domenica 30 dicembre 2012

Vaneggiamenti aerei

Da vera poetessa di alto spessore culturale, mentre Lui si scoppiava un film da Oscar in stile fantascientifico sull'aereo, ho scritto questo post nelle note, promettendomi di pubblicarlo non appena arrivata. Tutto vostro.

Dopo quattro mesi e dieci giorni, di nuovo su un volo Delta.

Sembra ieri.
Seduta vicino ad un'americana che ha mangiato tutto il suo cibo più quello del marito, tanto che volevo offrirle pure il mio budino. 
Da sola, spaventata e elettrizzata allo stesso tempo.
Sembra ieri e invece é oggi e sto già tornando indietro. 
Io e praticamente un infante. 
8 chili tondi tondi.
Diciamo che quest'America mi rimarrá addosso per un bel pó.
Una settimana fa ho detto addio ad Albany.
Come al solito, sembrava che mi avessero anestetizzata.
Qualche giorno prima, salutando Marina, avevo i lacrimoni come i bimbi quando diventano tutti rossi e bramano il ciuccio.
Quando é toccato a me tutto é volato col tasto forward. 
La mattina della mia partenza me la ricordo come passata in un soffio.
Un attimo prima ero nelle mie lenzuola zebrate a ronfare allegramente e un momento dopo ero sul taxi. In mezzo ci sono state due ore di lotta contro il tempo e lo spazio.
Diciamo che quattro mesi di vita se sei me hanno bisogno di tanta roba.
Se poi hai dei problemi a controllarti quando vai al mall, ancora di più.
Ho dovuto abbandonare a Marina, nell'ordine: la mia borsa dell'acqua calda, la brocca per scaldare l'acqua, le lenzuola, le coperte, il cuscino, duemila attaccapanni e le mie preziose salviette per il sedere dei bimbi.
E nonostante l'abbandono le mie due valige avevano lo stesso il peso specifico del piombo. 
Un grazie a Stephen che se le é trascinate giù dalle scale.
Rischiando l'ernia ad ogni passo.

Insomma.
Ho chiuso la porta della mia stanza velocemente, un ultimo sguardo per controllare se avessi lasciato qualcosa di basilare, tipo, che ne so, il passaporto.
Niente sguardi languidi che durano ore, niente carezze al legno della scrivania (?), niente mano appoggiata sul vetro dalla finestra guardando fuori.
Dite che ho visto troppi film?
Il resto lo sapete già.
In un attimo ero nel taxi.
E l'attimo dopo nella stazione dei pullman.
E poi sul bus.
Che ha deciso di fare una deviazione passando dal Bronx.
In ogni caso, passare il Natale a New York mi ha un pó distratta.
Tipo ora mi sento come se fossi arrivata qui il 20 dall'Italia.
Poi ripenso alla fatica che ho fatto per trascinare le valige in metro fino all'aeroporto e mi ricordo quanta roba avevo.
Possibile che questo semestre stia già svanendo?
Che stia giá sfumando nei ricordi?
Che stia lasciando un gusto dolce in bocca, come quei momenti preziosi dell'infanzia, anche se non ti ricordi esattamente cosa é successo?
Le altre, che sono già a casa da qualche giorno, dicono che una volta messo piede oltre la soglia di casa sembra di non essere mai partite.
Buffa la nostra memoria.
Più tenta di afferrare un ricordo, di renderlo nitido, di disegnarne i contorni, più il ricordo sfugge.
Si deforma, si frantuma e a noi rimangono dei pezzi.
Per esempio, adesso tutto mi sembra compresso.
Non ricordo esattamente la lunghezza dei mesi. 
Novembre é volato come esattamente le prime due settimane di dicembre.
Dove sono finiti i giorni?
Come hanno fatto a contrarsi e sgusciare via così?

Ma i miei sensi funzionano meglio di qualsiasi tipo di sforzo mentale per ricordare.
E' facile con la vista: ricordo perfettamente ogni momento attaccato ad una fotografia, mentre i giorni in cui non ne ho fatte sono più sottili, più impalpabili.
Allo stesso modo le canzoni sono attaccate a dei momenti.
Non potrò più ascoltare "Work Out" senza ricordarmi che era la sveglia di Marina.
Né "Mr. Wonderful" senza pensare a me Sara camminando a ritmo di musica per Western Avenue.
Né "Die Young" senza ricordare la sera del compleanno di Alice a bere qualche birra nella sua stanza. 
Né Gangnam style senza ricordare quella sera in quel bar anonimo nel Wisconsin, a ballare con nuovi amici con una spensieratezza che chissá se ritroverò mai. 
Né Alright di Pitbull senza pensare allo sculettamento mio e di Marina a zumba. 
Anzi, la sto ascoltando in questo momento e sto iniziando a dondolare a destra e a sinistra.
Credo che il mio vicino intellettuale alla mia sinistra sia già spaventato.
E abbiamo ancora sei ore di volo.
Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che tra sei ore planerò nella terra dove tutti parlano italiano.
Sembro demente, me ne rendo conto.
Ma essere circondata da gente che parla un'altra lingua all'inizio fa strano, poi ti abitui. A crearti il tuo guscio, dove loro non possono capirti ma tu puoi capire loro, puoi interagire ma allo stesso tempo distanziarti.
E a casa questo tipo di privacy sconosciuta non si può avere.
Comunque.
Dicevo.
L'olfatto rimarrà sempre il senso che mi emoziona di più. 
L'altro giorno camminavo per New York e per un attimo mi é arrivata un'ondata di odore di lavatrice.
Lo stesso odore indescrivibile di quando scendevo nel seminterrato con il mio sacchetto di roba da lavare e il profumo caldo di pulito mi inondava le narici. 
L'odore di camera di Marina allo stesso tempo.
Un misto del suo profumo, delle sue maledette candele profumate (confiscate dopo tipo due settimane) e del suo detersivo.
L'odore che c'era nelle classi.
L'odore del profumo di Lorraine ogni volta che ci abbracciavamo per dirci "I will miss you so much"
L'odore delle salviette profumate che usavo per spolverare.
L'odore di fritto che mi rimaneva addosso ogni santa volta che scendevo a mangiare. 
Ecco quest'ultimo spero di non sentirlo per un pó.
L'America mi ha lasciato non so quanti ricordi, mi ha vista crescere velocemente in quattro mesi (e NO, non solo in larghezza, maledetti malpensanti) e grazie a lei d'ora in poi guarderò il mondo con occhi un pó diversi.
Un pó piú globalizzati.
Un pó piú grassi.
Un pó piú "yo!"
Un pó piú grandi.

Ed é il regalo più bello che questo paese potesse lasciarmi. 

1 commento:

Vaneggiamenti aerei

Da vera poetessa di alto spessore culturale, mentre Lui si scoppiava un film da Oscar in stile fantascientifico sull'aereo, ho scritto questo post nelle note, promettendomi di pubblicarlo non appena arrivata. Tutto vostro.

Dopo quattro mesi e dieci giorni, di nuovo su un volo Delta.

Sembra ieri.
Seduta vicino ad un'americana che ha mangiato tutto il suo cibo più quello del marito, tanto che volevo offrirle pure il mio budino. 
Da sola, spaventata e elettrizzata allo stesso tempo.
Sembra ieri e invece é oggi e sto già tornando indietro. 
Io e praticamente un infante. 
8 chili tondi tondi.
Diciamo che quest'America mi rimarrá addosso per un bel pó.
Una settimana fa ho detto addio ad Albany.
Come al solito, sembrava che mi avessero anestetizzata.
Qualche giorno prima, salutando Marina, avevo i lacrimoni come i bimbi quando diventano tutti rossi e bramano il ciuccio.
Quando é toccato a me tutto é volato col tasto forward. 
La mattina della mia partenza me la ricordo come passata in un soffio.
Un attimo prima ero nelle mie lenzuola zebrate a ronfare allegramente e un momento dopo ero sul taxi. In mezzo ci sono state due ore di lotta contro il tempo e lo spazio.
Diciamo che quattro mesi di vita se sei me hanno bisogno di tanta roba.
Se poi hai dei problemi a controllarti quando vai al mall, ancora di più.
Ho dovuto abbandonare a Marina, nell'ordine: la mia borsa dell'acqua calda, la brocca per scaldare l'acqua, le lenzuola, le coperte, il cuscino, duemila attaccapanni e le mie preziose salviette per il sedere dei bimbi.
E nonostante l'abbandono le mie due valige avevano lo stesso il peso specifico del piombo. 
Un grazie a Stephen che se le é trascinate giù dalle scale.
Rischiando l'ernia ad ogni passo.

Insomma.
Ho chiuso la porta della mia stanza velocemente, un ultimo sguardo per controllare se avessi lasciato qualcosa di basilare, tipo, che ne so, il passaporto.
Niente sguardi languidi che durano ore, niente carezze al legno della scrivania (?), niente mano appoggiata sul vetro dalla finestra guardando fuori.
Dite che ho visto troppi film?
Il resto lo sapete già.
In un attimo ero nel taxi.
E l'attimo dopo nella stazione dei pullman.
E poi sul bus.
Che ha deciso di fare una deviazione passando dal Bronx.
In ogni caso, passare il Natale a New York mi ha un pó distratta.
Tipo ora mi sento come se fossi arrivata qui il 20 dall'Italia.
Poi ripenso alla fatica che ho fatto per trascinare le valige in metro fino all'aeroporto e mi ricordo quanta roba avevo.
Possibile che questo semestre stia già svanendo?
Che stia giá sfumando nei ricordi?
Che stia lasciando un gusto dolce in bocca, come quei momenti preziosi dell'infanzia, anche se non ti ricordi esattamente cosa é successo?
Le altre, che sono già a casa da qualche giorno, dicono che una volta messo piede oltre la soglia di casa sembra di non essere mai partite.
Buffa la nostra memoria.
Più tenta di afferrare un ricordo, di renderlo nitido, di disegnarne i contorni, più il ricordo sfugge.
Si deforma, si frantuma e a noi rimangono dei pezzi.
Per esempio, adesso tutto mi sembra compresso.
Non ricordo esattamente la lunghezza dei mesi. 
Novembre é volato come esattamente le prime due settimane di dicembre.
Dove sono finiti i giorni?
Come hanno fatto a contrarsi e sgusciare via così?

Ma i miei sensi funzionano meglio di qualsiasi tipo di sforzo mentale per ricordare.
E' facile con la vista: ricordo perfettamente ogni momento attaccato ad una fotografia, mentre i giorni in cui non ne ho fatte sono più sottili, più impalpabili.
Allo stesso modo le canzoni sono attaccate a dei momenti.
Non potrò più ascoltare "Work Out" senza ricordarmi che era la sveglia di Marina.
Né "Mr. Wonderful" senza pensare a me Sara camminando a ritmo di musica per Western Avenue.
Né "Die Young" senza ricordare la sera del compleanno di Alice a bere qualche birra nella sua stanza. 
Né Gangnam style senza ricordare quella sera in quel bar anonimo nel Wisconsin, a ballare con nuovi amici con una spensieratezza che chissá se ritroverò mai. 
Né Alright di Pitbull senza pensare allo sculettamento mio e di Marina a zumba. 
Anzi, la sto ascoltando in questo momento e sto iniziando a dondolare a destra e a sinistra.
Credo che il mio vicino intellettuale alla mia sinistra sia già spaventato.
E abbiamo ancora sei ore di volo.
Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che tra sei ore planerò nella terra dove tutti parlano italiano.
Sembro demente, me ne rendo conto.
Ma essere circondata da gente che parla un'altra lingua all'inizio fa strano, poi ti abitui. A crearti il tuo guscio, dove loro non possono capirti ma tu puoi capire loro, puoi interagire ma allo stesso tempo distanziarti.
E a casa questo tipo di privacy sconosciuta non si può avere.
Comunque.
Dicevo.
L'olfatto rimarrà sempre il senso che mi emoziona di più. 
L'altro giorno camminavo per New York e per un attimo mi é arrivata un'ondata di odore di lavatrice.
Lo stesso odore indescrivibile di quando scendevo nel seminterrato con il mio sacchetto di roba da lavare e il profumo caldo di pulito mi inondava le narici. 
L'odore di camera di Marina allo stesso tempo.
Un misto del suo profumo, delle sue maledette candele profumate (confiscate dopo tipo due settimane) e del suo detersivo.
L'odore che c'era nelle classi.
L'odore del profumo di Lorraine ogni volta che ci abbracciavamo per dirci "I will miss you so much"
L'odore delle salviette profumate che usavo per spolverare.
L'odore di fritto che mi rimaneva addosso ogni santa volta che scendevo a mangiare. 
Ecco quest'ultimo spero di non sentirlo per un pó.
L'America mi ha lasciato non so quanti ricordi, mi ha vista crescere velocemente in quattro mesi (e NO, non solo in larghezza, maledetti malpensanti) e grazie a lei d'ora in poi guarderò il mondo con occhi un pó diversi.
Un pó piú globalizzati.
Un pó piú grassi.
Un pó piú "yo!"
Un pó piú grandi.

Ed é il regalo più bello che questo paese potesse lasciarmi. 

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