martedì 4 dicembre 2012

Guardo indietro.

Due e ventisette di mattina.
Sono tired as fuck nonostante abbia anche fatto un pisolino di mezz'oretta tra una lezione e l'altra oggi.
Eppure la mia insonnia cronica mi tiene sveglia.
Da qualche giorno qui aleggia un'aria di tristezza mista a rassegnazione, mista a stanchezza mista a voglia di strafare perchè tra due settimane veniamo rispediti da dove veniamo e chi si è visto si è visto.
E quindi via alle frasi strappalacrime sulle agende durante le lezioni, via all'ennesima birretta con commento annesso "Oh pensa quando torniamo, il primo giovedì a casa ti scrivo su whatsapp per vederci alle dieci alla WTs".
Ieri da sola sul pullman, con le cuffie nelle orecchie, due o tre canzoni scoperte qui (che a voi a casa immagino facciano cagare, secondo un mio rapido sondaggio), che mi ricordano tanti stupidi momenti vissuti qui, mi è scesa una lacrimuccia.
Una, giuro.
Stanno per finire i 4 mesi più incredibili della mia vita.
Una realtà che non immagino di poter vivere, eppure eccomi qua, a due settimane dalla fine.
Un capitolo emozionante, meraviglioso e spaventosissimo della mia vita sta per finire, e in bocca rimane quel sapore dolceamaro che segue sempre un addio, o un arrivederci.
Non sono mai stata brava coi saluti.
Non riesco a staccarmi dalle persone, manco dalle cose, figuratevi.
Potessi conserverei tutto.
Sono devota al cambiamento, mi annoio presto e facilmente.
Il cambiamento è normale, naturale, vitale.
Il cambiamento ci fa cambiare punti di vista, ci fa scoprire nuovi motivi inaspettati per sorridere.
Ma quando coinvolge il salutare delle persone, proprio non mi va giù.
Non accetto la separazione.
O almeno, la accetto con il tempo.
Non sono capace a separarmi di netto. Un abbraccio veloce e via.
Sono una di quelle persone che in aereoporto abbraccia ventisette volte, e poi ancora un'ultima volta.
E poi ancora una.
E rischia di perdere il volo.
E non sa mai quando tacere, e smettere di dire cose banali e sdolcinate.
E non sa chiudere un rapporto, un periodo, una conversazione senza tirarla avanti senza senso.
I tagli netti non sono per me.
Ho sempre camminato in punta di piedi nelle vite degli altri, chiedendomi in continuazione cosa fosse meglio dire o non dire, chiedendomi come indorare la pillola, quando invece la maggior parte delle volte la pillola non va indorata ma accettata così com'è.
E devo imparare ad accettare questi saluti per quello che sono: la fine di un periodo, non di innumerevoli rapporti importanti.
I rapporti cambieranno, sentirò la mancanza.
Ma invece di lamentarmi della fine, dovrei già sorridere per un nuovo inizio.
Fatto di ritorni a casa, di abbracci, di mondo conosciuto.
E di pianificazioni di viaggi in giro per il mondo.
Perchè sono sicura che le nostre strade si incroceranno.
Presto o tardi.
Un legame come questo resiste al tempo e allo spazio.
Per ora è l'unica certezza che ho, prima di partire.



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Guardo indietro.

Due e ventisette di mattina.
Sono tired as fuck nonostante abbia anche fatto un pisolino di mezz'oretta tra una lezione e l'altra oggi.
Eppure la mia insonnia cronica mi tiene sveglia.
Da qualche giorno qui aleggia un'aria di tristezza mista a rassegnazione, mista a stanchezza mista a voglia di strafare perchè tra due settimane veniamo rispediti da dove veniamo e chi si è visto si è visto.
E quindi via alle frasi strappalacrime sulle agende durante le lezioni, via all'ennesima birretta con commento annesso "Oh pensa quando torniamo, il primo giovedì a casa ti scrivo su whatsapp per vederci alle dieci alla WTs".
Ieri da sola sul pullman, con le cuffie nelle orecchie, due o tre canzoni scoperte qui (che a voi a casa immagino facciano cagare, secondo un mio rapido sondaggio), che mi ricordano tanti stupidi momenti vissuti qui, mi è scesa una lacrimuccia.
Una, giuro.
Stanno per finire i 4 mesi più incredibili della mia vita.
Una realtà che non immagino di poter vivere, eppure eccomi qua, a due settimane dalla fine.
Un capitolo emozionante, meraviglioso e spaventosissimo della mia vita sta per finire, e in bocca rimane quel sapore dolceamaro che segue sempre un addio, o un arrivederci.
Non sono mai stata brava coi saluti.
Non riesco a staccarmi dalle persone, manco dalle cose, figuratevi.
Potessi conserverei tutto.
Sono devota al cambiamento, mi annoio presto e facilmente.
Il cambiamento è normale, naturale, vitale.
Il cambiamento ci fa cambiare punti di vista, ci fa scoprire nuovi motivi inaspettati per sorridere.
Ma quando coinvolge il salutare delle persone, proprio non mi va giù.
Non accetto la separazione.
O almeno, la accetto con il tempo.
Non sono capace a separarmi di netto. Un abbraccio veloce e via.
Sono una di quelle persone che in aereoporto abbraccia ventisette volte, e poi ancora un'ultima volta.
E poi ancora una.
E rischia di perdere il volo.
E non sa mai quando tacere, e smettere di dire cose banali e sdolcinate.
E non sa chiudere un rapporto, un periodo, una conversazione senza tirarla avanti senza senso.
I tagli netti non sono per me.
Ho sempre camminato in punta di piedi nelle vite degli altri, chiedendomi in continuazione cosa fosse meglio dire o non dire, chiedendomi come indorare la pillola, quando invece la maggior parte delle volte la pillola non va indorata ma accettata così com'è.
E devo imparare ad accettare questi saluti per quello che sono: la fine di un periodo, non di innumerevoli rapporti importanti.
I rapporti cambieranno, sentirò la mancanza.
Ma invece di lamentarmi della fine, dovrei già sorridere per un nuovo inizio.
Fatto di ritorni a casa, di abbracci, di mondo conosciuto.
E di pianificazioni di viaggi in giro per il mondo.
Perchè sono sicura che le nostre strade si incroceranno.
Presto o tardi.
Un legame come questo resiste al tempo e allo spazio.
Per ora è l'unica certezza che ho, prima di partire.



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