia. Le impercettibili onde dell'Arno con spruzzi di azzurro, i colori dei tetti con un ocra chiaro. Le colline che la circondano sembrano abbracciarla, e si stagliano verdi e coraggiose nel vento.
Quel che mi rimane di lei è il Ponte Vecchio, così minuziosamente dettagliato, le finestrelle sulle case colorate che ricordano quelle di un presepe antico. Si staglia lì, sopra l'acqua pacifica, con i suoi colori accostati, costruito con poca attenzione alle varie altezze, che lo rendono quasi bambinesco. Un'opera di qualche bimbo che lo ha assemblato con ingenua creatività. La luce del sole lo accarezza piano, dà vita a quei colori. Il giallino, l'arancione, il rosso, il verde accesso delle persiane, alcune chiuse, alcune spalancate. La luce debole che proviene dall'interno, da una delle innumerevoli gioiellerie che tempestano quel ponte.


Quel che mi rimane di lei è il gusto della ribollita, la sua consistenza morbida e delicata e il suo sapore che sembra venire da lontano nel tempo. Il suo sapore che parla di contadini, di semplicità, di pasto consumato in silenzio ma anche nel chiacchiericcio della sera, proprio così, in terrine di terracotta bollenti. Mi rimane l'atmosfera delle mille osterie, delle mille enoteche, di quei tavolini di legno semplici ma eleganti, di quel mangiare osservati dalle innumerevoli bottiglie di vino. Quel che mi rimane è l'accento, la parlata un pò così, che ti viene voglia di fare tua, e ogni tanto ti viene da dire qualcosa come "Si va a mangiare", e ti scappa un sorriso. Quel che mi rimane è il profumo del cioccolato per tutta Piazza della Repubblica, perchè sì, sono riuscita a beccare la settimana della Fiera del Cioccolato. Da leccarsi i baffi. Budinetti di cioccolato, cremini, frutta ricoperta di cioccolato caldo che scende da una fontana.


Quel che mi rimane infondo è tanto amore. Ma tanto. Per questo paese stupendo, per tutto quello che in Italia c'è di stupendo e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Per la magia che la storia dona a tutto il suolo che calpestiamo ogni giorno, per l'aura di mistero che ricopre le nostre città come una coperta sottile. Mi rimane l'amore per questa città, per l'arte, per Piazza Della Signoria, per Palazzo Vecchio e per la Galleria degli Uffizi. Per tutti i quadri, le pennellate, i piegamenti di testa per vedere meglio un particolare. L'amore per Palazzo Pitti e i suoi Giardini di Boboli, enormi e stupendi. E mi rimane sì, anche un sorriso grande. Perchè solo io sono in grado di ridicolizzare l'arte come una polla. Porto un pò di allegria, insomma.


Questa fuga da tutto, da Milano, da Savona, per chiuderci un weekend nella magia di Firenze, ci ha fatto solo che bene. E io, l'ho amata con tutta me stessa. Quel che mi rimane di questi tre giorni in questa città cristallizata nel tempo e nello spazio è l'amore per lei, per le sue strade, le sue piazze, la sua atmosfera. E l'amore per il modo in cui l'abbiamo vissuta noi. Cioè, come al solito. Da esploratori, da persone che vedono la realtà per la prima volta. Un poeta una volta ha detto che solamente i bambini e i poeti possono vedere le cose come se le vedessero davvero per la prima volta. E io e Lui le abbiamo viste così, assaporate così, come se i nostri occhi avessero avuto la possibilità da abbracciarle per la prima volta, le nostre dita posarsi sul parapetto del Ponte Vecchio come se fosse la prima pietra che avessimo toccato. Abbiamo lasciato che Firenze ci entrasse dentro con la curiosità di due bambini. Abbiamo lasciato che la novità ci travolgesse, ci portasse a pensare cose nuove ed amarle in quel modo così sorprendente che ti entra dentro e nulla può più toglierlo. Quei sentimenti che nonostante la vita cerchi di portarteli via con le unghie e con i denti, semplicemente non si staccano. Rimangono lì, impervi e statuari nel tempo e nello spazio. Proprio come Firenze.

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Quel che resta di Firenze

Ieri, sul frecciarossa di ritorno a Milano, seduta nella mia carrozza ristorante (storie di treni soppressi e di altri troppo pieni..), guardavo l'Emilia sepolta dalla neve e pensavo a cosa questi tre piccolissimi giorni a Firenze mi hanno lasciato impresso.
Quel che mi resta di Firenze è sicuramente un gran freddo, un pò di timido sole, un vento decisamente troppo potente e un bel pò di raffreddore. Ma queste cose sono solo la cornice, quello che bisogna scalfire per arrivare a quello che in realtà mi toglie il fiato ogni volta che ci penso.
 Quel che mi resta di Firenze sono le stradine, quasi tutte pedonali, la sua aria austera e di altri tempi, la sua aria piena di segreti da svelare. E' il suo imponente duomo con il Cupolone, in quella piazza brulicante di turisti, imperterriti anche nel gelo di febbraio. Quel che mi resta sono i colori, che la natura e l'uomo sembrano aver dipinto insieme. Un'amalgama di colori pastello, tenui e delicati, tutto si armonizza in un'immagine sola e l'occhio non può fare a meno che percepire una cosa sola. Quel che resta di Firenze sono le piazze, una più bella dell'altra. Piccoli e grandi scrigni che si aprono da stradine impervie. Spazi aperti in cui esplodono persone, giostre e mercatini. Quel che mi rimane sono i profumi di dolci di fronte alle pasticcerie, di sapori antichi quando il passo ti porta di fronte ad antiche trattorie, o fiaschetterie, come capita spesso di leggere sui cartelli.  Quel che mi rimane sono il rumore dell'Arno che scorre placido sotto il ponte vecchio.


 Quel che mi rimane di Firenze è il sole, pallido e timido di febbraio, che la inonda mentre la guardo da Piazzale Michelangelo. Mi sembra di dominarla tutta, da lassù, e sembra che si metta in posa, come se al posto di una fotografia le stessi facendo un dipinto. Ed è proprio quello che mi rimane, di lei, da lassù: un dipinto. Una serie di fotografia scattate con dita tremanti dal freddo, che sono tutto fuor che fotografie. Sono dipinti in acquarelli, in matita, in colori a olio. Le sfumature del cielo sono fatte con ampie pennellate, mentre quelle del cupolone con minuziosa perizia. Le impercettibili onde dell'Arno con spruzzi di azzurro, i colori dei tetti con un ocra chiaro. Le colline che la circondano sembrano abbracciarla, e si stagliano verdi e coraggiose nel vento.
Quel che mi rimane di lei è il Ponte Vecchio, così minuziosamente dettagliato, le finestrelle sulle case colorate che ricordano quelle di un presepe antico. Si staglia lì, sopra l'acqua pacifica, con i suoi colori accostati, costruito con poca attenzione alle varie altezze, che lo rendono quasi bambinesco. Un'opera di qualche bimbo che lo ha assemblato con ingenua creatività. La luce del sole lo accarezza piano, dà vita a quei colori. Il giallino, l'arancione, il rosso, il verde accesso delle persiane, alcune chiuse, alcune spalancate. La luce debole che proviene dall'interno, da una delle innumerevoli gioiellerie che tempestano quel ponte.


Quel che mi rimane di lei è il gusto della ribollita, la sua consistenza morbida e delicata e il suo sapore che sembra venire da lontano nel tempo. Il suo sapore che parla di contadini, di semplicità, di pasto consumato in silenzio ma anche nel chiacchiericcio della sera, proprio così, in terrine di terracotta bollenti. Mi rimane l'atmosfera delle mille osterie, delle mille enoteche, di quei tavolini di legno semplici ma eleganti, di quel mangiare osservati dalle innumerevoli bottiglie di vino. Quel che mi rimane è l'accento, la parlata un pò così, che ti viene voglia di fare tua, e ogni tanto ti viene da dire qualcosa come "Si va a mangiare", e ti scappa un sorriso. Quel che mi rimane è il profumo del cioccolato per tutta Piazza della Repubblica, perchè sì, sono riuscita a beccare la settimana della Fiera del Cioccolato. Da leccarsi i baffi. Budinetti di cioccolato, cremini, frutta ricoperta di cioccolato caldo che scende da una fontana.


Quel che mi rimane infondo è tanto amore. Ma tanto. Per questo paese stupendo, per tutto quello che in Italia c'è di stupendo e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Per la magia che la storia dona a tutto il suolo che calpestiamo ogni giorno, per l'aura di mistero che ricopre le nostre città come una coperta sottile. Mi rimane l'amore per questa città, per l'arte, per Piazza Della Signoria, per Palazzo Vecchio e per la Galleria degli Uffizi. Per tutti i quadri, le pennellate, i piegamenti di testa per vedere meglio un particolare. L'amore per Palazzo Pitti e i suoi Giardini di Boboli, enormi e stupendi. E mi rimane sì, anche un sorriso grande. Perchè solo io sono in grado di ridicolizzare l'arte come una polla. Porto un pò di allegria, insomma.


Questa fuga da tutto, da Milano, da Savona, per chiuderci un weekend nella magia di Firenze, ci ha fatto solo che bene. E io, l'ho amata con tutta me stessa. Quel che mi rimane di questi tre giorni in questa città cristallizata nel tempo e nello spazio è l'amore per lei, per le sue strade, le sue piazze, la sua atmosfera. E l'amore per il modo in cui l'abbiamo vissuta noi. Cioè, come al solito. Da esploratori, da persone che vedono la realtà per la prima volta. Un poeta una volta ha detto che solamente i bambini e i poeti possono vedere le cose come se le vedessero davvero per la prima volta. E io e Lui le abbiamo viste così, assaporate così, come se i nostri occhi avessero avuto la possibilità da abbracciarle per la prima volta, le nostre dita posarsi sul parapetto del Ponte Vecchio come se fosse la prima pietra che avessimo toccato. Abbiamo lasciato che Firenze ci entrasse dentro con la curiosità di due bambini. Abbiamo lasciato che la novità ci travolgesse, ci portasse a pensare cose nuove ed amarle in quel modo così sorprendente che ti entra dentro e nulla può più toglierlo. Quei sentimenti che nonostante la vita cerchi di portarteli via con le unghie e con i denti, semplicemente non si staccano. Rimangono lì, impervi e statuari nel tempo e nello spazio. Proprio come Firenze.

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