lunedì 10 dicembre 2012

L'America che (mi) cambia

Questi ultimi giorni scorrono veloci ma allo stesso tempo lenti, trascinati, come quando al mattino ti vuoi godere quegli ultimi minuti di tepore nel letto stropicciandoti sotto le coperte.
Ecco, questa è esattamente la sensazione che io, e credo tutti, stiamo provando.
Scrivo dal tavolo della stanza comune, procrastino la mia doccia (finirò a farla ad un'ora indecente tipo le due), puzzo di patatine fritte e cibo cinese.
Perchè stasera ho fatto cena due volte.
Una alle sei tornata dal mall (ve l'ho detto che qui sono strani, io alle sei a casa non ho ancora nemmeno preso l'aperitivo), e una adesso. Ma siccome adesso la dining hall è chiusa, abbiamo ordinato cinese.
Può una persona avere meno ritegno di me nel cibo?
Non credo.
Stiamo facendo finta di studiare.
O almeno, io.
Mi sfugge come mai qui un esame può essere un paper.
Va bene, forse è il caso che mi spieghi un pelino meglio.
Ogni corso è semestrale, il tuo voto è la somma di puttanate come quiz, partecipazione, presenza (le lezioni sono obbligatorie), test, presentazioni, assignments, test.
Ha un vago senso.
Anche se l'esame finale a dicembre vale tipo il 15% del voto.
Ma il bello è che per alcuni corsi gli esami non esistono.
Il mio corso di letteratura ha due cosiddetti esami. Uno a metà semestre e uno alla fine.
Entrambi sono sottoforma di take home exam.
Ovvero, un saggio di una decina di facciate, sui libri che (non) ho letto in classe.
Cioè, ricapitolando.
La presenza è obbligatoria. Punti pieni.
Niente presentazioni per questo corso.
Due midterm da scrivere a casa.
Il tempo a disposizione è una settimana.
Non cinque ore.
Una settimana.
Niente esame.
Questo vuol dire niente ripassi notturni, niente ripetere per ore a madre, padre, amici, fidanzati, cani, gatti.
Vuol dire niente cagotto nelle sedici ore che devi aspettare prima di dare il tuo orale.
Niente sensazione di svenimento/vomito imminente/bisogno di un pannolino nel momento in cui il professore chiama il tuo nome.
E' il paradiso universitario.
Per un altro corso ho avuto l'esame, devo ammetterlo.
Ma ho avuto le domande una settimana prima.
No, non le ho rubate.
Il professore non voleva tenderci una trappola o cosa, ma solo verificare che avessimo capito i punti critici del corso.
Così ci ha dato le domande, tre, molto ampie, e abbiamo dovuto sceglierne due.
La settimana dopo abbiamo dovuto rispondere in due ore alle domande scelte.
C'è gente che ha preso D.
Che è tipo un 18 scarso.
Io non sono un genio e passo la maggior parte del mio tempo a cazzeggiare, come avrete capito.
Ma quando c'è da studiare il mio impegno ce lo metto.
Magari faticosamente, eh.
Però la mia porca figura riesco a farla quasi sempre.
Quindi sono qui, che non ho ancora le domande per i miei take home exams, a passare il tempo.
Mangiando, ovviamente.
E comprando.
Ogni tanto dò uno sguardo all'armadio, il letto, i cassetti, e alle mie due valige.
Alterno lo sguardo parecchie volte.
Ma non esiste nessuna legge della fisica che mi rassicuri.
Tutta la mia roba non entrerà mai in quelle due valige.
E il momento di impacchettare tutto è sempre più vicino.

Mioddio, non fatemi pensare al momento in cui chiuderò la porta della stanza vuota per l'ultima volta.

Ps. E' arrivato anche il momento fescion blogger.
Chiamatemi pure la Ferragni dei poveri.
Non ho resistito e ho comprato due rossetti della Mac oggi.
Che in Italia costano na fucilata (lo so perchè ho controllato su internet, ho messo il rossetto tre volte nella mia vita credo.) ma qui sono decisamente più cheap.
Un rosso chiamato Ruby (tutto un programma) e un rosa shocking firmato Nicki Minaj (sta andando a ruba! Affrettati! Mi disse con testuali parole la commessa).
Questi quattro mesi hanno contribuito alla mia crescita, e a capire come anche le piccole cose cambiano in un soffio.
Qui ho sperimentato anche il mio debutto nel mondo del makeup che conta.
Quelli che si chiamano i traguardi di una vita, insomma.
Avevo un rossetto, una volta. Pagato tipo due dollari non so dove.
Di quelli che se li prendi in regalo nei giornaletti da adolescente rischi di prenderti pure una malattia.
Non sono mai andata oltre il mascara di Maybelline e il phard di Deborah.
Ora metterei il rossetto di Mac pure per andare al cesso.
(Come vedete la finezza che mi contraddistingue non è mai cambiata. Rassicuratevi)
Quindi ho trovato un nuovo modo per spendere i (non) miei soldi.
Padre, mi leggi?

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L'America che (mi) cambia

Questi ultimi giorni scorrono veloci ma allo stesso tempo lenti, trascinati, come quando al mattino ti vuoi godere quegli ultimi minuti di tepore nel letto stropicciandoti sotto le coperte.
Ecco, questa è esattamente la sensazione che io, e credo tutti, stiamo provando.
Scrivo dal tavolo della stanza comune, procrastino la mia doccia (finirò a farla ad un'ora indecente tipo le due), puzzo di patatine fritte e cibo cinese.
Perchè stasera ho fatto cena due volte.
Una alle sei tornata dal mall (ve l'ho detto che qui sono strani, io alle sei a casa non ho ancora nemmeno preso l'aperitivo), e una adesso. Ma siccome adesso la dining hall è chiusa, abbiamo ordinato cinese.
Può una persona avere meno ritegno di me nel cibo?
Non credo.
Stiamo facendo finta di studiare.
O almeno, io.
Mi sfugge come mai qui un esame può essere un paper.
Va bene, forse è il caso che mi spieghi un pelino meglio.
Ogni corso è semestrale, il tuo voto è la somma di puttanate come quiz, partecipazione, presenza (le lezioni sono obbligatorie), test, presentazioni, assignments, test.
Ha un vago senso.
Anche se l'esame finale a dicembre vale tipo il 15% del voto.
Ma il bello è che per alcuni corsi gli esami non esistono.
Il mio corso di letteratura ha due cosiddetti esami. Uno a metà semestre e uno alla fine.
Entrambi sono sottoforma di take home exam.
Ovvero, un saggio di una decina di facciate, sui libri che (non) ho letto in classe.
Cioè, ricapitolando.
La presenza è obbligatoria. Punti pieni.
Niente presentazioni per questo corso.
Due midterm da scrivere a casa.
Il tempo a disposizione è una settimana.
Non cinque ore.
Una settimana.
Niente esame.
Questo vuol dire niente ripassi notturni, niente ripetere per ore a madre, padre, amici, fidanzati, cani, gatti.
Vuol dire niente cagotto nelle sedici ore che devi aspettare prima di dare il tuo orale.
Niente sensazione di svenimento/vomito imminente/bisogno di un pannolino nel momento in cui il professore chiama il tuo nome.
E' il paradiso universitario.
Per un altro corso ho avuto l'esame, devo ammetterlo.
Ma ho avuto le domande una settimana prima.
No, non le ho rubate.
Il professore non voleva tenderci una trappola o cosa, ma solo verificare che avessimo capito i punti critici del corso.
Così ci ha dato le domande, tre, molto ampie, e abbiamo dovuto sceglierne due.
La settimana dopo abbiamo dovuto rispondere in due ore alle domande scelte.
C'è gente che ha preso D.
Che è tipo un 18 scarso.
Io non sono un genio e passo la maggior parte del mio tempo a cazzeggiare, come avrete capito.
Ma quando c'è da studiare il mio impegno ce lo metto.
Magari faticosamente, eh.
Però la mia porca figura riesco a farla quasi sempre.
Quindi sono qui, che non ho ancora le domande per i miei take home exams, a passare il tempo.
Mangiando, ovviamente.
E comprando.
Ogni tanto dò uno sguardo all'armadio, il letto, i cassetti, e alle mie due valige.
Alterno lo sguardo parecchie volte.
Ma non esiste nessuna legge della fisica che mi rassicuri.
Tutta la mia roba non entrerà mai in quelle due valige.
E il momento di impacchettare tutto è sempre più vicino.

Mioddio, non fatemi pensare al momento in cui chiuderò la porta della stanza vuota per l'ultima volta.

Ps. E' arrivato anche il momento fescion blogger.
Chiamatemi pure la Ferragni dei poveri.
Non ho resistito e ho comprato due rossetti della Mac oggi.
Che in Italia costano na fucilata (lo so perchè ho controllato su internet, ho messo il rossetto tre volte nella mia vita credo.) ma qui sono decisamente più cheap.
Un rosso chiamato Ruby (tutto un programma) e un rosa shocking firmato Nicki Minaj (sta andando a ruba! Affrettati! Mi disse con testuali parole la commessa).
Questi quattro mesi hanno contribuito alla mia crescita, e a capire come anche le piccole cose cambiano in un soffio.
Qui ho sperimentato anche il mio debutto nel mondo del makeup che conta.
Quelli che si chiamano i traguardi di una vita, insomma.
Avevo un rossetto, una volta. Pagato tipo due dollari non so dove.
Di quelli che se li prendi in regalo nei giornaletti da adolescente rischi di prenderti pure una malattia.
Non sono mai andata oltre il mascara di Maybelline e il phard di Deborah.
Ora metterei il rossetto di Mac pure per andare al cesso.
(Come vedete la finezza che mi contraddistingue non è mai cambiata. Rassicuratevi)
Quindi ho trovato un nuovo modo per spendere i (non) miei soldi.
Padre, mi leggi?

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